Sono passati ormai più di 6 anni dall’uscita di Bloodborne, cult, nonché ennesimo capolavoro, sfornato da From Software. Il titolo è stato il primo vero discostamento dal sentiero tracciato fino a quel momento per i souls, la base per lo sviluppo successivo di Sekiro e, probabilmente, anche di Elden Ring. A distanza di tanti anni, Bloodborne rimane una pietra miliare della storia videoludica, un esempio perfetto di storia accennata, arte pura applicata all’intrattenimento. I fedelissimi ne invocano a gran voce la versione rimasterizzata o, perché no, un seguito. Ma perché riscuote ancora tanto successo?
Bloodborne, ben più di un semplice videogioco
Innanzitutto l’ambientazione. Bloodborne vive e pulsa in un meraviglioso scenario gotico che muta con il proseguire del nostro sogno. O meglio, del nostro folle incubo senza fine. La notte, dalle ultime luci del tramonto fino ai primi raggi dell’alba, ammanta un mondo in rovina eppure affascinante e quasi delicato. Le creature mostruose che lo affollano non intaccano la maestosità degli scorci, l’armonia delle architetture. Tutto è incastrato alla perfezione, al punto che il giocatore finisce per amare ed apprezzare anche l’orrida ed inquietante Amygdala che penzola dai pinnacoli della cattedrale. Un fantastico tunnel a cielo aperto dritto verso la follia.
Il mistero, il buio, la paura, regnano sovrani a Yharnam e dintorni, eppure l’amaro sapore del terrore viene trasformato sapientemente dalla mano di Miyazaki in un dolce nettare di cui il giocatore non può più fare a meno. Ogni vicolo, ogni anfratto, nasconde un incubo differente, un orrido scorcio sulla follia che tenta di ghermirci. Eppure non riusciamo a distogliere lo sguardo, a tirare dritto, a fare finta di nulla. Come i grandi scrittori dell’orrore, come farebbe il sommo Stephen King, Bloodborne tiene incollate le vittime alla propria pena in una perfetta rappresentazione della Sindrome di Stoccolma. Aprire di un centimetro la sordida porta della paura, affascina tanto quando sgomenta e costringe ad andare a toccare con mano.
“Un’altra sbirciatina. Soltanto un altro po’. Apro ancora di un centimetro e poi scappo”. E poi alla fine non si scappa più, non si scappa mai, inchiodati dalla morbosa passione per l’ignoto, per la scoperta di quanto può essere effettivamente profonda la tana del bianconiglio. Bloodborne non è soltanto un videogioco. È l’esatta rappresentazione delle nostre più profonde paure, ed è proprio questo che ci impedisce di staccarcene. Solo con la paura capiamo la reale misura delle cose.
50 sfumature di… terrore
Di incubi e deliri ce n’è per tutti i gusti: ogni fobia, anche la più nascosta, qui trova spazio per scavarvi l’animo come un tarlo. Uccelli demoniaci, ragni umani, licantropi, sanguisughe, belve e uomini: a ognuno la propria controparte orrorifica, spesso grottesca e abominevole. Ma a differenza del Molliccio di Harry Potter, gli incubi, anche quando estremizzati e quasi “ridicolizzati”, qui assumono toni sempre più cupi e alienanti. Non vi troverete mai a ridere di un nemico che vi viene incontro, tutt’altro.
Miyazaki ha creato ad arte un inquietante ricettacolo infinito di proiezioni mentali folli e distorte, adatte ad ogni forma di “masochismo”. Ha scavato fino al fondo del pozzo della paura e ne ha ricavato un’opera eccezionale, introspettiva e adatta a chiunque. E, clamorosamente, Bloodborne riesce a fare tutto questo mantenendo una componente visiva e narrativa ai limiti dell’estatico. Da qualsiasi angolazione lo si guardi, con qualsiasi preconcetto di partenza lo si giochi, Bloodborne rimane un capolavoro proprio per questo. Un “gioco”, anche se una definizione simile è fin troppo semplicistica, che setaccia il nostro peggio per cercare il nostro meglio: la volontà di proseguire, di essere più forti del terrore, di andare fino in fondo all’incubo e scoprire quanto è bello risvegliarsi. La fiammella nascosta che ci rende in fin dei conti davvero umani.
E in fondo diciamocelo: anche dopo tanto tempo, reimmergersi nel sogno delirante e demoniaco, insozzarsi con il sangue nero dell’incubo, rimane ancora un’esperienza impareggiabile. Farci rapire dal fascino del nero per vedere quanto in realtà siamo grigi, non bianchi. Per altri pezzi speciali di approfondimento come questo, iscrivetevi al nostro canale Telegram e continuate a seguire Kaleidoverse, la bussola che punta sempre al Nord delle vostre passioni.