Questa è la storia di un prodotto dalle altissime aspettative, e il motivo è presto detto: Space Force segnava il ritorno della coppia Greg Daniels, creatore della serie The Office e di questo nuovo progetto, e Steve Carrell, il quale oltre a essere di nuovo protagonista ricopriva il ruolo di co-creatore. Le premesse erano perfette, il tema potenzialmente più diretto, pungente verso la politica americana pur mantenendo una demenzialità essenziale per lo stile dei due. Un cast che vedeva un John Malkovich come interessante punta di diamante e, altre figure tutte da esplorare, come fu per quello strano ufficio.
Esce il 29 maggio 2020 la prima stagione, dopo un annuncio che aveva visto ottenere un ottimo riscontro da parte del pubblico: eravamo curiosi di vedere in opera questo generale quadristellato ispirato alle politiche del periodo trumpiano, ma più di tutto, Steve Carell tornava a essere a capo di un gruppo di personaggi al confine tra il grottesco e il demenziale. Passano gli episodi e la risata sembra lontana, al suo posto una confusione mista ad incredulità: “È a questo che dovrei ridere?“. Una comicità al limite dell’inavvertibile, stereotipi non distrutti, rielaborati, utilizzati come vena comica “alternativa”, ma calcati come uno show dalla creatività spenta.
I primi eterni problemi
Il surrealismo, per essere tale, deve avere un solido collegamento con la realtà, qui è tutto inverosimile, fuori luogo come la sua stessa comicità. I personaggi sono delle macchie che non hanno niente a che fare con il contesto su cui si posano e ostentano per inerzia di rendersi ridicoli, senza contrasto con nulla, solo e unicamente ridicoli. Come scritto nella recensione della seconda stagione – cui arriveremo tra poco: il mancato approfondimento dei personaggi mette come fondamenta delle proprie azioni, le azioni stesse, non la loro personalità, e se si vuole effettuare una comicità basata sulla critica di un immaginario, usando l’immaginario stesso, allora coloro che sono al suo interno devono giustificarne il modus operandi.
Che siano la regia e il comparto tecnico a salvare questa prima stagione? Assolutamente no. Greg Daniels parla di un taglio “cinematografico”, ma il concetto è stato forse frainteso: molteplici inquadrature risultano scollegate, esse sono spesso desiderose di entrare nella routine di pensiero del pubblico, rendendosi familiari ripetendosi ciclicamente, idem per la scenografia. Ancora nulla, risulta tutto statico. Che dire della gestione dell’intreccio narrativo, semplicemente Carrell e Malkovich in una discussione continua e per qualche motivo uniti, e storie parallele dalla rilevanza e profondità assenti, scoppiate quasi per caso. Oltre a qualche piccola sequenza autoconclusiva presa singolarmente, Space Force parte male, sia per pubblico che per critica, il giudizio generale recitava più o meno così: “Non sa dove vuole iniziare, non sa dove vuole svolgersi e finire“.
Un barlume di speranza
All’alba della seconda stagione tutto ciò che è stato descritto in apertura è finito. Space Force è un originale Netflix comico con Steve Carrell protagonista in procinto del suo continuo, punto. Tre sono i punti fondamentali su cui gravita il tentativo, per certi versi riuscito, d’evoluzione della serie: la regia dall’estetica sposta le sue priorità verso l’improvvisazione; la durata di ogni puntata è leggermente minore, così come per gli episodi complessivi (da 10 a 7); si vogliono spingere la ricerca introspettiva dei personaggi e, in prospettiva congiunta con i primi due punti, puntare tutto su nuove entusiasmanti gag.
18 febbraio 2022, la seconda stagione di Space Force è aperta al pubblico: si parte con due episodi che donano speranza, si sente più coesione, alcuni siparietti fanno scattare una spontanea risata, e oltre a qualche scomoda “vecchia abitudine” le puntate si chiudono con neutralità. Avanti con il terzo episodio che ironizza sulla rivalità USA-Cina attraverso uno “scambio di valori” tra generali e scienziati che riesce a stratificare quello che pur sempre rimane uno stereotipo, generatore di un tipo di comicità a cui Greg Daniels non ci aveva abituati, egli ci faceva cullare in una nicchia atmosferica mentre scagliava al resto del mondo i suoi stessi espedienti facendo arrivare alla risata più sguaiata con una freddezza incredibile.
La fine di Space Force
Il prosieguo segna l’affermarsi di un gruppo leggermente più unito, ma lontano dall’approfondimento individuale promesso, oltre che a un accennato miglioramento della linea comica. Per tutto il resto vi è una ripetizione delle mancanze della scorsa stagione, il che rappresenta un’opportunità gettata al vento. Il metodo di Carrell è potenzialmente stampabile sul generale Naird, la loquacità e quell’accento sereno in contrasto con la rabbia funesta del Dr. Adrian di Malkovich sono perfetti. La struttura impenetrabile, insensibile del campus militare può esser dissacrata, adempiendo a uno dei possibili compiti della comicità.
Invece questo è l’ennesimo lavoro che finirà nell’oblio contemporaneo, il che non sarà più di tanto una tragedia, sarebbe finita allo stesso modo pur ottenendo una terza stagione, perché l’arte oggi corre e neanche i capolavori stanno al passo, figurati un passo falso. Space Force si conclude qui. Per altre news, recensioni e approfondimenti, continuate a seguire Kaleidoverse in ogni sua forma: Youtube, Instagram, Facebook e Telegram.