C’è poco da dire, quando si intervista una persona come Alessandro Ward, agli annali Alessandro Campaiola, non si può che rimanerne incantati. Non solo perché è una persona estremamente alla mano e che chiacchiera tranquillamente di qualsiasi cosa, ma soprattutto perché parla in modo sagace e puntuale. Per coloro che stanno leggendo e che non hanno ancora bene in mente chi sia Alessandro Ward, sono sicura che, se avessimo la possibilità di farvi sentire la sua voce, ci direste immediatamente almeno 10 prodotti che senz’altro avete visto e nei quali presta la sua voce. Tra questi ricordiamo il doppiaggio di Evan Peters (Pietro Maximoff/Quicksilver) negli X-Men, Grant Gustin (Barry Allen/Flash) nella serie The Flash e Joe Keery (Steve) in Stranger Things.
Certo, parlare solo di questi personaggi è riduttivo e non possiamo che invitarvi a guardare tutti i prodotti che ha doppiato, perché Alessandro Campaiola è un doppiatore estremamente dotato, o doppiaTTore come direbbe Angelo Maggi (aka Iron Man nei film Marvel) che Alessandro stesso ha citato durante l’intervista. Alessandro Ward ci ha raccontato di come sia complesso il mondo del doppiaggio odierno, dei suoi personaggi preferiti, non solo tra quelli doppiati da lui, e di molto altro. Quindi, mettetevi comodi per saperne di più su questo straordinario artista e, se volete rimanere aggiornati sulle notizie dal mondo del cinema, degli anime, delle serie tv, dei videogiochi e molto altro, unitevi al nostro canale Telegram e continuate a seguirci sul sito Kaleidoverse.
Da super fan di Stranger Things, devo assolutamente cominciare da questa domanda. So che non potrai dire molto, ma avete già finito o state ancora doppiando la quarta stagione?
Guarda, ti posso rispondere e non rispondere a causa di contratti di riservatezza molto serrati. Però diciamo che ci stiamo lavorando. Visto che hanno pubblicato la data di uscita della serie e quindi non è un segreto che uscirà a breve, ti posso dire che sì, ci stiamo lavorando.
Scusa l’inizio focalizzato forse un po’ troppo su Stranger Things, ma è un hot topic al momento. L’hai mai guardata come serie o non è il tuo genere?
No anzi! Mi piace molto. Una cosa che ho amato di Stranger Things è proprio che lo apprezzo molto anche da spettatore. Sai quando andiamo a doppiare film e serie tv spesso e volentieri va a finire che ci spoileriamo il prodotto, almeno in parte. Anche con Stranger Things è così però è una serie molto corale. Nel senso che ci sono diverse side stories e quindi alla fine mi sono sempre spoilerato alcune cose ma altre no. Anche perché tieni presente che siccome è un prodotto di punta Netflix loro sono molto rigidi quindi io non vedo niente se non quello che riguarda il personaggio di Steve.
Ma con tuo fratello (NdA Federico Campaiola, doppiatore di Jonathan Byers) vi spoilerate un po’ le vostre parti o siete più sul genere: “No, non ti racconto nulla”?
Se succede, succede in modo involontario. Magari mentre si parla capita di dirsi: “Ah oggi facevo una scena su questa serie o su un film – non necessariamente Stranger Things – e succedeva questo e quest’altro quindi ho dovuto fare questo e quest’altro.” Cioè non lo facciamo in maniera volontaria, ecco. Però sì, a volte capita essendo entrambi nella stessa produzione.
Visto che sei un fan e ti piace molto la serie, sei felice di doppiare Steve? Avresti preferito doppiare Jonathan visto che lo doppia tuo fratello oppure sei contento così?
Sono contentissimo così! Perché è uno dei personaggi nella serie che ha avuto uno dei percorsi più belli che io abbia mai doppiato. Cioè Steve ha un’evoluzione meravigliosa all’interno della serie. Non solo ma poi l’attore, Joe Keery, è bravissimo. In questo lavoro, quando devi doppiare lo fai, non stai a pensare se l’interprete è bravo oppure no. Tuttavia, quando un attore è così bravo è tutto più semplice. Faccio veramente poca fatica a doppiare Stranger Things. Lui è talmente bravo che devo semplicemente seguire quello che ha fatto. L’ho ridoppiato anche in Free Guy, il film della Disney con Ryan Raynolds e posso confermarti che è così ovunque. Anche in quel film è stato bravissimo. Ti dico onestamente non cambierei mai il ruolo. Mi piace Steve, mi piace lui, mi ci sento anche un po’ dentro. Mi rappresenta per alcuni versi, come personaggio, quindi mi piace doppiare lui.
Uscendo un attimo da Stranger Things, ti vorrei fare qualche domanda un po’ più generale sul doppiaggio. Se tu potessi dire quali sono le differenze principali tra doppiare un prodotto e recitare, quali sarebbero le prime che ti vengono in mente?
Fondamentalmente quello che facciamo in sala di doppiaggio è recitare. Quindi la differenza è più tecnica. Noi doppiatori quando andiamo a leggio, dobbiamo recitare sui tempi e sui canoni recitativi di un altro attore. Quindi non dobbiamo solo interpretare un ruolo – che può essere il protagonista, il cattivo, il buono, il bello, il brutto con tutte le sfaccettature che esso comporta, ma dobbiamo anche andare a incollarci e a capire come è stato recitato e riprodurlo di conseguenza. Come dice il mio bravissimo collega Angelo Maggi, la voce di Tony Stark, noi siamo doppiaTTori. Perché noi dobbiamo fare le cose due volte: recitare e farlo sui tempi di qualcun altro.
Quando invece, come è capitato anche a me, reciti a teatro o anche per il cinema, quindi davanti alla macchina, per quanto tu deba recitare un ruolo che magari non ti appartiene nella vita vera, e di conseguenza staccarti dal tuo essere, sei comunque sempre sui tuoi tempi. A teatro, al cinema le battute le dico come voglio. Col doppiaggio non è così perché andiamo a lavorare su qualcosa che è già stato fatto sul lavoro di un altro attore che ha comunque già fatto questo processo qui. Questa è la differenza più grande. Ed è anche il motivo per il quale spesso e volentieri diciamo che il nostro lavoro risulta un pochino più impostato, come nel teatro, e meno naturale come potrebbe essere davanti alla macchina da presa. Abbiamo recitazioni diverse perché noi dobbiamo recitare moltissimo per poterci incollare bene agli attori che andiamo a doppiare. Altrimenti ci scolleremmo.
Se potessi cambiare qualcosa del mondo del doppiaggio odierno, quale sarebbe, se c’è?
Cambierei molte cose. In primis il criterio con il quale vengono spesso scelti i doppiatori di oggi, con le modalità con le quali vengono un po’ “cresciuti”. Vedi com’è la società odierna, è tutto tutto di corsa, tutto un inno al consumismo. Io negli anni l’ho vissuto pochissimo, l’hanno vissuto meglio i miei genitori e mio zio, quella generazione, ma negli anni abbiamo perso quella qualità che ci contraddistingueva proprio per questa corsa al consumismo. Noi doppiatori oggi facciamo veramente tantissimi prodotti. Prima non era così. Un film usciva una volta all’anno, ogni sei mesi perché non era così semplice. Oggi siamo sommersi dal lavoro e lo facciamo sempre più velocemente. Questa cosa ha fatto perdere moltissimo il cuore del doppiaggio, ovvero la recitazione. Prima i doppiatori venivano tutti dal teatro, dalla televisione, dalla prosa radiofonica era tutta gente molto preparata a livello di recitazione.
Capisco che la velocità imponga dei limiti, a volte purtroppo mi ci ritrovo anche io. In questo periodo mi ritrovo a volte con turni continui da 200 righe l’una e a un certo punto è normale che metti il “pilota automatico”. Però non si può nemmeno dare più importanza solo alla parte tecnica e non alla recitazione. Il doppiaggio di una volta era un’altra cosa e i doppiatori di una volta erano fatti in un’altra maniera, erano fatti di un’altra stoffa rispetto a quelli di oggi. Quindi se potessi cambiare cambierei questo parametro.
In un certo senso, perciò, non solo i metodi di registrazione sono più tecnici ma anche le persone lo sono, per così dire?
In sala ci vieni se sei un attore, non se fai lo speaker. Perché alla fine si tratta di questo. Tanti miei colleghi hanno le idee purtroppo confuse, perché magari nessuno glielo ha insegnato e non è colpa loro. Però magari vanno in sala e sono, per così dire, speaker. Hanno una bella voce, parlano in un italiano pulitissimo beccando tutte le parole ma poi l’anima non c’è. Se lo senti sul personaggio X è lui ma poi lo senti su un personaggio Y ed è sempre lui. Il saper cambiare e recitare è necessario. Non puoi essere sempre uguale. La fretta ha un po’ demolito questo settore.
Quindi dici che le generazioni di doppiatori sono, in qualche modo, cambiate?
Sai, la generazione di mia madre, che è la seconda generazione di doppiatori, è anche la più grande. La più grande non nel senso che siano i più bravi, perché la prima generazione è inarrivabile, ma nel senso che hanno reso il doppiaggio più famoso e conosciuto. Guarda mio zio (NdA Luca Ward), guarda Francesco Pannofino. Tanti di loro sono personaggi pubblici che hanno reso pubblico il doppiaggio, che prima era un qualcosa di cui si parlava ma non si conosceva bene.
Quella generazione è stata grande ma purtroppo non è stata in grado, in parte, di tramandare quello che è stato tramandato a loro. Loro sono cresciuti con Pino Locchi, Pino Colizzi, Ferruccio Amendola. Questi sono nomi che ancora riecheggiano nel nostro mestiere. La generazione successiva, invece, non è stata in grado di tramandare quanto imparato, salvo rare eccezioni. I doppiatori successivi, le generazioni dopo la prima e la seconda hanno elementi molto forti ma circoscritti… sono pochi. Se pensi alla generazione di mio zio sono tutti doppiatori fenomenali. Non ne trovi uno che non lo sia. Certo c’è Luca Ward, ma poi c’è Massimo Rossi, Riccardo Rossi, Emanuela Rossi, Francesco Pannofino, Massimo Lodolo, Loris Lotti. Sono tutti doppiatori fenomenali, eccezionali. Dopo non è stato più così. Questa è purtroppo la verità.
Quindi, tornando alla domanda iniziale, se potessi cambiare qualcosa, sarebbe questo. È purtroppo stato tutto un circolo, una catena di montaggio che ci ha portati a quello che abbiamo ora. Oggi, per esempio, si va molto anche a mode. Per un periodo magari c’è un doppiatore che va di moda e doppia tutto, davvero tutto per cinque o sei mesi, poi scompare. Così funziona il nostro mestiere. Ma spesso e volentieri anche il doppiatore che va di moda non è all’altezza. Cioè magari è bravo a doppiare ma non è un attore. E in questo mestiere ci siamo tutti dimenticati che prima lo facevano gli attori.
E quindi alle nuove leve di solito cosa consigli?
Ci sono tanti ragazzi che mi scrivono e mi chiedono: “Ma secondo te che scuola di doppiaggio devo fare?”. La scuola di doppiaggio può essere una fase successiva, prima bisogna imparare a recitare, bisogna fare teatro, fare l’attore. È come se qualcuno dicesse “Voglio fare l’anestesista ma non voglio fare medicina”. Non si può fare. Se si vuole diventare doppiatore bisogna essere attore. Non è una cosa a parte. Non è che siccome non ci si vede allora non sei attore. È lo stesso mestiere con tecnicismi e tempi diversi.
Tu hai iniziato a doppiare da molto piccolo, prima dell’avvento del digitale nelle sale di doppiaggio. Ti è capitato di doppiare come si faceva prima? Ovvero a leggio con altre persone per le scene corali?
Sì sì assolutamente sì. Anche quando ho ripreso. Io ho cominciato che ero bambino, avevo 4 anni. Sai avendo la famiglia non ho cominciato facendolo come lavoro, quando ero piccolo. Ci sono quelli che lo fanno, per me era proprio per gioco. Poi a quattordici anni ho deciso che volevo farlo, che era la mia strada e all’epoca ancora per fortuna si doppiava tutti insieme. E l’ho fatto per diversi anni, fortunatamente, anche per le serie tv ad esempio.
Questo mi porta alla prossima domanda. Se avessimo giornate non da 24 ma da 48 ore, sarebbe bello tornare al doppiaggio ad anelli? Quindi tornare a leggio con altre persone e non col digitale continuo e il doppiaggio singolo?
Lo sarebbe a prescindere dalle 48 ore. Davvero, dovremmo farlo. Perché anche quello ha inficiato sulla qualità. È inevitabile. Perché è normale che se sono da solo e parlo e mi rispondo non è la stessa cosa di andare e recitare con una persona accanto. Io spesso, quando faccio serie e i miei colleghi sono già stati in sala a doppiare, quando i fonici mi chiedono se voglio sentire le loro tracce audio in cuffia dico sempre di sì. Proprio perché comunque si recita in due, almeno. Non posso stare da solo. Altrimenti faccio un monologo. Era molto meglio il lavoro quando era così. Tornerei a fare così mille volte, era un’altra storia.
Quanto tempo passi in sala di doppiaggio, diciamo in una giornata di media? Ovviamente a seconda dei periodi.
Guarda, di media ci passo almeno nove ore al giorno. Poi dipende. Però per esempio in questo periodo da gennaio ad oggi, togliendo 10 giorni in cui ho avuto il covid, ho fatto sempre 2 turni e mezzo o 3 turni al giorno, tutti i giorni dal lunedì al venerdì. È ovviamente bello, ma ti prende tanto.
Hai iniziato a doppiare da molto piccolo e poi hai deciso di continuare seriamente la carriera da adolescente. Visto che siamo in pieno periodo Marvel e Multiversi folli, se esistesse un universo in cui non fai il doppiatore, che lavoro faresti?
Eh è una domanda difficile questa. Perché io nella mia vita ho sempre avuto l’idea di recitare. Però forse da bambino mi piaceva l’idea di fare il poliziotto, perché mio nonno era poliziotto. Volevo stare nel vivo dell’azione, in un certo senso. O almeno da bambino la vedevo così. Oppure l’avvocato, che da una parte è sempre recitare, no? Però ti dico, sono contento di quello che faccio. Il mio lavoro è la mia vita.
C’è anche da dire che è un lavoro tale che ti dà la possibilità di fare anche cose diverse, in un certo senso. Alla fine puoi essere un avvocato o un poliziotto in film diversi.
Esatto, paradossalmente è così. Io ogni giorno faccio più cose. Anche se non le faccio materialmente però mi convinco talmente tanto di farle che poi alla fine è come se le avessi fatte davvero, in un certo senso. Quando devi immedesimarti in un personaggio a un certo punto ci entri del tutto. Io almeno l’ho sempre vista così. Quando entro in una sala di doppiaggio lascio Alessandro fuori. Il mio lavoro alla fine ti permette non tanto di fare tutto, perché è chiaro che non lo fai sul serio, ma di “giocare” a fare tutto.
Nella tua carriera hai doppiato moltissimi prodotti. Dagli X-Men a Stranger Things a film d’autore come Dunkirk. C’è mai stato un personaggio che hai doppiato che ti ha dato, per qualche motivo, del filo da torcere? Non necessariamente perché recitasse bene o male l’attore ma perché mentre lo facevi ti sei detto: “Mah chissà, non sono del tutto certo”.
Mi è successo una volta in particolare. Tu hai citato ruoli tra i più conosciuti, ma noi doppiatori in realtà lavoriamo davvero su tantissime cose, così tante che molte ce le dimentichiamo completamente. Raramente mi è successo di sentirmi in difficoltà, anche perché di base sono una persona molto sicura nel mio lavoro. Nel senso che mi sento di poter fare più o meno qualsiasi cosa. O almeno provo. Però mi è successo una volta che sono entrato in sala e ho detto: “Boh, chissà cosa succede”. È stato per il personaggio di Saitama, protagonista di One-Punch Man. Lì ho avuto davver difficoltà. Non feci il provino per quel personaggio ma fu il direttore stesso che me lo fece fare perché in Italia non esisteva una voce come l’originale. Era una voce, quella giapponese, talmente particolare che era impossibile trovarne una simile. Io infatti sono più giovane del doppiatore originale.
Alla fine insomma, dopo mille peripezie, perché era stato scelto un altro mio collega, i clienti cambiarono idea e richiamarono me. Quando entrai in sala sapevo che era un personaggio difficile da fare e quindi onestamente mi sono chiesto: “Ma sarò in grado di farlo bene?” Avendo già visto l’originale, sapevo che era una cosa molto difficile da fare. È stata l’unica volta che mi è rimasto impresso il dubbio in sala. Non perché io stia bene su tutto, o sia sempre automaticamente capace, ma non mi tiro mai indietro. Sono pronto alle sfide e non dico “No questo non lo posso fare”. Io ci provo. In questo caso all’inizio ho avuto un attimo di “Oddio, forse non ci riesco”. Comunque è stato solo all’inizio. Alla fine il direttore mi ha guidato egregiamente e abbiamo portato a casa il risultato.
Hai mai incontrato attori che hai doppiato di Hollywood o simili? O magari creatori di prodotti ai quali hai prestato la voce?
Sì qualcuno sì. Uno è Douglas Booth, un attore inglese. L’ho doppiato in Noah, PPZ – Pride + Prejudice + Zombies, Dieci piccoli indiani e altri prodotti. Poi in realtà è molto che non lo doppio più, ma i primi anni in cui iniziava a fare i film di circuito era un attore che doppiavo spesso. L’ho incontrato a una prima di un film che appunto avevo doppiato.
Un’altra volta, invece ero a Londra con mio fratello, per un viaggio di piacere. Eravamo usciti dal negozio di Kingsman. Mio fratello per scherzare ha detto: “Pensa se incontrassimo l’attore!” (NdA Taron Egerton, Gary “Eggsy” Unwin nel film) e io gli dissi: “Sì va beh”. Camminiamo 300 metri e l’attore ci è passato davanti, uscito dalla palestra evidentemente. Lo abbiamo fermato, gli ho detto che ero la sua voce italiana e ci siamo fatti una foto insieme. Però è stato per caso. Mi è anche capitato di conoscere qualche regista.
Se potessi doppiare un personaggio di qualsiasi periodo o film, anche di 70 anni fa, anche non adatto al tuo range vocale, anche se fosse una donna, per dire, quale sceglieresti?
Guarda, a questa domanda non riesco mai a rispondere perché è davvero tanto tanto difficile dare una risposta. Io sono felice di quello che ho fatto e di quello che sto facendo, quindi non ci penso troppo. C’è un personaggio che per una questione di complessità forse sceglierei. Lo doppiò mio zio (Luca Ward). Sai mio zio per me è stato ed è ancora uno dei più grandi doppiatori esistenti, in assoluto. Non lo dico solo perché è mio zio ma perché per me è veramente uno dei più grandi in assoluto, ha fatto performance di doppiaggio meravigliose. Ora è molto famoso, anche come creatore online e quindi non ci si pensa, ma mio zio ha fatto dei doppiaggi di cui la gente parla veramente poco. Ma anche di prodotti che sono comunque famosi, come Il Corvo o Matrix.
E quindi, ti dico, per una questione di complessità come personaggio, di complessità attoriale e forse anche perché l’ha doppiato… forse se dovessi scegliere, sceglierei Neo di Matrix. Sarebbe una bella sfida. Però ti dico, onestamente, mi piacerebbe tanto per provare, ma mio zio è insuperabile da qualsiasi altra forma di vita. Per quanto mi riguarda è stato veramente troppo bravo. E ripeto, non lo dico perché è mio zio. Sia chiaro, è famiglia, gli voglio bene, è ovvio, ma proprio in maniera oggettiva è stato veramente tanto bravo.
C’è da dire che è anche un doppiaggio, un personaggio, un film talmente iconico che è difficile potersi immaginare chiunque altro sopra.
Sì capito? Ma questo vale per tutti quei personaggi di quell’epoca là. I doppiaggi li hanno fatti talmente bene che è difficile immaginarli con altre voci.
Se potessi ascoltare un ultimo film doppiato nella tua vita, con un doppiaggio che ami, quale sarebbe?
Pulp Fiction. Assolutamente Pulp Fiction.
Ultimamente si parla spesso di doppiaggi che avvengono con forti censure visive per i doppiatori. Ci sono stati prodotti a rischio spoiler che erano, in qualche modo, fortemente censurati o oscurati in sala, magari mentre doppiavi Stranger Things o WandaVision? Se sì, è molto più difficile doppiare?
Non succede sempre, succede soprattutto per i film più importanti. Tipo Star Wars, Avengers: Endgame. A me è successo diverse volte, ma non con Stranger Things o WandaVision. Quest’ultimo lo abbiamo doppiato sui pre-finals, ovvero su un video in bianco e nero che comunque potrebbe essere modificato prima della messa in onda. Ma questo succede molto spesso, è normale. Con i pre-finals comunque noi doppiatori vediamo tutto, le scene, l’attore e tutto il resto. Abbiamo doppiato sui pre-finals la seconda e la terza stagione di Stranger Things. La prima stagione non era ancora famosa, quindi abbiamo doppiato il prodotto che poi è approdato su Netflix. Quest’anno per la quarta stagione abbiamo lavorato di nuovo sul prodotto finale, probabilmente perché hanno avuto molto tempo per lavorarci, con la pandemia di mezzo. Ovviamente ci sono i loghi, i watermark delle società come Netflix, Disney o Marvel. Però la scena si vede.
Con Netflix in realtà succede molto spesso di lavorare sui pre-finals. E a volte non sono il prodotto finale, quindi vieni richiamato perché hai 80 righe in più all’ultimo momento e devi tornare in sala. Perché loro aggiungono e tolgono scene, a volte all’ultimo momento. Però per le serie è difficile avere censure così forti, ovvero tutto oscurato col bollo sulla faccia per farti vedere l’attore e poco altro.
Diversi doppiatori hanno parlato di come queste situazioni, queste censure non siano ideali per il lavoro.
Purtroppo succede ed è una follia. Perché siamo tutti sulla stessa barca (doppiatori e case di produzione) e anche noi lavoriamo su quei prodotti. Mandare un file del genere è controproducente, anche se capisco la paura degli spoiler e della pirateria. Ma non condivido minimamente. Certo, a volte poi ci sono situazioni che sfuggono di mano in maniera eclatante, come successe per WandaVision. La presenza di Evan Peters era segreta, ma il doppiatore spagnolo rivelò al mondo la presenza di Peters in WandaVision con un post su Twitter. Chiaramente la casa di produzione si arrabbiò molto, perché giustamente fai questo lavoro e non ti puoi permettere di dire una cosa del genere così alla leggera. Però proprio perché facciamo parte del meccanismo, allora, dovremmo essere trattati come parte integrante di esso.
Doppiare così è deleterio. A me successe con War Horse, il film di Spielberg. Doppiammo tutto così, scena oscurato e bolla libera sulla faccia dell’attore che ci faceva vedere solo la bocca. Ogni tanto vedevo che si apriva e intravedevo tutta la faccia. Mi è successo anche con Eternals. Io ho doppiato di nuovo Harry Styles ma comunque per pochissimo tempo perché dovevamo fare in fretta. Sono andato e non ho visto niente. Io mi chiedo, come faccio a entrare dentro il personaggio, nella situazione se non vedo quello che sto facendo? Sì, la direttrice, il direttore mi dice più o meno quello che sta succedendo però non si può. Non si può fare. Purtroppo è una cosa che per i prodotti più importanti accade. Per quanto riguarda le serie tv, comunque, è difficilissimo che succeda.
Siamo ormai in fondo all’intervista e quindi vorrei chiudere chiedendoti qual è il personaggio che più hai amato doppiare (o che magari ami ancora doppiare se è una serie di lunga durata)?
Barry Allen. Flash. Assolutamente. Nonostante la serie sia diventata un po’ ripetitiva. Come spettatore mi sono fermato alla terza stagione, poi non ho più visto niente e l’ho solo doppiata. Però, nonostante questo, non lo so… ce l’ho proprio dentro la pelle Barry. Cioè mi sento io, in un certo senso. Quando dico la frase “Io sono Flash” lo dico e ci credo più che con qualsiasi altra cosa. Più di qualsiasi altro doppiaggio io abbia mai fatto, proprio lui è quello che mi è rimasto sempre nel cuore.
Quindi si può dire che è uno di quei pochi momenti in cui fai entrare anche Alessandro in sala di doppiaggio.
Sì esatto, potremmo dire così.