Conosciamo più o meno tutti la storia della schiavitù degli afroamericani, vero? Ma quanti conoscono la storia del Sudafrica, il Paese dove si parlò per la prima volta di apartheid, che significa proprio “separazione”? Nonostante non sia un periodo sconosciuto, specialmente se si pensa che la segregazione ebbe fine solo nel ‘90, è comunque un pezzo di storia su cui solitamente ci si concentra poco. Con L’Assedio di Silverton, Mandla Dube ci porta in un periodo di lotte e proteste per la libertà, mostrandoci un evento dal quale ebbe origine la campagna di liberazione di Nelson Mandela e che meriterebbe più attenzione.
L’Assedio di Silverton (Silverton Siege) ci racconta di tre combattenti contro l’apartheid (Calvin Khumalo, Mbali Terra Mabunda e Aldo Erasmus), i quali in seguito a un sabotaggio non andato a buon fine si ritrovano a fuggire dalla polizia, terminando la loro fuga all’interno di una banca nel centro di Silverton. Qui prenderanno in ostaggio tutti i clienti e i dipendenti dell’edificio, avanzando pretese, fino a fare una richiesta particolare, la quale porterà a delle conseguenze inattese dai terroristi.
L’Assedio di Silverton
Prima di parlare del film in sé, sarebbe bello capire un po’ il periodo storico in cui ci troviamo. Le prime azioni di segregazione razziale si possono cercare già nei primi del ‘900, ma è dal 1948 che viene introdotta l’apartheid. Il momento che ci interessa, però, è più avanti, negli anni ‘60, quando iniziano le prime azioni di sabotaggio della forza armata controllata dall’African National Congress (ANC), il partito più importante del Sudafrica. Da qui prendono piede tutte le azioni che poi porteranno all’assedio di Silverton nel 1980. Conoscendo un po’ questi fatti si riesce a capire subito quale sia lo stato che anima i protagonisti di questa storia.
Il film comincia quasi a schiaffo: entriamo immediatamente nell’azione seguendo i tre (inizialmente quattro) terroristi nel loro tentativo di sabotaggio. Inutile dire che, come per qualunque fatto storico, anche quest’opera risulta leggermente romanzata. Certamente alcune scelte non sono ben comprensibili e abbiamo anche una morte messa un po’ a caso, in quanto non si capisce come avvenga. Potrebbe trattarsi di un montaggio venuto male, come di una dimenticanza. Comunque sia, si tratta chiaramente di una pellicola carico di significati. Come già detto, da ciò che accadde quel giorno prese piede la campagna di liberazione di Mandela, che ricordiamo essere stato incarcerato ingiustamente per 27 anni, fino al 1990.
Buoni o cattivi?
Ciò che spinge i tre terroristi è chiaramente la voglia di libertà, che in quel Paese non esisteva per la gente di etnia bantu. Sicuramente gli afroamericani sono stati “più fortunati” da questo punto di vista, avendo ottenuto prima la libertà dalle catene dell’oppressione, ma indubbiamente sentiranno vicino ciò che succede in L’Assedio di Silverton. Nonostante i diritti guadagnati faticosamente negli anni, non si può far finta, oggi, di non vedere che c’è ancora uno strano sentimento di diffidenza e paura nei confronti del diverso. Lo possiamo notare dai vari omicidi a sfondo raziale avvenuti negli ultimi anni; ma anche qui in Italia, dove basta avere la pelle di un altro colore, gli occhi a mandorla o qualunque altro tratto distintivo diverso dalla norma e subito si viene etichettati nei peggiori modi possibili. Non voglio generalizzare, non sarebbe corretto per chi non vede differenze in nessuno, ma è innegabile la presenza di questo sentimento.
Tale stato traspare in tutto il film, dagli sguardi dei bianchi, a ciò che dicono e il modo in cui trattano le persone di colore. Nonostante ciò, seguendo le azioni di Calvin e dei suoi compagni e poi della polizia (precisamente nel personaggio di Langerman, interpretato da Arnold Vosloo), non si può fare a meno, a un certo punto, di chiedersi: chi sono i buoni? Chi i cattivi? Voi direte ovviamente i cattivi sono i bianchi oppressori, e i buoni i bantu che vogliono solo la libertà. Eppure ho faticato nel capirlo. Non fraintendete, chiaramente chi toglie dei diritti è il cattivo, ma io parlo delle azioni che avvengono in L’Assedio di Silverton. Langerman stava facendo il suo lavoro, cercando di evitare altre terrorismo, mentre i protagonisti erano le sue “prede”. Nel momento in cui hanno deciso di chiudersi in banca, nonostante abbiano trattato con riguardo gli ostaggi, sono diventati i cattivi.
Emblematica è la frase rivolta a Calvin da uno degli ostaggi: “le armi vi rendono forti, ma non siete altro che un mucchio di terroristi”. Ecco, parlavo esattamente di questo. Non abbiamo propriamente il diritto di esprimere opinioni su determinati tipi di scelte, essendo fatti lontani da noi, ma seguendo gli insegnamenti di Gandhi prima e di Mandela poi capiamo che la strada della violenza difficilmente conduce a qualcosa di buono. E questo lo sanno bene anche i nostri combattenti per la libertà. Certo è che, come si suol dire, bisogna fare di necessità virtù. Immagino che sia questo che spinse quella gente a usare la violenza per ottenere la libertà.
Le nostre conclusioni su L’Assedio di Silverton Funziona
Al di là degli eventi storici che possono essere più o meno precisi, la pellicola non è convincente al 100%. Come detto, alcune scelte non sono ben comprensibili. Vediamo scene che non si legano per niente agli avvenimenti e risultano quindi decisamente superflue; come anche una morte inspiegabile, chiaramente avvenuta per esigenze di trama, ma sarebbe stata meno confusionaria e ridicola se avessimo avuto una giustificazione vera e propria. Fortunatamente abbiamo una buona regia che riesce a raccontarci cose così delicate in solo un’ora e mezza. Certamente il regista è stato anche aiutato dalle interpretazioni decisamente sopra la media dei vari protagonisti, i quali hanno saputo farci comprendere lo stato d’animo di quel periodo.
Prendendo L’Assedio di Silverton da solo, senza il tema dell’apartheid, sicuramente risulterebbe essere solo un mediocre film d’azione. Insomma, ciò che lo distingue dagli altri, è solo il fatto di volerci raccontare e rendere partecipi di quei fatti che hanno segnato la storia non solo di un Paese, ma un po’ di tutto il mondo, provando a portare una certa consapevolezza nella mente dello spettatore. In ogni caso, si tratta di un buon film, non eccelso, ma che è sicuramente utile per capire uno dei momenti più bui della storia dell’essere umano. Per poter continuare a leggere le nostre recensioni, vi invito a iscrivervi ai nostri canali Telegram e Youtube e a seguirci sul sito Kaleidoverse.it.
Gli anni dell'apartheid rientrano tra i periodi più bui nella storia dell'essere umano. Mandla Dube prova a raccontarci uno dei tanti eventi accaduti in quel momento storico in cui gli oppressi cercavano di riprendersi i propri diritti. Tramite questo film si respira esattamente l'aria di quegli anni, grazie anche alle buone interpretazioni dei protagonisti, che ci lasciano comprendere facilmente quello che doveva essere lo stato d'animo generale in quel periodo. Sicuramente non è un film eccelso, non è esente dai difetti, ma è un buon modo per passare un'ora e mezza alla scoperta di quello che è stato uno degli eventi che ha portato alla nascita della campagna di liberazione di Nelson Mandela.