Bisogna scrollarsi di dosso un’eredità silenziosa, approfittare di un momento sociale estremamente proficuo per mettere in campo temi di cui si è ormai mastri manipolatori, magari donando una prospettiva normale, non diversa; anzi, la normalità nei pressi di Ferzan Özpetek non sembra mai voler bazzicare più di tanto, perciò si potrebbe definire semplicemente una visione travolgente, che non chiede neanche il permesso. Le Fate Ignoranti – la serie è la prima serie italiana originale Disney+, ciò significa un mercato potenziale globale, una terrazza Mariani stracolma di anime, pronte a spogliarsi di ogni proprio segreto in favore dell’onniscienza che avvolge tutto, tutti, niente e nessuno esclusi, né la finzione, né la realtà.
L’effetto Özpetek è proprio questo: tra l’assurdo e il concreto si è testimoni di una visione che fa uscire e rientrare continuamente, involontariamente, dal mondo costruito per scontrare il proprio. Il risultato è personale, da custodire, sempre. Un’abitudine alleniana del genere in che modo incontra per la prima volta la serialità? Cosa ha mosso Özpetek all’interno del suo arsenale? La risposta è niente. Non è successo niente. Sono state generate le solite storie che posseggono il grande valore di nascere già intrecciate, senza slegarsi mai.
Dove eravamo rimasti?
Per sua natura, l’introduzione di un’opera è spesso calamita dell’indefinito, una macchia che si sparge nella mente dello spettatore, così da favorire e rafforzare il tentativo dell’agognata immersione nel contesto narrativo. Il pensiero cerca di riconoscere l’opera. Successivamente, essendo in una dimensione fatta di umani che creano per altri umani, la macchia comincerà a svanire per via dell’immedesimazione, fino a vivere in una simbiosi incredibile verso il finale, il cambiamento. Il pensiero è l’opera, nient’altro. Abbracciando questa chiave d’analisi, l’opera di Özpetek sembrerà fluida tra i due stadi, poiché da una parte garantisce immedesimazione pura nella vita, nei trascorsi, nell’atto pragmatico di stare al mondo; dall’altra vedrà soltanto una profonda immersione in quelle che sono pulsioni criptiche, istintuali. Un piccolo paradosso che crea un interessante limite alla nostra relazione con questo prodotto, con un risultato, di nuovo, personale.
Ci siamo lasciati alle porte d’entrata di questa serie, a un passo dall’inizio del suo sviluppo in questo processo di reincarnazione contemporanea del film omonimo del 2001, parlando di un’identità in via d’affermazione e di una riduzione del proprio grado d’austerità, divenendo una freccia ancor più precisa nella mente di un pubblico così vasto: Antonia (Cristiana Capotondi), vedova di Massimo (Luca Argentero), imprenditore defunto a causa di un incidente, Michele (Eduardo Scarpetta), amante di quest’ultimo, e il resto del gruppo delle Fate, grandi accompagnatrici e organo di controllo dell’incontro tra la vedova e l’amante, sono costantemente trasparenti a schermo. Gianni Romoli, sceneggiatore della serie e di molteplici altri lavori con il regista turco, disse che queste Fate adesso sono co-protagonisti, e aveva ragione, fin troppo.
Un passo indietro, poi sempre avanti
Andando avanti con gli episodi ciò che salta immediatamente all’occhio è una divisione fin troppo netta degli eventi riguardanti i personaggi nuovi e semi-nuovi. Un parallelismo apparente che vede da un lato scorrere una copia non troppo elaborata del film originale, e dall’altra storie nuove, dai valori lontani ma uniti dalla voce di Massimo nei primi minuti, rimarcando il suo ruolo d’ombra e di contenitore dei confini emotivi. Queste storie, come detto in apertura, sono già intrecciate, respirano la stessa aria, è estremamente controproducente creare due timeline narrative all’interno di uno stesso episodio, perlopiù se una di esse riproduce un nastro di più di venti anni fa. Sembra mettersi automaticamente in pausa quell’affermazione di se vista nell’introduzione, che cosa succede?
La risposta non fa in tempo ad arrivare che subito la serie cambia rotta. Dopo un’andatura incerta delle prime due puntate centrali, sembra finalmente prendere forma la punta di diamante di quest’opera: la sceneggiatura. Oltre a un cast quasi sempre all’altezza del compito, ciò che spicca in vari momenti sparsi all’interno delle puntate sono i dialoghi, leggeri, spensierati, una sorta di pausa dal turbinio sentimentale a cui, devo dire, si fa un po’ fatica ad abituarsi. Spesso l’unione tra persone è sottovalutata, giustificata semplicemente col tempo o tramite uno spazio condiviso, se poi c’è addirittura una comunanza di valori allora immediatamente vi si farà poggiare un intero rapporto, eclissando ciò che è naturale, un semplice amore condito da odio, insicurezza, tristezza, rimpianto, scontro e via all’infinito. Le Fate invece sono unite, nell’amore e nell’ironia ma anche nella disapprovazione e nel conflitto. Ecco finalmente che tutto rientra nell’intreccio.
La maturità dell’opera
Tutto questo è definibile lo “sviluppo dell’inizio”, la crescita dei valori messi in campo sin dal primo episodio, ma ce n’è uno che rimane costantemente nascosto, che bussa alla porta continuamente ma che non vede nessuno aprirgli, lasciandolo in attesa sulle scale, dove magari incontrerà proprio ciò di cui aveva bisogno. Parlo della libertà, incarnata perfettamente nel personaggio di Asaf (Burak Deniz), nipote dell’amministratrice di condominio (e di gruppo) Serra (Serra Yilmaz). Anche nel film si voleva far passare questo personaggio come una sorta di miccia che fa esplodere il bisogno d’evasione della protagonista Antonia, sentendosi a un certo punto rinchiusa all’interno di quell’apparente spensieratezza di casa Mariani, ma egli finiva per essere nient’altro che una botola di fuga, un semplice pretesto.
Nella serie delle Fate Ignoranti diventa colonna portante del cambiamento di Antonia, della sua maturazione e fuoriuscita dal lutto. Adesso Asaf dona all’opera una saggezza e un esperienza che prima erano inesistenti, e onde evitare fin troppi spoiler per chi non fosse al corrente del film, posso solo dirvi di prepararvi a un viaggio in cui potrete sperimentare l’apice di quell’immersione, di quelle pulsioni e di ciò che effettivamente sono i personaggi, persino di ciò che effettivamente è il rapporto tra Michele e Antonia, qualcosa al di fuori di un dolore condiviso, meno di una passione improvvisa.
Le nostre conclusioni su Le Fate Ignoranti – la serie
Le Fate Ignoranti – la serie risulta un esperimento riuscito, che riesce a dare valore a un film già di per sé impresso in molte memorie del pubblico italiano. Özpetek non tradisce il suo stile, neanche spalmandolo per quasi otto ore, semplicemente alcune volte propone delle scelte fin troppo dirette, travolgenti, sta poi al pubblico accogliere o meno determinati stimoli. Per altre recensioni, continuate a seguire Kaleidoverse e i nostri social: Youtube, Instagram, Facebook e Telegram.
Le Fate Ignoranti - la serie è il frutto di un adattamento riuscito, più diretto e concreto nella sua sfera emotiva rispetto all'opera originale. Özpetek tira giù da uno spazio austero i suoi personaggi e li fa incontrare con il pubblico, permettendo allo stesso tempo di rendere percepibile l'ambiente in cui gravitano quelle pulsioni tanto astratte quanto immersive. Se pur con qualche tentennamento nella parte centrale, la storia riesce a essere fluida tra le sue storie, creando un intreccio che sa di gruppo e di ogni altra emozione, lasciando ovviamente ampio spazio a ciò che fa da guida massima: l'amore.