Capita saltuariamente che qualche impavido cerchi di avventurarsi nel mondo dei videogiochi in solitaria, senza obiezioni di coscienza provenienti da ovvie inibizioni del tipo “Hey, ma forse non posso fare tutto questo con le mie sole mani“. Alcuni si schiantano, rimanendo impantanati in un miscuglio di insoddisfazione causa il lascito poco concreto del prodotto al quale hanno dedicato chissà quante giornate della propria vita. Altri, coloro i quali sono stati in grado di pubblicare il giusto prodotto col tempismo perfetto, assieme a un’innegabile e mai banale dose di fortuna, emergono senza possibilità di essere arenati, reclamando di diritto il proprio posto nell’olimpo dei geni per chissà quanto. Insomma, Toby Fox e Undertale vi dicono nulla? Però, come canta il buon Gianni Morandi, a farcela è uno solo su mille nonostante la lunga e travagliata salita, quindi come sarà andata al nostro conterraneo Alessandro Guzzo con la sua seconda opera, The Alien Cube?
La prima, The Land of Pain, è stata sicuramente un banco di prova utile per affinare le abilità dello sviluppatore. Allora, il gioco apparve abbastanza piatto e poco incline a un gameplay ricco di sorprese, risultando monotono nonostante la durata di sole 4 ore. Bisognava dunque ripartire da ciò che di buono era già stato fatto, cercando di migliorare laddove ce n’era bisogno. Però, riuscire a sconfiggere quel demonio che attanaglia chiunque cerchi di accedere all’olimpo sfidando Golia senza l’ausilio di un esercito, agendo da Davide, non è mai impresa facile. Siamo, dunque, davvero pronti a giustificare qualsiasi strafalcione con la frase “Giusto, però l’ha sviluppato una persona sola“? Io no, e ve lo spiego in questa recensione di The Alien Cube, prodotto dalle mani italiane di Alessandro Guzzo.
Dov’è l’innovazione?
Partiamo da un semplice quanto scontato presupposto. The Alien Cube è un gioco horror in prima persona dalla durata stimabile tra le 4 e le 5 ore. Veniamo immersi nella trama da questo apparente sogno, nel quale assisteremo allo schianto di un ufo al suolo, avvenimento che condizionerà tutto l’avvenire prossimo del protagonista. Una volta rinsaviti, avremo modo di seguire le tracce lasciate da nostro zio Edgar, il quale scopriremo averci lasciato in eredità il suo appartamento, Ovviamente, la casa è infestata da presenze, circondata da un’atmosfera spettrale e carica di elementi ansiogeni, rappresentando l’habitat naturale per una storia tetra e misteriosa, come chissà quante ne abbiamo già viste. Che sia questo il problema di The Alien Cube? Beh, sì.
Quando scegliamo di approcciarci a un gioco di questo genere, dovremmo sempre tenere in considerazione come l’aspetto predominante debba essere l’ansia costante, quasi come se il pericolo fosse sempre e comunque dietro l’angolo. E questo, c’è da darne atto ad Alessandro Guzzo, è innegabile per quanto riguarda The Alien Cube. Il nocciolo della questione sta in come il gameplay debba riuscire a sorreggere quest’infrastruttura di ansia e terrore. Creare l’ennesimo prodotto a schermo del mondo videoludico horror senza alcuna innovazione per quanto concerne la giocabilità effettiva dello stesso è come comprare due felpe dello stesso tipo ma che differiscono solo in alcune sfumature di colore. Può starci, magari una delle due risalta certi aspetti che l’altra non riesce, ma in fin dai conti hai comprato lo stesso oggetto. Insomma, se Death Stranding al lancio fu definito come un Walking Simulator, non riesco a non definire The Alien Cube come l’ennesimo Horror Walking Simulator, a prescindere dal numero di persone che ci hanno lavorato.
The Alien Cube incute timore
Come da prassi per i videogiochi a tema horror, è impossibile pensare di non domandarsi quanto ciò che stiamo effettivamente vivendo attraverso le vicende del protagonista ci stia incutendo o meno timore. Generalmente, questo aspetto viene sostenuto da una serie di elementi che, se accostati nel modo giusto, riescono a portare alla luce un’opera degna del genere nel quale si rispecchia:
- Ambientazione.
- Suoni.
- Atmosfera.
L’ambientazione esterna di The Alien Cube è generalmente poco rimarcabile, tant’è che non ho ricordi di luoghi che non siano interni impressi al punto tale dal poterli descrivere. Spostandoci invece all’interno degli edifici, la musica cambia notevolmente. La quantità di dettagli che lo sviluppatore, Alessandro Guzzo, è riuscito a far risaltare e inserire negli ambienti chiusi lascia quasi a bocca aperta. La precisione e l’apparente semplicità delle stanze di casa dello zio Edgar, o delle caverne trovano conferma grazie a dei suoni raramente così ricchi di pathos e distribuiti col tempismo perfetto. Il rumore prodotto da un vetro che si infrange al suolo, la canzone di un qualche gruppo che parte in automatico dallo stereo, il cigolio delle porte o anche il solo rumore della pioggia, sono tutti suoni impossibili da dimenticare, anche dopo aver terminato l’avventura in The Alien Cube. Il tutto viene poi coronato da un’atmosfera di timore costante, nella quale avremo simultaneamente difficoltà nel collegare i vari pezzi della storia ma anche il terrore di aprire quella porta che nasconde chissà quale segreto. Degna di nota una pioggia torrenziale che imperverserà sulle nostre teste mentre saremo in fuga da un nemico del quale a stento sappiamo qualcosa. Purtroppo, l’intero sistema crolla senza le fondamenta di una narrativa ben strutturata e chiara, con i rimandi Lovecraftiani presenti ma non sviscerati al punto tale dal permettere a chi gioca di comprendere realmente ciò che sta accadendo. E vien proprio da pensare a cosa sarebbe potuto essere The Alien Cube, se Alessandro Guzzo non fosse stato il piccolo Davide che cercava di sfidare Golia.
Non posso fare tutto da solo
Veniamo ora al punto più dolente che ho riscontrato giocando a The Alien Cube, il quale mi ha portato quasi alla frustrazione. Diciamo che lo sviluppatore ha cercato di realizzare un’opera con una forte componente puzzle all’interno, riuscendo con alcuni enigmi a sorprendere vista la loro complessità, ma trovo la scelta alla base del game design di non inserire alcuna forma di suggerimento in un’opera horror decisamente ragguardevole. Non riesco a capacitarmi di come si sia preferito abbandonare il giocatore a sé stesso, senza nemmeno lasciar spazio alle classiche riflessioni che magari il protagonista di molti giochi affini realizza mentre noi siamo alle prese con le ricerche. I classici “Magari lì fuori c’è qualcosa” o “Chissà cosa c’è in quel cassetto“. Nessuno ha chiesto la luce guida di DeadSpace, ma non credo che l’horror sia il genere adatto per abbandonare i giocatori a loro stessi, senza dargli un minimo di supporto.
Fa ancora più sorridere come il tutto sarebbe stato risolvibile con una serie di dialoghi spruzzati qua e là, o magari questo è un modo per distogliere lo sguardo da un gameplay decisamente approssimativo? Forse, lasciandoci ingarbugliati in enigmi spesso inutilmente complicati, ci si era fatta l’idea di poter oscurare questa mancanza dandole meno peso rispetto a quanto dovrebbe averne. Proprio per questo motivo, la pazza avventura che The Alien Cube sembrava poter essere, si riduce a un classico viaggio ok, ma non folle. Tra l’altro, la mancanza totale di cutscene fa sentire l’assenza di quel cambio di prospettiva che diamo alle volte per scontato, ma si rivela necessario in titoli focalizzati sempre sulla stessa telecamera, ergo stavolta in prima persona.
Le nostre conclusioni su The Alien Cube
In sunto, possiamo dire che l’impegno di Alessandro Guzzo nella realizzazione di quella che è solo la sua seconda opera, The Alien Cube, è evidente e degno di nota. Per quanto abbia deciso di non giustificare le mancanze del gioco con la frase “beh, ha lavorato da solo“, c’è comunque da sottolineare come abbia effettivamente lavorato del tutto in solitaria. Ciò implica come, alla luce del già ottimo lavoro ottenuto con questo titolo e The Land of Pain, provate solo a immaginare cosa sarebbe in grado di fare Alessandro Guzzo con delle infrastrutture migliori e, magari, scegliendo di non sfidare Golia senza l’aiuto di nessuno? Comunque sia, The Alien Cube si presenta come un’avventura godibile per i veri appassionati del genere horror, che non partono col precetto di dover trovare necessariamente innovazione in quello che gli passa tra le mani ma si limitano al voler provare quel brivido, che solo il timore e l’ansia generati da ambientazioni, suoni e atmosfere tetre e spettrali possono generare. Altrimenti, è probabile che per quanto possiate comunque apprezzare l’ottimo lavoro svolto, rimarrete un po’ a bocca asciutta. Noi vi ringraziamo per l’attenzione, rimandandovi a Kaleidoverse e al nostro canale Telegram per rimanere sempre aggiornati.
La seconda opera dello sviluppatore italiano che lavora in solitaria Alessandro Guzzo, The Alien Cube, ricalca le orme della precedente affinando quelli che sono i punti fondamentali di un videogioco horror. L'utilizzo del crytek engine per tutto ciò che concerne la grafica aiuta sicuramente l'ambientazione e l'atmosfera a risultare consoni alla nicchia nella quale vuole rispecchiarsi, ma ciò che sorregge davvero la baracca sono i suoni, tutti memorabili anche a giorni di distanza dal completamento del gioco. Pecca una certa superficialità nel supportare il giocatore durante la risoluzione di enigmi più o meno difficili, lasciando quasi la sensazione di essere abbandonati a sé stessi. Gameplay e narrativa poco degni di nota, sicuramente la pecca più dolente di un'opera che, tutto sommato, fornisce un'esperienza horror che rispecchia i precetti cardine del genere, senza cercare di stravolgerlo.