In una trilogia cinematografica, la voce di mezzo risulta spesso la più difficile da tracciare, dato che si porta sulle spalle due compiti vitali. Essere in grado di stare in piedi da soli, senza perdere il contesto di ciò che è venuto prima e ciò che le susseguirà. In definitiva, il percorso più semplice consiste nel giocare con entrambi i mondi in modo relativamente sicuro. Si deve passare il testimone al terzo film, consentendogli l’ingresso necessario per cementare l’impressione finale degli spettatori della serie. Il secondo capitolo dell’ambiziosa trilogia di Leigh Janiak continua l’adattamento delle opere di Robert Lawrence Stine. Lo slancio fornito da Fear Street Parte 1: 1994 è ancora palpabile e, sebbene segua con ardore le immagini vivaci e le morti raccapriccianti, cade in alcuni punti. I personaggi non risultano così avvincenti, probabilmente non sorretti da una varietà di situazioni offerta dall’opera per dargli modo di brillare adeguatamente.
Non si scappa, da Shadyside
Legato al tema del campo estivo retrò, e alle ovvie allusioni all’orrore che la trilogia processa come mantra, Fear Street Parte 2: 1978 risulta quasi un diversivo più leggero. Non temete, il film si riscatta con una sorprendente transizione tra il suo finale e il punto di partenza per l’ultima opera, ambientata nel 1666. Tuttavia, analizzandolo singolarmente, sembra che la sindrome del figlio di mezzo sia entrata in gioco in questo secondo capitolo.
Fear Street Parte 2: 1978 viene raccontato, essenzialmente, attraverso un unico grande flashback. Al centro della storia abbiamo la misteriosa C.Berman (Gilian Jacobs), la quale racconta alla protagonista Deena (Kiana Madeira) e a suo fratello Josh (Benjamin Flores Jr) gli eventi accaduti 16 anni prima. All’epoca, lei e sua sorella si sono trovati faccia a faccia con la maledizione della strega Sarah Fier, come residenti al campo estivo Camp Nightwing. I riferimenti a Venerdì 13 e Sleepaway Camp abbondano, ma il tema principale sfocia nelle lotte di questi giovani contro una sorta di predeterminismo.
Il destino segnato di Fear Street Parte 2: 1978
Come si era intuito dal primo film, chi nasce a Shadyside è destinato a rimanerci a vita, lasciando i suoi abitanti in una sorta di immobilismo, incapaci di contrastare le aspettative di un’intera città verso il loro futuro. Spunta quindi un ulteriore riferimento, stavolta a Stand By Me del meraviglioso Stephen King, molto di classe e inaspettato. Nelle novelle, Chris Chambers lamenta come “tutti sanno che finirò male”, andando a braccetto col pensiero fisso dei ragazzi di Fear Street Parte 2: 1978. Nelle loro menti, non ci si può spingere oltre lo stampo superficiale che la vita ha già stabilito, facendoli nascere a Shadyside.
Ci si fermasse al solo paragrafo precedente, si potrebbe pensare che le fondamenta di Fear Street Parte 2: 1978 siano più che solide, ma non è propriamente così. A supporto di quest’idea vi è la mancanza di dettame da parte della regista Janiak nella sceneggiatura del secondo capitolo, diversamente da come accade negli altri due. In particolare, sembra che l’epoca nella quale viene ambientato il film sia meno rilevante e sorretta da pezzi storici di grandi artisti come Joan Jett e Neil Diamond. La tematica razziale e le tensioni socioeconomiche vengono ereditate dal 1994, ma in questo caso la critica risulta più concreta e pesante. Vengono messi a paragone, quasi a crudo, i residenti di Shadyside con i fortunati di Sunnyvale nella competizione annuale chiamata guerra dei colori, una tradizione del campo estivo Camp Nightwing.
Una piacevole pausa di 99 minuti, prima dell’esplosione
La nota che abbiamo trovato più storta, purtroppo, è il ritmo evidentemente più lento di Fear Street Parte 2: 1978, rispetto al precedente. Il figlio di mezzo impiega quasi 50 minuti per accendere la miccia, facendo sentire la mancanza della scintilla purissima data dall’introduzione del 1994. L’intro ispirata a Scream riusciva a trainare la fase iniziale del primo film, effetto che nel sequel non è presente; alla fine, riesce a stabilizzarsi in un’atmosfera piacevolmente inquietante e magica una volta che i nostri amici si imbattono nella vecchia casa di Sarah Fier. La storia nel suo insieme è molto più lineare rispetto al predecessore, visto lo svolgimento quasi totale nel campo estivo. La prima parte infatti presentava un numero quasi impressionante di scenari, più o meno inquietanti, che qui non abbiamo.
Non sarebbe stata più efficace una trama capace di rimbalzare avanti e indietro tra i due periodi, mantenendo il focus sui personaggi principali? Questa diretta rivisitazione degli eventi di 16 anni prima mette in attesa perpetua la storia tra Deena e Sam proprio sul più bello. Nelle fasi finali di Fear Street Parte 2: 1978, abbiamo comunque la svolta tanto attesa, il famoso passaggio di consegne al termine della trilogia. Gli eventi di questo capitolo diventano chiari, palesando una storia ben più profonda e ampia che tirerà le sue somme solo il 16 luglio. È probabile, dunque, come il quadro totale della serie risulterà più chiaro e avvincente una volta completato il mosaico.
Le nostre conclusioni su Fear Street Parte 2: 1978
Gli elementi horror di Fear Street Parte 2: 1978, come nel film precedente, risultano viscerali, infondendo ogni colpo con una forza impattante, quasi provocando nausea. Senza alcun dubbio, nulla eguaglia la morte causata dall’affettatrice del pane del 1994, ma tutti gli omicidi rispettano la tradizione degli slasher. In particolare, ogni colpo d’ascia risuonerà nelle vostre teste come i migliori jiggle delle pubblicità. Vedendo una testa cadere in un buco, atterrando sulla gamba già fratturata di un altro personaggio, è inevitabile pensare ad Ahia; su questo fronte, il 1978 perpetua il contesto maturo introdotto dal 1994, in quella che è una narrativa, in fondo, per giovani adulti.
In sintesi, la trama di Fear Street Parte 2: 1978 risulta meno d’impatto rispetto al precedente, ma ciò non dovrebbe sorprendere troppo. Come affermato all’inizio, questo capitolo rappresenta il figlio di mezzo, una corda tesa tra l’introduzione e il finale; saremo infatti in grado di valutare con occhio ancor più critico il 1978 una volta assaporati gli intrecci offerti dalla terza parte ed è probabile, visto il finale esplosivo del secondo capitolo, che in retrospettiva riusciremo ad assegnarli giudizi ancor più benevoli. Al momento, il film riesce a stuzzicare una certa conclusione sempre più metafisica, che sembra avvicinarsi con lo scorrere del tempo. Potrebbe, a questo punto, il 1666 liberarsi da alcune catene posti dal genere slasher, abbracciando l’idea di un male soprannaturale, che si perpetua attraverso secoli e generazioni? Non ci è dato saperlo, ma vi aspettiamo la prossima settimana su Kaleidoverse e nel nostro canale Telegram per scoprirlo.
In un boato di sangue e crudeltà più tirato e meno sentito rispetto al precedente, il secondo capitolo della trilogia firmata Leigh Janiak Fear Street prodotto da Netflix si abbatte sulle nostre vite, non lasciando lo stesso segno del predecessore. Sembra quasi come se la storia principale sia stata messa in pausa quasi del tutto, lasciando campo a una sorta di flashback perpetuo, utile probabilmente a riconnettere l'introduzione e il capitolo conclusivo, in uscita la prossima settimana. Il prosieguo si prospetta focoso, visto l'esplosivo finale che vede protagonista il 1978. La verve slasher che ha segnato il 1994 non viene meno, ma non toccano mai le stesse cime raggiunte. Giudizio da rivalutare, comunque, una volta assaporato il termine di questa storia, avendo per allora tutti i pezzi del mosaico messi al proprio posto.