Negli anni 90’ la Walt Disney Television Animation decide di rivoluzionare due personaggi introdotti nel lontano 1943, e da fastidiosi piantagrane di Pluto e Paperino, Cip e Ciop trasferiscono il loro ingegno in missioni più nobili, diventando, insieme a Scheggia e Monterey Jack, Cip e Ciop Agenti Speciali. La serie diventa parte del calderone formativo dell’infanzia di fine secolo, poiché viva della carica creativa esplosiva Disney. Avanti veloce, arriviamo al 2022. La Disney ha assunto innumerevoli forme, tra cui quella di più grande erogatore di nostalgia attualmente presente nell’industria. Porta avanti i suoi progetti dall’anima passata in un’ottica di unione talmente forte tra passato e futuro che ormai la sola parola “nostalgia” sembra semplicistica nel cercare di racchiudere in un termine le emozioni, profondamente diverse, nel rivivere ad esempio il ritorno di un Peter Parker d’altri tempi, di una principessa in carne e ossa, di una realtà intera come quella di Pandora o dell’Universo Espanso, magari illuminandone le zone d’ombra.
Questa sensazione è così potente da tentare i demiurghi contemporanei nello strutturare i loro mondi solamente su di essa. Sono più i passi falsi che quelli giusti, ma l’amore è costante, perché il “ritorno” è il risvolto drammatico più facile da costruire e contemporaneamente quello che più stringe il cuore dello spettatore-sognatore. Dan Gregor e Doug Mand non si discostano di un centimetro da questa modalità di creazione, ma cambiano posizione, richiamando quella presa in passato da Roger Rabbit, e decidono di riscritturare la storia guardando il teatro dall’esterno, sedendosi in platea, pur facendo mantenere ai due scoiattolini protagonisti il ruolo di attori, entità onniscienti di che cosa accade dietro le quinte e narratori ironici per noi pubblico dietro la quarta parete. Ridurre al ruolo di “meta-racconto critico e auto-critico” quest’opera è un atto di mancata consapevolezza di un fattore importante, di cui parleremo immediatamente.
Missione compiuta
Matrix Resurrections ci ha dedicato la sua parte iniziale, Cip e Ciop: Agenti Speciali conclude il lavoro costruendone un intero film. Torniamo trent’anni dopo la serie e la coppia è ormai divisa. Ciop incarna una mancata innovazione artistica personale e insegue assiduamente le glorie passate cercando l’affetto dei fan nelle convention da cui è palesemente dipendente; Cip è un assicuratore, continua quindi a prendersi cura di altro, lasciando al passato i momenti in cui batteva sulla macchina da scrivere i dialoghi del suo show. Quello stesso passato però richiama i due dopo il rapimento di un membro del vecchio cast, facendo tornare, stavolta nel mondo reale di umani e toons, gli Agenti Speciali. Un pretesto perfetto, uno degli innumerevoli messaggi di auto-coscienza che si susseguiranno durante il lungometraggio.
Dramma e rottura, rottura della rottura, ironia costante di sfondo, incontro e trasporto con il pubblico, creano un ritmo d’acciaio costituito da sequenze frenetiche e blocchi immobili di critica vera, immersa nel suo contesto: le parole di ogni singolo personaggio rispecchiano ciò che ogni singolo spettatore, nel bene o nel male, pensa di quest’industria. Può risultare banale, ma quante volte la “provocazione” è stata messa su un livello astratto, intermedio e ironico, nel quale l’opera x era lungi dall’identificarsi realmente in ciò che proclamava, e il pubblico cercava di sopperire all’imbarazzo con una risata letteralmente strappata via? Innumerevoli. Bucare lo schermo significa mettersi in contatto con il reale processo cognitivo di chi sta guardando, strappargli le parole di bocca e metterle in una battuta a schermo, tramutando la sorpresa in una risata colma di adrenalina, alla pari di: ”Oddio! Guarda chi c’è!” – frase esclamata parecchie volte durante la visione.
Punti focali
Per questo concetto, al nucleo identitario dell’opera, Cip e Ciop: Agenti Speciali è quasi inattaccabile, se non nell’eccesso. Come sarà una sfida elencare tutti gli easter egg presenti, allo stesso modo sarà difficile individuare le allegorie di ogni singola ambientazione o caratteristica dei personaggi con il circuito cinematografico di oggi. Il villain, un Peter Pan invecchiato e frustrato, emblema degli attori prigionieri, riassume l’immaginario di un sistema che ha anima e corpo proiettati all’indietro. Il suo quartier generale è situato nello spazio dei fallimenti, che così come il suo operato, di cui evitiamo gli incredibili dettagli, è un conglomerato di sfruttamento artistico, tecniche, personaggi e narrazioni, spremuti fino all’ultima goccia alla ricerca di ciò che già esiste o è esistito.
Il fallimento è il motore dell’opera e il punto più sviscerato in assoluto, sia in maniera esterna, verso ciò che circonda i due protagonisti, sia in maniera interna, verso ciò che essi sono e che sono stati in passato: ”Più è brutta la battuta, più è lunga la risata”, reciterà uno degli Agenti. Al secondo posto viene la dipendenza, già espressa per quanto riguarda Ciop e che vede coinvolti gran parte dei personaggi su due livelli: fisicamente, potremmo dire “al gusto di formaggio”; simbolicamente, pensando magari a ciò che spinge l’antagonista e a quelle grandi sale del piacere in cui vediamo sguazzare Zio Paperone nei trailer. Su un livello più generale vi è infine l’introspezione: questo qui è un percorso di consapevolezza più che di auto-critica.
Le nostre conclusioni su Cip e Ciop: Agenti Speciali
Quindi che cosa rende Cip e Ciop: Agenti Speciali diverso da tutto il resto dei racconti a metà tra realtà e finzione? In una parola: coerenza. Anzi, aggiungerei anche equilibrio. Stiamo parlando di una trama dalla struttura basilare: insieme di vicende brevi e rocambolesche in attesa del mistero finale. Niente più, niente meno; se la pellicola non avesse raccontato di tutto ciò che è dietro il suo titolo, sarebbe stata una banale avventura dall’inizio alla fine. Il fatto è che riesce a farsi scudo della sua banalità marciando su di essa. È esplicito nel costruire una storia che serve soltanto come pretesto, ribaltando le gerarchie come da recente consuetudine, e nello spiegarne i difetti. Una gigantesca folla di mani avanti.
Non è un’opera rivoluzionaria, ma sicuramente un esempio. È riuscita nell’intento di utilizzare questa “nostalgia” come struttura portante e avere la possibilità di dare qualcosa in più del semplice fuoco d’artificio citazionistico. Il panorama in questo esatto momento è sommerso di prodotti di questo tipo, la partita si gioca sul valore aggiunto che un prodotto riesce a crearsi rispetto all’altro, e ciò è introvabile in assenza di creatività, seguendo il principio del “finché va bene…”. La Disney torna a essere direttrice d’orchestra di universi anche in quest’ambito, finalmente. Cip e Ciop Agenti Speciali è disponibile in esclusiva su Disney+ dal 20 maggio. Vi invitiamo inoltre dare un’occhiata anche alla conferenza stampa con i doppiatori italiani e a seguire Kaleidoverse su tutti i canali: Youtube, Instagram, Facebook e Telegram.
Cip e Ciop Agenti Speciali riprende l'immaginario costruito nel 1988 da Zemeckis in Chi ha incastrato Roger Rabbit e ne aumenta la dose citazionastica e critica verso l'immaginario contemporaneo, non mancando di una forte consapevolezza del fatto che le proprie radici appartengono allo stesso mondo. Il pubblico vede trasposto il suo pensiero a schermo, se non direttamente anticipato, oltre a scovare personaggi che ha già ampiamente osservato nelle loro opere dedicate. Una trasposizione effettuata con l'arma dell'ironia che riesce, tranne in alcuni casi, ad andare oltre il confine della superficialità e giocare con i meccanismi di base di questa narrazione metacinematografica nostalgica, che finalmente riesce nell'intento di parlare realmente di se stessa.