Ormai è tutto uguale: costantemente in cerca di evasione all’interno di un mondo pieno di stimoli, se ci pensate siamo una generazione in cui si scappa dall’overload di opportunità, una generazione low cost. Saturi di vizi, grandi buttafuori di responsabilità, a meno che non ci sia la possibilità di supportarle in superficie. Tutto ciò sta prosciugando un po’ di cose, non solo alcuni giovani umani. La bellezza è sempre più lontana dall’essere capita, non si tratta solo di estetica, ma anche di bellezza d’animo, di vita, d’esperienza; si tratta anche qui di migliaia di stimoli che sovraccaricano una macchina di per sé imperfetta nel decidere e selezionare i dati migliori al fine di creare la perfezione, in attesa di capire che quest’ultima non può esistere in maniera oggettiva, ma viene generata e personalizzata. L’apatia è così perennemente alle porte di ognuno.
Emmanuel Marre e Julie Lecoustre creano un racconto che cerca di esprimere questo lato del mondo utilizzando una giovane Adèle Exarchopoulos (La vita di Adele), nei panni di una hostess che osserva passare i giorni e impiegata di una compagnia low cost dalle politiche particolarmente stringenti e invadenti. Generazione Low Cost, in originale Rien à foutre, è un viaggio nella vita di Cassandre Wassels e nella sua stasi totale. Il film prodotto dalla I Wonder Pictures uscirà in sala il 12 Maggio.
L’approccio al mondo di Generazione Low Cost
Questa è un’opera che fa del silenzio e della freddezza le basi di una struttura per reclusi. Viaggiamo per il mondo insieme alla protagonista, alle prese con personalità e culture sempre differenti; che siano semplici clienti (o “ospiti”) oppure colleghi, c’è la possibilità di mostrare tramite una macchina da presa immagini incredibili, persone e paesaggi, vite che vivono, in contrasto con chi semplicemente sopravvive, ovvero il soggetto che ritroveremo costantemente dinnanzi a noi in mezzo busto. Ciò non accade. Via i fegatelli, a meno che non siano uno scorcio di nuvole, come seduti al posto finestrino: non contano il viaggio o la meta, ma come il contesto lavorativo può aiutare il deterioramento di una persona. Via la musica, il sonoro dev’essere un nodo alla gola, solo boati e silenzi in continua alternanza. Via le persone, a meno che non servano a delineare la solitudine su cui si posa Cassandre.
Non è del tutto sbagliato pensare a questo punto a un film lento, culla di una crescente claustrofobia, di un senso ampio di abbandono. È il montaggio però che entra in campo per cercare di smuovere almeno minimamente la situazione: i tagli sono bruschi, non c’è modo di uscire dalla testimonianza di un’apatia generale, non esiste che lo spettatore possa rilassarsi, l’unica maniera per guardare Generazione Low Cost è con un senso d’inadeguatezza e disagio che bussano alla bocca dello stomaco. Ciò nonostante, specialmente nella prima parte e nell’esplicazione dei vari principi a cui le hostess devono far riferimento, i quali non sono nient’altro che soliti canoni sociali “d’educazione e buon costume” validi solo per un genere, l’opera sembra avere un interessante taglio documentaristico, poiché neutro nei suoi eventi, ma espressivo nel modo di rappresentarli.
Responsabilità
Ma davvero tutto ciò che esce fuori da questa pellicola è il “lato oscuro” di uno dei tanti lavori d’immagine? Siamo di fronte a un’opera che prende la posizione dei nostri amati giovani e cerca di combattere tutte le brutte e cattive pressioni sociali e intime a cui sono sottoposti, magari additando alla falsità di una vita digitale come sottofondo? Fortunatamente no. La critica può avere una posizione, ma se deve raccontare è bene che lo faccia mostrando luci e ombre di ambe le parti. Prima o poi chiunque dovrà affrontare qualcosa, a un certo punto la “pressione” non sarà altro che una giustificazione per continuare a vivere senza alcun carico sulle proprie spalle e il lavoro della coppia di registi francesi lo dimostra in più sequenze, se pur con la solita neutralità di fondo.
Si apre a un certo punto un micro-atto in cui Cassandre prova a prendersi cura delle persone, di se stessa e della propria vita, sia personale che lavorativa, anche se ormai indistinguibili data l’assenza della prima. E ricordiamo come ciò non sia del tutto colpa di un sistema lavorativo votato allo sfruttamento, ma di un mente che senza quel lavoro non è più niente. Finalmente ci si scontra con un concetto di responsabilità che non ha mai fatto così male. Accade però, nell’apice del punto di svolta, che tutto si blocchi, opera compresa.
Il blocco
Generazione Low Cost vuole essere un racconto lineare, senza sbalzi d’umore, senza cambiamenti. Vuole mostrare una vita statica attraverso un racconto statico. È possibile che questo funzioni nel momento in cui si sta raccontando qualcosa lontano dal senso comune, come la routine di un assistente di volo. Una volta recepito il personaggio lo spettatore può godersi un contesto nuovo, ma se questo viene accantonato per un attimo e come conseguenza tutto viene congelato, c’è un problema.
Nel preciso punto in cui si dovrebbe entrare nelle radici della protagonista, quell’atmosfera diventa una pericolosa arma a doppio taglio ritorta contro chi l’ha generata, e sembra perdersi in un dramma che sa di già conosciuto poiché, di nuovo, è stato recepito il personaggio e la mostra delle origini non risulta efficace. Di certo la voglia di esplorare la genesi di questo stato d’animo perpetuo è presente, a livello d’immagine fotografia e regia non smettono di trovare soluzioni interessanti per tenere fede a quel tipo di aesthetic a cui fanno riferimento, ma rimane il punto che un’opera non può bloccarsi del tutto pur raccontandolo.
Le nostre conclusioni su Generazione Low Cost
Il finale potrà sconvolgere in senso negativo o coinvolgere in senso accrescitivo, nella misura di “conoscenza dell’opera”. Ciò che ne consegue da entrambe le possibili reazioni è la chiusura di un cerchio, che come tale non mostra cambiamento ma solo la ripetizione e l’affermarsi dei propri confini. Generazione Low Cost si chiude su stesso, lasciando pensare quanto qualsiasi cosa in quest’epoca possa assomigliarsi se vissuta in maniera assente, quanto tutto possa trasformarsi in evasione spicciola e futile, quanto tutto è ormai uguale. Per altre recensioni, continuate a seguire Kaleidoverse in ogni sua forma: Youtube, Instagram, Facebook e Telegram.
Lento, freddo e a volte claustrofobico ma in superficie semplicemente apatico, il tutto raccontato attraverso una fotografia brillante e una regia che è legata a doppio filo con la protagonista, questo è Generazione Low Cost, una narrazione statica che fa della stasi il suo punto principale lasciando spazio anche alla critica sia verso uno specifico sistema lavorativo, sia verso chi ne è fagocitato. Un piccolo appunto, non fatevi ingannare dalla definizione "commedia", questa pellicola è tutto fuorché divertente.