Avete presente i bei mockumentary (i finti documentari), come The Office o Modern Family, quelli belli che fanno sempre ridere, piangere o comunque riescono facilmente a prenderci e farci legare con i personaggi? Ecco, Hard Cell non rientra in questa descrizione. Stando a quanto dice Netflix, dovrebbe essere una serie comedy, ma vi assicuro che non c’è niente al mondo che faccia meno ridere di questo show in sei episodi da trenta minuti ciascuno. Ecco, se devo trovare un pregio per questo titolo è sicuramente la durata; non ho perso così tanto tempo della mia vita, ma nessuno mi ridarà comunque quelle tre ore.
Hard Cell, la serie di e con Catherine Tate (già vista come assistente del decimo Dottore e nelle ultime stagioni di The Office U.S.), tramite l’espediente del documentario, ci porta all’interno di un carcere femminile problematico, dove la direttrice (Tate) prova a riabilitare le detenute (alcune interpretate dalla stessa attrice) attraverso l’arte e, precisamente, organizzando un musical. Nel frattempo, una nuova donna si aggiunge alle altre, in custodia cautelare. Tra inettitudine, scarsa collaborazione e personaggi particolari, lo spettacolo riuscirà a prendere forma, alla fine?
Perché Hard Cell non fa ridere?
Partiamo dal presupposto che la serie presenta alcune idee e spunti decenti, ma per niente sviluppati e approfonditi. Per esempio si parla delle carceri, della loro gestione e dei problemi legati a queste strutture, e delle donne. Paradossalmente alcune detenute si sentono più libere lì dentro che all’esterno e questo fa più riflettere che ridere. Certo, una commedia satirica dovrebbe far pensare attraverso la risata, ma qui manca quest’ultimo elemento. Comunque, non conoscendo bene la Tate, mi sono informato qua e là per capire come lavora. Ebbene, è famosa nel suo Paese per aver dato vita a diversi personaggi con i quali crea i suoi spettacoli.
Probabilmente avrà pensato che portare questo tipo di rappresentazione all’interno di una serie sarebbe stato divertente, invece no. Tutte le sue interpretazioni risultano solo un insieme di stereotipi macchiettistici che non hanno il minimo senso. Perché ha dovuto interpretare ben sei diverse donne (anche un uomo, in verità) da sola? L’opera sarebbe risultata molto più credibile se avesse avuto un solo ruolo, dato che così sembra più un suo gioco, anziché uno show che vuole mostrarci qualcosa. Le sue interpretazioni non hanno il minimo spessore, si limitano a dar vita ad alcuni luoghi comuni anglosassoni: per esempio, una scozzese furiosa e violenta – come il giardiniere Wilie de I Simpson, per intenderci. –
Ammetto che pochi giochi di parole e certe battute siano vagamente decenti, ma questo non basta per creare un’intera serie dal nulla. Senza contare che abbiamo anche una gag ricorrente (una sola, eh!) che non fa ridere, finché non te la spiegano nell’ultimo episodio. Sei puntate in cui avviene sempre la stessa cosa e solo alla fine ci dicono perché. Se ripenso a questo prodotto, mi viene solo da dire che la comicità portata da Tate risulta essere troppo antiquata e per niente efficacie. La cosa peggiore, comunque resta il fatto che Hard Cell ruoti praticamente sempre intorno a lei e ai suoi personaggi, uno show praticamente narcisistico ed egocentrico.
I pochissimi elementi decenti della serie
Purtroppo non c’è modo di parlare bene di Hard Cell nella sua totalità, ma possiamo prendere in esame alcune scelte e interpretazioni che sono spiccate. Infatti, dell’intero prodotto si salva praticamente solo il sesto episodio – e non del tutto -, dove le cose diventano più interessanti, ma non si avverte più la parte comica (cioè è ancora meno presente di prima), si sentono solo la tragedia e un pizzico di gioia. Pensate, sei puntate e l’unica decente è solo l’ultima. E il finale è anche brutto. Praticamente, abbiamo il completo ribaltamento di alcune situazioni, che non si capisce a cosa vogliano portare. Lo shock iniziale della scoperta viene subito sostituito da una grandissima perplessità.
Altro punto a favore della serie è il fatto che si riesca a legare in parte con alcune detenute. Ovviamente solo con quelle non rappresentate dalla Tate, perché risultano essere più vere e facili da comprendere. Onestamente, pur sforzandomi, non riesco a trovare altri lati positivi della serie. Tutto quello che mi viene in mente non ha nulla di comico e riguarda solo i rapporti tra le detenute, unica cosa che distrae dalle varie interpretazioni della Tate. Sicuramente sarà una grande attrice, ce ne ha dato prova diverse volte, ma forse dovrebbe preoccuparsi più del lato recitativo che della creazione di serie create da lei, specialmente se devono essere tutte così. Cercando in rete si legge che lo show è “in corso”, ma speriamo che si fermi a questa prima stagione.
Le nostre conclusioni su Hard Cell
Apprezziamo lo sforzo della Tate nel voler provare a portare i suoi personaggi e le sue capacità su piccolo schermo, ma tutto ciò che vediamo è solo una specie di mal riuscito gioco tra lei e se stessa. Provando a introdursi nella marea di comedy e mockumentary esistenti, riesce solo a darci una sensazione di disagio disarmante. Non ci sarà un solo episodio che riuscirà a farvi ridere, nonostante lo sforzo dell’attrice. Le battute e le gag ci accompagnano in una serie che non si capisce dove voglia arrivare a causa della scarsa trama, soprattutto tenendo conto del finale, il quale sembra essere stato preso da un’altra serie e incollato lì.
È altresì evidente come l’attrice cerchi, in qualche modo, di rifarsi anche proprio a The Office, provando a creare quello stesso ambiente di disagio che si avverte con Michael Scott a capo dell’ufficio, ma senza riuscirci – probabilmente a causa dell’eccessiva presenza dell’attrice, la quale chiaramente tenta di fare la parte del capo scemo che non sa cosa sta facendo, come fu per Steve Carell. Proprio pensando a The Office, viene in mente come il disagio si possa usare molto bene per causare ilarità, ma chiaramente la Tate non è riuscita a cogliere nel segno. Come sempre, vi ricordiamo che potete trovare i nostri articoli e le recensioni sul sito Kaleidoverse.it. Vi invito, inoltre a iscrivervi al canale Telegram per restare sempre aggiornati e al canale Youtube per non perdere le nostre recensioni.
Hard Cell, la serie di e con Catherine Tate, provando a usare la formula del mockumentary (finto documentario) cerca di raccontarci una storia che non si capisce dove voglia arrivare. La massiccia presenza della Tate - che qui interpreta ben sei personaggi diversi - non aiuta per niente nella risata, rendendo la serie solo una specie di gioco tra lei e se stessa. Benché si riesca a simpatizzare con alcuni personaggi, l'insieme di battute scialbe, di gag per niente divertenti e interpretazioni macchiettistiche, fa sì che l'unica sensazione che si riesce a provare è quella del disagio. Una serie che ha fallito, nel tentativo di farci riflettere su alcune tematiche, tramite la risata.