Oggi è un giorno che ha fatto la storia. Spesso si usa questa frase in senso positivo: può rivolgersi ad una grande scoperta scientifica, storica, o in qualunque altro ambito, ma talvolta porta con sé sentimenti di tristezza. Sfortunatamente, è questo il caso del film che tratteremo oggi. L’11 settembre non sarà mai dimenticato e anche noi di Kaleidoverse abbiamo deciso di onorarlo a modo nostro. Siamo qui per parlarvi di un film a mio avviso meraviglioso, uno di quelli incredibilmente lunghi, che magari all’inizio non ci va neppure di vedere, ma che, fidatevi, finirà con l’essere uno dei più toccanti che abbiate mai visto. Sto parlando di Il mio nome è Khan, pellicola del 2010 diretta da Karan Johan e presentata in Italia, fuori concorso, al Festival internazionale del Film di Roma.
Iniziamo malissimo…
Il mio nome è Khan ci trasporta fin da subito in un contesto piuttosto drammatico, ma non sarà così a lungo, non preoccupatevi. Ci viene presentato il protagonista assieme alla sua famiglia, composta da egli stesso, sua madre e suo fratello. Rizwan Khan è un ragazzino musulmano affetto dalla sindrome di Asperger. Per chi non conoscesse tale malattia, ciò che dovete sapere sono le conseguenze di essa: incapacità di esprimere le proprie emozioni che vengono viste come un causa-effetto (esempio: mi succede qualcosa di brutto quindi so che di conseguenza provo tristezza, ma non riesco a esprimerla), paure irrazionali, come, nel caso del protagonista, del colore giallo e dei forti rumori. Khan prende tutto ciò che gli si dice alla lettera, non riesce a guardare le persone negli occhi e segue rigidamente delle regole personali, ad esempio ha orari fissi per i pasti e non riesce a mentire; in più ha infinite conoscenze su argomenti “strani”, come le date di costruzione dei primi treni.
Tuttavia, la vita di Rizvan non è così tragica come potrebbe apparire: può contare sull’affetto di una madre meravigliosa e sulla sua intelligenza. Ha anche ricevuto degli insegnamenti che verranno ribaditi durante tutta la pellicola. Nello specifico – e in un film che parla di razzismo è importante – la madre gli insegna come “al mondo esistono due tipologie di persone: quelle buone, che fanno le cose buone, e quelle cattive, che fanno le cose cattive, questa è l’unica differenza che c’è tra le persone, l’unica.”
…e proseguiamo meglio per poi cadere di nuovo
Trasferitosi in età adulta a San Francisco insieme al fratello, Rizvan riesce, nonostante le sue difficoltà, a costruirsi una vita felice, trovando anche una moglie meravigliosa a cui non importa della malattia del marito (molto divertente la scena della prima notte di nozze considerando il suo odio nei confronti del contatto fisico). Belle premesse vero? Peccato che tutto ciò che vi sto dicendo avvenga prima del fatidico 11 settembre. Cosa succede dopo? Vi ricordo solamente che Rizvan è musulmano. Il tema della discriminazione in questo film è affrontato in modo superbo. Ci sono personaggi che non riescono ad affrontare il tutto, giustamente. Vediamo alcuni musulmani che non pregano per la paura, donne che levano il burka in lacrime, commessi presi in giro senza ragione… questo perché non tutti rispettano il detto “non fare di tutta l’erba un fascio”.
Non Rizvan. Quella che potrebbe sembrare semplice ingenuità è in realtà la sua fede. Egli continua a pregare, a rispettare la sua religione, arrivando addirittura a farsi arrestare dai terroristi e riportandoci, di tanto in tanto, alcune voci del Corano per dimostrare che Allah non predica la violenza. Nessuna religione è completamente giusta, così come nessuna è completamente sbagliata. Non so quale sia la vostra, se praticate o meno, ma provate a immaginare come vi sentireste se per colpa delle azioni di un altro le persone iniziassero ad avere paura alla sola vostra vista. Come succede, ad esempio, agli individui di colore negli aeroporti, che vengono, statisticamente parlando, perquisiti più spesso dei caucasici.
Una parola chiave per Il mio nome è Khan: la bontà
Se dovessi parlare con qualcuno che ha visto Il mio nome è Khan probabilmente lo terrei incollato a una sedia per qualche ora, ma fortunatamente per voi oggi l’obiettivo è quello di invogliarvi a vedere la pellicola. Tuttavia, ci sono alcuni piccoli dettagli che mi preme dirvi per farvi capire la meraviglia di quest’opera, ma senza per questo rovinarvi nulla. Un concetto tanto banale quanto importante: la bontà. Khan ha imparato fin da piccolo che ci distinguiamo in persone buone e cattive e nella sua semplicità vuole fare di tutto per essere una persona buona. Non riesco a immaginare come potreste non amarlo. Fa, anche a causa della sua malattia, delle gaffe molto divertenti, ma lo adorerete anche per questo.
Il suo modo di dire la verità, talvolta danneggiandosi, indica questa caratteristica. Come quando suggerisce a una commessa a cui dovrebbe vendere dei cosmetici di comprarne meno di quelli che lei richiede, specificando che per la grandezza del suo locale e vista la scadenza dei prodotti, il numero richiesto sarebbe eccessivo. Quante persone farebbero questo discapito dei propri guadagni? Oppure, durante una cena particolarmente carica di tensione, alla domanda “com’è il pollo Rizvan?” egli risponde che fa schifo, per non mentire. La cortesia implicherebbe di non dire ciò, ma la risata che alimenta in tutti non potrà non far sorridere anche voi.
E gli altri?
Non dubitate di nessuno. Mi sono focalizzata sul personaggio principale, ma anche tutti gli altri sono fondamentali ai fini della trama di Il mio nome è Khan, tutti ben costruiti e con tante sfaccettature. L’11 settembre non ha colpito solo i musulmani: nel film vedremo anche altri che subiscono delle perdite e dei danni personali che vi toccheranno nel profondo. È presente inoltre un personaggio molto controverso che spinge semplicemente al ragionamento. Non posso dire chi è per non rovinarvi la sorpresa, vi basti sapere che è un musulmano che ci farà riflettere su un “razzismo al contrario”, siccome vorrebbe spingere Rizvan a non fraternizzare con persone culturalmente differenti. Vedremo a un certo punto della pellicola anche come, dopo l’11 settembre, il caos è tale da portare a commettere torture da parte della polizia contro i musulmani (altro tema molto delicato ancora oggi).
Il messaggio di Il mio nome è Khan
Il mio nome è Khan, e non sono un terrorista. È questo il messaggio che Rizvan deve portare a una persona a dir poco importante: il presidente degli Stati Uniti. Perché? Non ve lo dirò ovviamente. Sono un musulmano e non sono un terrorista, mio fratello è musulmano e non è un terrorista, sua moglie è musulmana e non è una terrorista. Non tutti i musulmani sono terroristi. Il messaggio di pace che vuole trasmettere questo film è di una profondità incredibile. Il razzismo è ancora presente nel nostro mondo, ma bisogna affrontarlo nel nostro piccolo e il mio nome è Khan vuole trasmettere questo. Da un uomo che lavora in un piccolo negozio di bellezza può partire un grande movimento, quindi tutti dobbiamo fare il nostro quando è possibile.
Speriamo che questo film vi abbia incuriosito tanto da vederlo, perché ne vale davvero la pena. Sono promesse tante risate e altrettante lacrime, un formidabile viaggio, colpi di scena e tanto, tanto altro. Alla fine rientrerà nei vostri film preferiti. Come sempre, vi invitiamo a non perdere le notizie e gli approfondimenti su argomenti cinematografici e videoludici sul nostro canale Telegram e sul nostro sito Kaleidoverse.