Prima del suo debutto a Spa ’91, Michael Schumacher era conosciuto da pochissimi, ma lungimiranti, al di fuori dei circoli delle corse. “Quella sera ci siamo seduti in piazza e abbiamo mangiato la pizza, nessuno è venuto da noi”, ricorda Rolf Schumacher, padre del sette volte campione del mondo. “Ed è stata l’ultima volta che nessuno ci ha mai disturbato.” Girando il nastro di trent’anni in avanti, giungiamo al cospetto del campione, soggetto dell’ultimo documentario sulla Formula 1 targato Neflix. Si tratta prettamente di un lungometraggio che include filmati di famiglia inediti e ripercorre la sua carriera, con un focus su tutti gli eventi che l’hanno plasmato. Oltre a offrire nuove informazioni agli appassionati, il vero obbiettivo di Schumacher coincide col desiderio di portare a una nuova generazione di spettatori la sua leggendaria e controversa carriera. Perché, insomma, se “da quando Baggio non gioca più, non è più domenica“, allora, “da quando Michael non corre più, non è più la stessa Formula 1“.
Undici anni fa, la magnifica regia di Asif Kapadia ci regalava una gemma di strazio e drammaticità grazie al documentario dedicato al compianto Ayrton Senna. Stavolta, con Schumacher, si è voluto cercare di mantenere la stessa idea fondamentale, cercando di cogliere il calore dell’essere umano dietro all’apparente freddezza sempre volta alle telecamere dal campione tedesco. Schumacher ha sempre posto un muro tra le corse e la vita privata allo scopo di difendere la sacralità della propria privacy da occhi indiscreti; Netflix è riuscita dunque a rompere questa barriera, creando un prodotto in grado di approfondire il viaggio di Michael, partendo dal karting a Kerpen, fino ai titoli con la Ferrari. Col tutto coadiuvato dà interviste esclusive alla famiglia, clip nascoste negli archivi più segreti della F1, e chiacchierate con amici e rivali. Il personaggio di Michael Schumacher viene dunque dipinto sì favorevolmente, ma senza risparmiare le critiche, quando necessarie.
Il calore oltre la freddezza di Schumacher
Diversamente da come si potesse immaginare il lavoro di Netflix, Schumacher non è un documentario che si focalizza sui suoi risultati ottenuti in gara anno dopo anno. Siamo di fronte a un prodotto che apre il sipario verso un pilota che ha goduto di un successo senza precedenti, sperimentando tutto il peso delle aspettative che ne, inevitabilmente, derivano. Gli atti dell’opera, che partono dal suo debutto fino al primo titolo Ferrari nel 2000, vengono scanditi dai diversi momenti chiave della sua carriera; non poteva non essere affrontata anche la condizione attuale del campione: in un’intervista toccante, sua moglie Corinna spiega come venga trattato nel miglior modo possibile, dopo l’incidente avvenuto durante una traversata sulla neve con gli scii nel 2013. E, come avrebbe voluto Schumacher stesso, continuano a non persistere filmati recenti di lui. E va benissimo così.
Il documentario Schumacher targato Netflix, tuttavia, presenta anche molti filmati d’archivio inediti, direttamente dai circuiti dii Formula 1 ma anche dal caveau di famiglia. Dalle prime gare competitive in Lussemburgo ai ritiri per le vacanze lontano dal paddock, le clip rivelatrici sono l’aspetto più intrigante dell’intera opera. Tante piccole gocce di pioggia, che aiutano a completare il mosaico di un campione che ci ha fatto esultare, come pochi altri. Corinna ricorda come il suo approccio alle corse sia stato in costante evoluzione rispetto ai primi anni alla Benetton. Quello che abbiamo visto da fan Ferrari è frutto, oltre del talento, ma soprattutto di una evoluzione costante settimana dopo settimana, che è culminata nella macchina vincente in rosso. Le interviste a Schumacher dipingono il quadro della loro vita privata, lontano dai media e dalle piste. Ci viene ritratto un pilota che prima, quando ancora in fasce, riusciva ad approcciarsi alle corse in modo spensierato, ma una volta giunto nella tana dei grandi ha dovuto porsi sotto lo stress della Formula 1. Non a caso dunque le sue dichiarazioni su come sperasse di evitare la celebrità quando è diventato uno sportivo a tutti gli effetti risuonano quasi come un preludio a ciò che verrà in seguito. Ai mille dubbi, alle insinuazioni su sé stesso, tutto durante la resa dei conti per il titolo con Damon Hill e Jacques Villeneuve.
Il peso oscillante della perfezione
I primi anni passati in Benetton, non partendo col costante bisogno di vincere sbaragliando tutto e tutti, sono tra i più felici della vita di Schumacher, o almeno così ci racconta il documentario Netflix. Ma la vita come superstar della F1 diventa il tema prevalente quando le pressioni per portare il campionato del mondo da pilota Ferrari iniziano a tormentarlo. Ed è qui che molti degli spettatori giunti qui con conoscenze pregresse sul pilota si sentiranno ingannati. Non c’è una vera indagine sul lato oscuro del suo record di corse. Adelaide ’94 e Jerez ’97 sono sì toccate, con le figure chiave che riescono a offrire una loro prospettiva, ma la mancanza di un’analisi completa è palpabile. La testimonianza di Hill è sicuramente un punto a favore, ma l’assenza di Villeneuve lascia molto a desiderare. In aggiunta, le motivazioni poste da Ross Brown a difesa di Schumacher non lo portano alla piena assoluzione, ma ci offrono uno spunto; all’epoca, nonostante tutto, l’uomo di punta Ferrari riuscì a tagliare il traguardo, partendo alla ricerca di ciò che divenne per egli rapidamente cruciale: la perfezione.
Il documentario decide di presentarci il 1997 come il punto più basso della carriera di Schumacher. Nessuno si sogna di difendere le azioni del pilota a Jerez, ma ci viene rivelato come il trasferimento in Novergia in bassa stagione, lo abbiano trasformato nello sportivo ossessionato dai dettagli. Altresì, le fortune della Ferrari sarebbero potute non arrivare. L’uomo viene messo da parte, anteponendo forma fisica, capacità relazionali con i membri del team e la determinazione necessaria per dare una svolta alla Scuderia a tutto il resto. Corinna descrive come fosse arrivato a pianificare le sue giornate minuto per minuto, comprendendo anche degli schemi di sonno, costringendo la moglie a dormire spesso nel bagno, pur di non disturbarlo mentre dormiva. Non c’è un controinterrogatorio del sette volte campione del mondo nel modo in cui molti magari speravano, ma i dettagli del suo modus operandi e come i diversi eventi chiave della sua carriera hanno modellato il pilota che sarebbe diventato, fanno da contro altare ugualmente godibile.
Le nostre conclusioni su Schumacher
Diciamo che, coprendo la morte di Ayrton Senna, rivali inaspettati e affrontando ancor più da vicino la fama indesiderata, il documentario Netflix Schumacher potrebbe anche durare più di due ore senza risultare troppo borioso. La scelta di non focalizzarsi sugli anni di dominio del campionato, quindi dal 2001 al 2004, è condivisibile, dato che si è voluto approfondire più il lato umano che quello sportivo del pilota. Allo stesso modo, anche i suoi anni alla Mercedes vengono sorvolati quasi non fossero mai esistiti, procedendo verso l’inevitabile finale malinconico. A supporto del progetto, ci sono una miriade di personaggi chiave intervistati della carriera di Michael. Flavio Briatore, Jean Todt, Bernie Ecclestone, Mika Hakkinen e David Coulthard sono solo parte delle meravigliose testimonianze, che avrete modo di ascoltare durante l’ora e 52 minuti di esecuzione.
In combinazione alle mille interviste, i filmati d’archivio inediti offrono colori autentici e prospettive coinvolgenti da tutti i punti di vista possibili, partendo dagli amici per finire ai nemici. In effetti, la sua carriera si è protratta per così tanto tempo che sembra ci sia una sorta di dipendenza dà alcuni narratori, quando magari ancor più punti di vista avrebbero migliorato il prodotto finale. La tragica storia di Ayrton Senna rimarrà sempre la più raccontabile, quando si parla di documentari sulla Formula 1, ma Michael Schumacher è e rimane uno dei più grandi sportivi di tutti i tempi. Insomma, doveste essere alla ricerca di un prodotto che tratta maggiormente il lato sportivo delle sue imprese, potreste ritrovarvi un attimo spaesati. Ma, in qualunque caso, se la vostra passione verso il pilota dovesse essere sufficiente, staccarsi dallo schermo risulterà comunque complicato. Da noi tutti di Kaleidoverse un doveroso ringraziamento per aver letto la nostra recensione, rimandandovi al nostro canale Telegram per rimanere sempre aggiornati.
In un tripudio di informazioni inedite, verità smentite e altre purtroppo non rivelate, il nuovo documentario targato Netflix su Michael Schumacher riesce nell'intento di portare a schermo, per la prima volta, non solo il grande campione che è stato, ma soprattutto l'uomo che egli stesso ha cercato per tutta la vita di tenere nascosto dalle telecamere. Le tematiche dello stress sportivo, di una passione per le corse che va pian piano a stravolgersi, per diventare una vera e propria ossessione verso la perfezione, arrivano di facciata, assieme a delle interviste con alcuni protagonisti della carriera del campione troppo lunghe, e ripetitive. La seconda parte della sua vita sportiva è stata solo leggermente sfiorata, lasciando intendere come se ci fosse stato modo, il documentario sarebbe potuto durare ancora di più. Rimangono comunque delle ottime reliquie, per uno degli atleti migliori che siano mai esistiti, non solo sulle quattro ruote.