“I film d’animazione sono per bambini”. Capita spesso di sentire questa frase e, sapete una cosa? È abbastanza vero. I cartoni animati sono pensati per un pubblico più infantile, infatti portano spesso messaggi a dir poco semplici, come il dover essere buoni, è sbagliato uccidere o fare del male… messaggi che di certo non ci aspettiamo di trovare in un lungometraggio di Quentin Tarantino. Talvolta, però, proprio per il fatto che cresciamo e cambiamo target, iniziamo quasi a dimenticare quante emozioni di gioia ci può regalare un film che vuole fare questo: trasmettere gioia. Personalmente, mi piace ancora vivere queste emozioni, proprio per questo sono una grande appassionata di film d’animazione, e mi capita spesso di conoscere dei titoli un po’ meno considerati, non facendo parte di grandi case produttrici o essendo ormai vecchi. Oggi siamo qui, in una nuova rubrica di Kaleidoverse, per parlarvi di uno di questi: Il Gigante di Ferro.
Pellicola del 1999, il Gigante di Ferro di certo non vanta una grande animazione 3D e spettacolari effetti speciali, ma è senza dubbio una delle pellicole, per me, più belle mai viste e per questo va recuperato. È un lungometraggio che possiamo leggere sotto una chiave esistenzialista, basandosi interamente sulla domanda del regista: “che succederebbe se un’arma avesse un’anima e si rifiutasse di essere un’arma?“. Viene messa in discussione l’idea di umanità, tramite questo enorme gigante di ferro che deve decidere se essere o no un oggetto di distruzione, è infatti emblematica la frase che il protagonista gli dice: “tu sei chi scegli e cerchi di essere, scegli tu.”
Insegnamenti infantili
La storia del Gigante di Ferro si svolge in una piccola cittadina americana, Rockwell, dove vive un bambino, Hogarth, assieme alla madre. Una notte, cercando di capire perché la televisione abbia smesso di funzionare, si imbatte nel bosco in questa creatura alta trenta metri che si nutre solo di metalli e, mentre inizia ad affezionarsi, altri lo vedono come una minaccia. Poche testimonianze si mettono in contatto con il governo americano, che sarà costretto a intervenire. Il gigante è a tutti gli effetti come un bambino: non sa chi sia né da dove viene e ha relazioni solamente con Hogarth, che gli trasmette i suoi “infantili” insegnamenti, tanto che il grande desiderio diventerà quello di essere come Superman, non un’arma. Vivendo in un’epoca dove abbiamo quasi il terrore di girare un angolo, è ridicolmente bello vedere un film che vuole insegnare qualcosa di banale, ma che molti hanno dimenticato: è sbagliato fare del male.
Ciò era esattamente l’idea dello sceneggiatore del film, Tim McCanlies, il quale ha commentato: “a un certo punto, ci sono momenti fondamentali nella nostra vita in cui scegliamo chi vogliamo essere. E questa scelta ci accompagna per il resto della nostra vita“, aggiungendo che i film possono fornire agli spettatori un senso di giusto o sbagliato, e ha espresso il desiderio che “Il gigante di ferro ci faccia sentire come se fossimo tutti parti di un unico genere umano, che è qualcosa che abbiamo bisogno di sentire“.
Il Gigante: un compagno di giochi
Il personaggi principali sono Hogarth e il Gigante. Il bambino vede questa creatura con un’ottica di massima innocenza, non si domanda infatti cosa sia, da dove venga o se potrebbe essere pericoloso: non gli fa del male e ci gioca. I due si fanno un bagno al lago insieme, dove il Gigante tuffandosi crea un’onda che fa finire il bambino su un albero; usa la sua altezza per sollevarlo e fargli vedere la città dall’alto… cose che Hogarth vive come un gioco bellissimo. Quando deve spiegare “cos’è” il gigante, afferma semplicemente, in risposta a un amico, “è un essere, non un coso”. Il Gigante rappresenta esattamente lo stesso, una mentalità pacifica che vuole giocare ma nel corpo di un essere che mangia le macchine con un morso. Non concepisce l’idea di “male”, perché grazie ad Hogarth vive solo il bene, tanto da rimanere traumatizzato alla vista di alcuni cacciatori che sparano un cervo, ma è anche quella sera stessa che comprende di avere un’anima (scena da Oscar).
A contornare tutto ci saranno la madre di Hogarth, una donna che lavora molto per mantenere il figlio ma che lo adora ed è molto premurosa – una scena molto divertente vede il bambino che tenta di non far scoprire il gigante proprio alla donna, dovendosi agitare per far uscire di casa la mano della creatura – e l’antagonista del film, un uomo che lavora per il governo e che vuole a tutti i costi distruggere il gigante, non perché è pericoloso in realtà, ma perché è qualcosa di diverso e sconosciuto. Al contrario gli altri personaggi sono quasi troppo buoni: hanno paura del gigante ma a una prima azione buona di questo, o semplicemente dopo aver visto che non è minaccioso, lo accettano senza alcun problema.
Uno sconosciuto capolavoro
Il finale è qualcosa di tanto triste quanto adatto e spettacolare. Racchiude perfettamente tutto ciò che il film vuole insegnare, con insieme delle scene d’azione un po’ vecchie a livello grafico, ma che si godono a pieno. Insomma, anche da questa scena capiamo che senza dubbio Il Gigante di Ferro è una pellicola adatta a dei bambini, con molte scene ridicole e divertenti, con un messaggio che dei ragazzini possono interiorizzare, ma anche con qualcosa di più. Sfortunatamente tale pellicola è forse troppo vecchia per essere conosciuta da chi non la ha vista parecchio tempo fa in televisione, e troppo poco famosa per essere riconsiderata con un remake o qualcosa che la riporti alla ribalta.
Fortunatamente qualche premio lo ha vinto, è anche recentemente apparso come cameo nei film Ready Player One e Space Jam: New Legends, ma personalmente penso che sia un film molto migliore di quelli che al giorno d’oggi vengono proposti, forse un po’ troppo pieni di effetti d’animazione spettacolari, ma più “semplici” sotto certi punti di vista. Sperando di avervi incuriositi, vi invitiamo a seguirci sul nostro sito ufficiale e a unirvi al nostro canale Telegram, così da non perdere i prossimi consigli e le novità riguardanti il mondo cinematografico.