Il panorama videoludico italiano è colmo di piccole grandi perle, in grado di risplendere e tenere alto l’onore del Bel Paese. Ne sono un esempio Timothy and the Mysterious Forest e Hundred Days, i primi due ospiti di IndItaly, la nostra rubrica dedicata agli indie italiani che quest’oggi è dedicata a Eldest Souls. L’opera prima di Fallen Flag Studios è infatti senza ombra di dubbio una delle più limpide prove di forza del panorama indie italiano degli ultimi mesi, capace di lambire (e di toccare anche con alcune versioni) quota 80 su Metacritic. Un successo di cui abbiamo parlato direttamente con gli sviluppatori nella nostra intervista esclusiva.
Hundred Days: intervista a Fallen Flag Studios
Eldest Souls è il vostro primo titolo e la storia dietro Fallen Flag Studio pare essere particolarmente intrigante. Potete gentilmente raccontarci qualcosa di più sulla genesi del vostro studio e sull’idea alla base di Eldest Souls?
In verità non è una storia molto interessante! Durante le superiori io (Jonathan) e il secondo fondatore (Francesco) eravamo buoni amici ed entrambi molto appassionati di videogiochi. Ai tempi pensavamo che fare videogiochi sembrasse una carriera facile (magari!) e divertente, e quindi cominciammo a pensare al nome dello Studio, quali tipi di giochi volessimo fare, ecc. Dopo qualche annetto, quando eravamo entrambi in università, decidemmo di cominciare, quasi per hobby, a sviluppare il nostro “dream game”. Essendo entrambi appassionati di soulslike, boss-rush (e un pizzico di DMC), finimmo per creare la prima demo di Eldest Souls.
Eldest Souls era quindi inizialmente un semplice frutto della nostra passione, che non pensavamo sarebbe mai stato messo in vendita. Si trattava solo di un hobby e nel gioco ci sono infatti vari elementi che vengono proprio dai nostri giochi preferiti (Souls-series, Titan Souls, DMC), mentre nelle boss-fight alcuni giocatori possono anche riconoscere addirittura qualche elemento da MMO’s (come FFXIV), visto che eravamo molto appassionati anche di quelli durante l’inizio dello sviluppo. Dopo qualche mese, portammo la nostra piccola demo di Eldest Souls in vari eventi (sia in Italia che in Inghilterra, dove studiavamo), e la ricezione dei giocatori fu così buona che decidemmo di provare a “fare sul serio”, trovando fortunatamente un publisher e riuscendo quindi a lavorare al gioco full-time.
Eldest Souls è interamente composto da boss, ossia dalla vera essenza di ogni buon soulslike che si rispetti. Come vi è venuto in mente di basare il vostro titolo di esordio su questo concept, quali sono le principali sfide che avete dovuto affrontare a riguardo?
Questa scelta è stata fatta principalmente per due motivi: ci piacevano moltissimo i boss-rush games (Furi, Titan Souls) e credevamo appunto che nei souls-like alla fine l’elemento più eccitante fossero i vari boss. Il secondo motivo era che, essendo due studenti senza molta esperienza o fondi, pensavamo che mettere la maggior parte della nostra attenzione sui boss veri e propri fosse il miglior utilizzo del nostro tempo. Penso che alla fine questo concetto abbia funzionato, nonostante abbia avuto anche dei lati negativi, come per esempio il tanto stress nel cercare sempre di rendere ogni singolo boss al tempo stesso divertente, difficile e unico.
I soulslike, si sa, sono un genere che si basa soprattutto sulla gratificazione data al giocatore per il completamento di qualche scontro particolarmente impegnativo. Ma come si riesce a ottenere questo risultato senza scadere nella frustrazione o in un livello di sfida tarato artificiosamente verso l’alto? Qual è il segreto per ottenere il tanto agognato equilibrio?
Se avessimo la risposta Eldest Souls sarebbe un 100 su Metacritic! Abbiamo fatto del nostro meglio per trovare un buon balance, e penso che alcune delle scelte di design decise abbiano aiutato. Per esempio, nella maggior parte del gioco è possibile trovare strade differenti per diversi boss, in modo di dare al giocatore la possibilità di cambiare percorso se si sente bloccato su un determinato boss. Inoltre, al contrario dei classici “Boss-rush games”, abbiamo un sistema di progressione del personaggio, con uno Skill Tree con varie scelte e playstyle, e un sistema di “Boss Shard”, dove ogni boss sconfitto dà accesso a nuove skill e effetti. Quindi appunto, ogni boss sconfitto può dare un bel vantaggio per il prossimo. Ma alla fine, essendo un gioco estremamente difficile, senza dubbio la frustrazione è un grande fattore di Eldest Souls e non possiamo fare altro che sperare che i giocatori trovino la motivazione di continuare, imparando pian piano i boss, fino a superare le sfide che inizialmente sembravano impossibili.
Tre membri del team e tre freelancer: le persone dietro Eldest Souls si possono quasi contare sulle dita di una mano, ma, nonostante ciò, il risultato finale è di tutto rispetto. Come siete riusciti a ottenere in così pochi un titolo come Eldest Souls? Il tutto è stato frutto di una saggia e studiata pianificazione iniziale o vi siete soprattutto fatti trascinare dall’entusiasmo?
Essendo partiti come due studenti universitari, veramente di pianificazione purtroppo non ne avevamo molta all’inizio! Penso sia stata una serie di fortunate coincidenze, trovando le giuste meccaniche per il gameplay, mentre la fortuna di conoscere e lavorare con persone di tantissimo talento e passione ci ha aiutato a rendere la nostra visione di Eldest Souls un gioco completo.
Ora che siete freschi dal lancio di Eldest Souls, cosa vuol dire sviluppare un videogioco in Italia? Che clima avete trovato, il panorama degli sviluppatori italiani si è rivelato di supporto a una realtà giovane come la vostra?
Forse non siamo le migliori persone a cui chiederlo, visto che per buona parte del ciclo di sviluppo ci trovavamo in Inghilterra per via dei nostri studi. Tuttavia, posso dirvi che le poche esperienze che abbiamo avuto in Italia sono state estremamente positive. Abbiamo partecipato allo Svilupparty e Milan Games Week e in entrambi i casi il sostegno e supporto dei giocatori per le nostre demo fu veramente una grandissima motivazione per continuare a lavorare duro. E poi, con il lancio del gioco, abbiamo veramente avuto un grandissimo supporto da molti Content Creator Italiani (YouTube, Twitch), che non solo hanno deciso di coprire il gioco, ma anche di darci anche tantissimi complimenti e sostegno.
Gli strumenti attualmente a disposizione in Italia per il settore videoludico, come ad esempio il First Playable Fund, si sono rivelati sufficienti per uno studio giovane come Fallen Flag? Secondo voi la situazione in Italia è ancora nettamente indietro rispetto a quella di altri Paesi, anche europei, o pian piano le cose stanno migliorando?
Avendo iniziato lo sviluppo in Inghilterra, non abbiamo utilizzato il First Playable Fund, quindi non saprei dirvi. Abbiamo notato che ci sono molte iniziative simili sia in Europa che negli Stati Uniti, e stanno continuando ad allargarsi, quindi non possiamo fare altro che sperare che l’Italia rimanga al passo con i tempi! (C’è sempre una prima volta, giusto?)