In Monaco: sull’orlo della guerra si parla molto della proverbiale rigidità nel modo di porsi degli inglesi, poiché quella dignitosa riservatezza si trasforma in dannosa cautela in materia politica, specialmente se ci si trova aa un passo dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Nella scena di apertura del film uno studente tedesco di Oxford critica il suo Paese ospitante come “distante dai sentimenti” ma, qualora dovesse esservi del vero intrinseco nella sua considerazione, questa coproduzione britannico-tedesca prende in gran parte lo stesso approccio distaccato. Creata in modo coinvolgente ma mai emotivamente capace di trasportare lo spettatore, il più che discreto immaginario del regista Christian Schwochow sui tentativi clandestini di riuscire a prevenire la guerra durante la conferenza di Monaco del 1938 si ribalta quasi come fa una pallina durante una partita di ping pong, tra le prospettive dell’aiutante politico inglese interpretato da George MacKay e il voltagabbana tedesco impersonato da Jannis Niewöhner, facendo emergere le sue simpatie e ideologie politiche attraverso le loro storie.
Il dramma storico che ne risulta è inevitabilmente indebolito nella sensazione di tensione che dovrebbe provocare una situazione del genere a causa della nostra conoscenza di ciò che è successo esattamente dopo le vicende inscenate, sebbene sul momento la storia riesca a essere abbastanza avvincente. Basato su un romanzo dello specialista di narrativa di guerra Robert Harris, il contegno severo e professionale della pellicola e i ricchi dettagli d’epoca gli conferiscono un anello di veridicità, sebbene la sua sequenza temporale ticchettante sia solo di poco meno stravagante del remix selvaggiamente astorico di raccontare gli episodi della Seconda Guerra Mondiale offerto da Jojo Rabbit di Taika Waititi. Tuttavia, qualora da appassionati del genere doveste essere disposti a mettere da parte le vostre nozioni storiche per lanciarvi in un contesto diverso da ciò che conoscete, allora siete nel posto giusto. Anche se questo sarebbe dovuto essere l’obbiettivo principale della nuova produzione Netflix Monaco: sull’orlo della guerra.
Un tedesco, un inglese e uno scopo
Per MacKay, Monaco: sull’orlo della guerra può sembrare esteriormente un logico seguito della sua carriera nel cinema a tema bellico dopo la sua interpretazione in 1917, ma siamo in realtà di fronte a una vetrina sorprendentemente smorzata per l’attore. Egli infatti impersonando Hugh Legat, un austero e preciso segretario della Whitehall, parte con l’idea di lanciarsi a capofitto nei meandri di un’urgente missione di spionaggio, speranzoso di emergere per le qualità che pensa di possedere, ma finisce bloccato nell’interpretare il meno espressivo e avventuroso dei due ruoli principali dell’opera. Dall’altra parte abbiamo Paul von Hartman, un nazionalista tedesco diventato agente della resistenza sotto copertura, dove l’eccellente Niewöhner ha “la fortuna” di interpretare sia il personaggio più vivace che, soprattutto, di vivere l’arco narrativo più avvincente che la storia ci presenta. Il problema risiede dunque in come la pellicola si basi più sul punto di vista inglese – non solo quello di Hugh, ma anche del primo ministro che appare quasi rivivere grazie alla prestazione di un mostro sacro come Jeremy Irons nei panni di Neville Chamberlain – rispetto a quello della controparte tedesca, molto spesso limitata a giocare da contro altare per dare una scossa a quella britannica.
Il prologo di Monaco: sull’orlo della guerra è ambientato a Oxford nel 1932 e presenta brevemente Hugh e Paul come compagni di college tesi a fare baldoria, vivendo le proprie avventure con la fidanzata ebrea tedesca del secondo, Lena (Liv Lisa Fries), prima di passare ai tempi più aspri, carichi di tensione e paura, del 1938. L’inglese sembra però trasformarsi in un maniaco del lavoro apparentemente estraneo a lungo dai suoi amici d’oltremanica, risultando invecchiato di circa 20 anni, nonostante ne siano passati appena sei. È innegabile la mancanza di un trucco adatto alla caratura di ciò che si vuol raccontare poiché insomma, d’accordo che si sta trattando del momento più cupo della storia recente dell’uomo, ma cercare di farlo notare rimarcando così tanto i tratti visivi di MacKay finisce solo col rendere l’aspetto di Hugh anacronistico. La sceneggiatura di Ben Power si sofferma troppo a lungo sul suo matrimonio teso con Pamela (Jessica Brown Findlay, ingratamente scelta e messa da parte) ed è lenta ad arrivare alla missione in questione, poiché i leader occidentali vengono sì convocati a Monaco per i negoziati con Adolf Hitler (impersonato da un Ulrich Matthes scarno, snervante e con gli occhi troppo azzurri), ma solo per evitare che ciò che anche lo spettatore meno informato è consapevole sia inevitabile avvenga.
Troppe idee, poco tempo a disposizione
Il primo ministro Chamberlain è pacifico ma diffidente nei confronti delle nuove idee, determinato però a vedere la propria strategia quasi come se fosse uno schema impossibile da modificare, proseguendo secondo le proprie idee in maniera ostinata. I consiglieri ministeriali arruolano Hugh per unirsi al contingente britannico a Monaco e per indagare di nascosto sull’intelligence offerta dagli alleati tedeschi alle dipendenze di Hitler, ed è qui che Paul, assente da troppo tempo dal procedimento e dalle scene, torna in gioco. La riunione tra i vecchi amici, inaspettata e carica di un imbarazzo percepibile per mezzo dell’espressività facciale magistrale di MacKay, svela intriganti tensioni caratteriali che Power e Schwochow hanno poco tempo a disposizione per esplorare e approfondire, data l’urgenza e minacciosa incombenza della Seconda Guerra Mondiale che aleggia su Monaco: sull’orlo della guerra.
Anche se le vicende si svolgono in due (più che generose) ore, Monaco: sull’orlo della guerra può sembrare drammaticamente angusto e irrequieto, e sono abbastanza sicuro di come il racconto attraverso una miniserie e non un singolo film avrebbe dato più giustizia al materiale carico di significati e storie nascoste. Si sarebbe perlomeno tratto vantaggio dallo stuzzicare il retroscena del dietrofront politico di Paul, da nazista a radicale, trama sicuramente più interessante dell’angosciante e superfluo duello tra carriera e matrimonio di Hugh, E, forse, avrebbe anche potuto giustificare il casting della sempre benvenuta Sandra Hüller, relegata invece a un ruolo stranamente marginale come cospiratrice ma arruolata nel servizio civile e amante di Paul.
Le nostre conclusioni su Monaco: sull’orlo della guerra
Per com’è stato realizzato Monaco: sull’orlo della guerra, la “carne al fuoco” risiede principalmente nei silenziosi dibattiti di principio e onore politico che abbiamo il piacere di udire tra di Hugh con Chamberlain, al quale Irons porta una malinconica e struggentemente esausta aria di grazia. È facile apprezzare la moderazione e l’intelligenza con cui sono scritti questi scambi, così come ci sono sottili ricompense formali elargite dal film nello sfogliare degli alberi autunnali e nella colonna sonora poco presente ma magistrale, quando decide di presentarsi. Ma qui c’è un dramma umano più appassionato e purosangue, che scivola tra le dita dei registi: una piccola opportunità persa, in una storia di grandi dimensioni. Noi vi ringraziamo per l’attenzione, rimandandovi a Kaleidoverse e al nostro canale Telegram per rimanere sempre aggiornati su film, serie TV, videogiochi e molto altro ancora.
Grigio, cupo e tenebroso proprio come il momento storico che cerca di raccontare, la nuova opera Netflix Monaco: sull'orlo della guerra propone un'alternativa al classico racconto fornito da un film che si pone l'obbiettivo di raccontare eventi passati, cercando di trasportare lo spettatore in una dimensione dove la Guerra sarà comunque inevitabile, ma qualcuno cercherà di escogitare un piano per provare a prevenirla. In questo bisogna dar atto alla produzione di coraggio, in quanto non era semplice pensare di snocciolare vicende storiche attraverso una trama quasi fatta di sana pianta, mantenendo comunque l'esito finale invariato rispetto al mondo reale. È un po' come riprendere le gesta di Guy Fawkes: magari le sue gesta non sono arrivate a compimento, ma hanno comunque lasciato un segno indelebile nella storia. Esattamente come il tentativo di Hugh e Paul di sventare l'inevitabile.