C’è una leggenda, di origini giapponesi, grazie alla quale molte coppie non solo provenienti da Oriente, riescono a comprendere i sentimenti reciproci. La storia narra di un ragazzo che, un giorno, incontra il Dio dei matrimoni, il quale gli confessa, su richiesta, l’identità della futura donna della sua vita. Purtroppo, la risposta ricevuta non soddisfa il giovane, il quale dà ordine a un suo sottoposto di farla fuori prima che sia troppo tardi. Lo scagnozzo esegue la missione ma non riesce a completarla, in quanto la vittima rimane si ferita ma riesce a sopravvivere. Vi starete chiedendo cosa c’entra tutto questo con Fear Street Parte 3: 1666, ma ci arriveremo.
A questo punto passano gli anni, il nostro giovane incontra una donna, la cui caratteristica principale risiede in questa fascia, posta sulla fronte, che non rimuove mai. Dopo anni di matrimonio, l’uomo riesce finalmente a vedere ciò che la moglie cerca di nascondere da tutta la vita, e nota la ferita causata, guarda caso, da un pugnale. Sommerso dai sensi di colpa, egli confessa tutto alla sua dolce metà, partendo dal suo incontro col Dio dei matrimoni, ma lei decide comunque di rimanere col compagno. Questo perché, secondo la leggenda, fin dal momento della nascita veniamo legati indissolubilmente a qualcuno tramite un filo rosso; siamo quasi vittime di predeterminismo amoroso, senza possibilità di poterci ribellare a tutto ciò. Ora, lungi da noi asserire a questa come forma d’amore più consona esistente, ma la morale che arriva al termine della trilogia di Fear Street, con la parte 3 ambientata nel 1666, è proprio questa. Sam e Deena sono legate nei secoli, tormentate da una maledizione che fa di tutto per impedire loro di vivere la propria storia d’amore.
Le origini del male
Partiamo da un presupposto molto importante: la prima ora del finale della trilogia è ambientata nel 1666, mentre la seconda continua dal termine del secondo capitolo. Al principio veniamo catapultati nel periodo d’inizio della maledizione, facendo la conoscenza degli antenati di Sam e Deena; in quest’epoca, Olivia Scott Welch assume il nome di Hannah Miller, mentre Kiana Madeira entra nei panni di Sarah Fier. Attenzione, ciò non significa che la protagonista sia una sua diretta discendente, in quanto Fear Street Parte 3: 1666 la sfrutta solo come pretesto per vivere le vicende dal punto di vista della strega.
L’allora villaggio di Shadyside è rappresentato in modo corretto rispetto al periodo storico nel quale è ambientato il film. Siamo di fronte al classico covo di fanatici religiosi, che attendono solo di poter vedere la prossima presunta strega penzolare da un albero, dopo esserci stata appesa con un cappio. Si vive di agricoltura, in una terra che brulica di fertilità, passando le giornate dividendosi tra casa, chiesa e bevute con i compaesani. Insomma, l’approccio che si ha con questa versione della città nel 1666, nella parte 3 di Fear Street, è in totale contrapposizione con i due film precedenti. Non c’è traccia dell’apatia trasmessa da Deena verso il suo luogo d’origine, di quella sensazione capace di eliminare qualunque speranza, a chiunque abbia la sfortuna di nascerci. Tutto questo, fino a quando non veniamo a conoscenza dell’origine del male.
Tutto è connesso in Fear Street
Nella scorsa recensione, ci siamo lasciati con l’idea che questo terzo capitolo conclusivo avrebbe quasi certamente ricollegato tutti i pezzi del mosaico, Questo perché, nell’ordine delle cose, il primo ha introdotto la tematica, il figlio di mezzo ha raccontato parte della storia, utile per collimare in un atto conclusivo vivibile, quasi come un film a sé stante. Fear Street Parte 3: 1666 riesce a staccarsi dai dogmi del genere slasher, regalandoci un’opera drammatica con una trama propria, non dimenticandosi di completare la tela iniziata dai due fratelli maggiori. I fili che collegano la trilogia vengono snocciolati con calma, lasciando tempo ai personaggi del 1666 di emergere, come nel caso di Solomon (Ashley Zukerman),
Di solito, è difficile che in una trilogia il terzo capitolo riesca anche solo a pareggiare i picchi del primo. Fear Street invece, migliora col passare del tempo, fornendo un’esperienza capace di coinvolgere lo spettatore dal primo all’ultimo minuto. Il merito più grande della regista Leigh Janiak e dei suoi co-sceneggiatori in questo terzo atto risulta proprio nella capacità di far vivere all’utente due ore nelle quali le rivelazioni camminano passo passo con l’evolversi della trama che sta avvenendo nel 1666. Addirittura, anche le ambientazioni principali nelle quali si svolgono le vicende che legano trapassato e presente sono interconnesse: la chiesa del villaggio, il centro commerciale, l’albero postovi al centro, la tomba di Sarah Fier sono luoghi cambiati solo dallo scorrere del tempo, ma che potrebbero essere scambiati rimanendo sempre nello stesso punto. La parte 3 di Fear Street: 1666 è un susseguirsi di emozioni, ansia, amore sincero e tossico, coadiuvate da una costante voglia di scoprire la prossima rivelazione. Almeno fino a quando non ci verranno contrapposti due volti, i due maledetti volti, che tutte le nostre convinzioni faranno vacillare.
La mano tesa verso le lotte delle donne
Come nei precedenti capitoli, anche Fear Street Parte 3: 1666 prende una posizione chiara, forte e decisa nei confronti delle lotte delle donne. Anzi, in questa terza iterazione dà il meglio di sé, mettendo in gioco tutte le carte solo accennate dai due predecessori. Mascolinità tossica, omofobia e patriarcato vanno a braccetto col periodo storico nel quale il film è ambientato, sfruttando a pieno l’occasione di portare a schermo ciò che le protagoniste provano. Non a caso, dunque, il carattere di Sarah Fier è stato pensato garantendole una personalità forte, ribelle e vogliosa di riscatto da una vita sulla quale, sembra, non avere potere decisionale.
La ragazza è costretta a sopportare uomini che cercano di sfruttare il suo corpo, un padre voglioso di vederla sposata con un uomo ricco, e una società che non le permette di emergere o di vivere la sua relazione d’amore con Hannah Miller, poiché ritenuta un atto depravato. D’accordo, siamo nel 1666, ma non vi sembra che molte, se non tutte, di queste tematiche possano essere applicate anche al 2021? In contrapposizione a tutto questo male, Fear Street Parte 3: 1666 ci mostra il vero amore, quello puro che prescinde da genere o provenienza sociale. Sam e Deena, Sarah e Hannah sono legate da un filo talmente indissolubile dal trascendere il tempo, rimanendo intatto allo scorrere di secoli e generazioni. Loro saranno sempre innamorate anche al costo di rischiare la propria vita, magari tornando addirittura indietro nel tempo, pur di salvare quella dell’altra.
Le nostre conclusioni su Fear Street Parte 3: 1666
Per concludere, possiamo dirvi che nel suo complesso la trilogia si rivela di altissimo livello. Se avevate paura, magari, di terminare la visione di quest’ultimo capitolo rimanendo con l’amaro in bocca, potrete anche iniziare a dimenticarvela. Questo terzo capitolo ci fa comprendere come i tre film costituenti la storia di Fear Street siano tre diverse ramificazioni di un unico grande albero. Siamo di fronte a delle opere progettate ognuno con un climax diverso, in grado di camminare da sole, mantenendo però sempre vivo il legame che le coinvolge. Paradossale poi come, a discapito del pochissimo tempo avuto a disposizione con la telecamera, la prova della vera interprete di Sarah Fier (Elizabeth Scopel) riesca a rimanere impressa, probabilmente aiutata anche dalla grande costruzione che c’è dietro il personaggio che impersona. Insomma, non ci resta che dire grazie Leigh Janiak e Netflix, per aver portato a schermo un prodotto così variegato e ricco di sfaccettature. Noi come sempre vi ringraziamo per la lettura, e vi aspettiamo su Kaeldoverse e nel nostro canale Telegram per molto altro.
L'atto conclusivo della trilogia di Fear Street rappresenta il canto del cigno di questa serie di film. L'opera riesce, infatti, a collegare tutti i capitoli precedenti rendendoli interconnessi ma univoci nello stesso momento, ricomponendo tutti i pezzi del mosaico sparpagliati sul tavolo dai predecessori. In aggiunta, questa terza iterazione ci regala una direzione artistica ben curata, ben visibile durante il periodo passato nel villaggio di Shadyside nel 1666. Un plauso va concesso a Leigh Janiak e i suoi co-sceneggiatori, che sono stati capaci di inserire parte delle difficoltà che deve vivere una donna ogni giorno solo per il fatto di esserlo, in una maniera consapevole senza mai cadere in banalità o eccedendo nel volgare.