Vi presentiamo la recensione di Conversazioni con un killer: il Caso Dahmer, un documentario trasmesso dal 7 ottobre sulla piattaforma Netflix. In questo modo dopo l’uscita della serie tv Mostro: la storia di Jeffrey Dahmer, abbiamo potuto vedere la vera ricostruzione degli omicidi che legano il mostro di Milwaukee alle sue vittime. Il documentario è composto da un totale di 3 episodi dalla durata di un’ora. Nel primo vediamo la vera natura del killer, spietato con coloro che vorrebbe tenere per sempre con sé. Nel secondo siamo di fronte ai metodi usati per compiere i suoi delitti. L’ultimo episodio, invece, lascia un quesito allo spettatore che si legherà a questo caso fino alla fine. Il titolo “conversazioni con un killer” fa riferimento al fatto che durante tutta la durata della docuserie, sentiremo la voce di Dahmer comporre gli omicidi che si sono svolti tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90.
Le deposizioni rilasciate al suo avvocato Wendy Patrickus, non erano mai state rese pubbliche fino ad oggi. Questo ci permette di capire il tono e la calma con cui Dahmer racconta il suo operato. Durante le conversazioni avvenute con Wendy non si mostrerà pentito o sofferente, ma ci apparirà come un involucro vuoto. L’unica cosa che percepiremo è il desiderio di legarsi alle sue vittime. Dirà di sentirsi in colpa e di capire che le sue azioni sono sbagliate, ma affermerà di mancare di empatia per il prossimo. La mancanza di questo sentimento è palese, infatti sembra che la sua vita non abbia avuto molto altro da offrirgli, l’unico modo per stare bene era assecondare la sua ossessione. La solitudine per la quale soffriva era estrema, tutto ciò si legava a quella che era la sua parafilia, portandolo a risultati catastrofici.
Un tuffo nella mente di Jeffrey Dahmer
Jeffrey soffriva poiché quello che faceva lo riteneva inevitabile, ma se fosse riuscito a trovare metodi differenti dice che non avrebbe mai fatto così tanto male a coloro con cui cercava di legarsi. Il killer oltre a perpetrare uccisioni si macchierà di atti legati alla necrofilia, fino ad arrivare al cannibalismo. Ma tutto ciò rimaneva legato sempre a quello che era il problema principale: la paura dell’abbandono. Forse questa sua paura se la porta sin dall’infanzia, quando i suoi genitori lo lasciarono solo, oppure quando le attenzioni che riceveva rimanevano minime. Nonostante ciò Dahmer non ha mai voluto dare la colpa a nessuno, diceva invece che fosse nato così. Quindi tutto ciò che faceva alle vittime dopo l’uccisione era solo qualcosa in più che vagava per la sua testa, sempre con lo scopo di avere un legame maggiore con loro.
Durante il documentario vediamo una tecnica cinematografica molto interessante: lo sguardo dello spettatore viene trasportato all’interno del videoregistratore dal quale fuoriescono la voce di Dahmer e del suo avvocato. Inoltre la voce che sentiamo durante queste riprese sembra rimbombarci attorno. Il regista in qualche modo cerca di farci entrare letteralmente nella testa e nell’operato di Jeffrey. Infatti quello non sarà solo un registratore, ma diventerà un secondo luogo che ripercorre la vita del killer, come un contenitore di quelli che sono tutti i suoi delitti. Inoltre la vista interna della pellicola ci farà apparire come degli spettatori nascosti e quel rimbombo ci catapulterà nella stanza della confessione.
La piaga sociale del razzismo
Ci sono due motivi per cui questa storia desta tanta attenzione, il primo è il particolare atteggiamento di questo serial killer il quale tutto sembra tranne che un uomo capace di uccidere. Il secondo è quello legato al lampante razzismo di cui si impregna tale storia. Per circa un decennio Jeffrey Dahmer agisce indisturbato nei suoi crimini. Non bastano le accuse passate di molestie su minore per farlo diventare un sospettato della polizia. Coloro che venivano adescati erano principalmente uomini neri, molti si chiedono se fosse fatto di proposito, mentre altri pensano che semplicemente fosse attratto da loro. In ogni caso il fatto che a essere colpite fossero le minoranze, ha permesso a Jeffrey di scamparla più di una volta.
“La voce di un uomo bianco viene fatta valere di più di quella di tre donne nere”. – Jesse Jackson
Durante queste vicende si vede lo scontro sociale tra un uomo bianco con crimini alle spalle e tre rispettabili donne nere. Nonostante ciò il colore della loro pelle fa annebbiare la vista della polizia, pur avendo di fronte delle situazioni poco consuete, queste non gli permettono di eliminare il pregiudizio innato nelle loro teste.
Le differenze tra la serie tv e la docuserie sul caso Dahmer
Uno dopo l’altro sono usciti due prodotti cinematografici legati alla figura di Jeffrey e in questo modo abbiamo avuto la possibilità di comparare le due cose. La serie tv riprende gli avvenimenti reali e li inserisce quasi accuratamente all’interno della storia. Ovviamente per poter rispettare quelle che sono le regole legate alle sceneggiature di ogni serie televisiva, si va a trasformare in maniera più cinematografica l’operato del killer. Ad esempio alcune azioni che lui descrive nelle sue deposizioni non le vediamo, mentre quelle che ci mostrano sono rese in maniera più plateale.
Per quanto riguarda la crudeltà delle azioni, nella serie le sue vittime sono viste nel momento prima della morte, per poi fare intuire a porte chiuse quello che sarà il loro destino. Per cui il documentario appare molto più cruento, poiché le deposizioni rilasciate ci descrivono nei minimi dettagli quello che veniva fatto ai loro corpi, per questo motivo sia l’immaginazione che la sua voce fanno la loro parte per destare paura e malessere nello spettatore. Infine la differenza maggiore è il punto di vista del racconto. Nel documentario vediamo parlare il killer che mostra le sue debolezze e i desideri incontrollati, insieme alla componente giuridica che vede un killer spietato dal comportamento pacato e tranquillo. Nella serie, invece, l’attenzione si pone sulle vittime, in particolare su quello che hanno dovuto subire sia dalla società che da Dahmer.
Le nostre conclusioni su Il Caso Dahmer
Attraverso questo documentario entriamo nella testa di uno spietato assassino che si vede condannato da un destino sfortunato. Non sentiremo tentativi di giustificazione, ma piuttosto vedremo una persona che si pone delle domande. Perché è così? Perché ha fatto quelle cose? Il mostro di Milwaukee voleva capire fino in fondo il motivo delle sue azioni, ma il dolore che aveva causato a tutte quelle persone non poteva essere dimenticato così facilmente. La sua natura malefica che lo aveva fatto definire mostro, si contrapponeva con il suo comportamento e così tutti coloro che hanno avuto a che fare con Jeffrey si sono chiesti se la sua natura fosse malvagia, oppure semplicemente avesse un disturbo che lo avesse condannato.
Da qui il quesito successivo viene spontaneo: assassini si nasce o si diventa? Se volessimo prendere come esempio il famoso esperimento di Stanford la risposta sarebbe ovvia, ma con Jeffrey Dahmer rimarremo per sempre con un grande quesito al quale rispondere. E voi cosa ne pensate? Seguiteci su Kaleidoverse e iscrivetevi al nostro canale Telegram per rimanere aggiornati su tutte le notizie più recenti.
Una docuserie che ci pone di fronte allo spietato Jeffrey Dhamer, un'uomo statunitense che opera indisturbato per un decennio. Tra malattia mentale e malvagità molti si chiedono ancora quale sia la risposta giusta. Una storia contornata da razzismo e omofobia, la disattenzione e il pregiudizio della polizia ha permesso tutto ciò. Dhamer non accampa scuse, è stato lui a compiere quei delitti e merita di essere punito. I suoi problemi familiari potrebbero aver influito sul suo comportamento, o almeno avrebbe provato a fermarsi se qualcuno gli fosse stato vicino? Dahmer non critica la sua famiglia, ma la domanda viene spontanea allo spettatore. Nel documentario vediamo quella che è la conversazione tra Dahmer e il suo avvocato Wendy, per la prima volta si confida con qualcuno che non lo giudica. In fondo il difensore del killer prova un misto di emozioni, ma non può far sentire Jeffrey a disagio. Cattiveria o pazzia? Un quesito che rimarrà irrisolto per sempre.