Un nome conosciuto da chiunque viva in Italia è quello di Aldo Baglio, che forse suona più familiare se accompagnato da Giovanni e Giacomo. Proprio il più giovane e alto del trio è protagonista di Una Boccata d’Aria, film di Alessio Lauria uscito nelle sale quest’estate e distribuito da Netflix in streaming nel mese di Ottobre. Questa notizia è ciò che maggiormente ha attratto il pubblico verso la pellicola, con molta probabilità, e per buone ragioni. Dei tre, Aldo è sempre stato quello più distinto per la sua corporatura e per i suoi tormentoni intramontabili, spesso recitati con l’accento siciliano, di cui è originario. Una Boccata d’Aria esplora questi tratti distinti e li immerge in una dinamica più complessa, con i piedi per terra. Il film riesce a sovvertire l’ordine naturale delle cose senza risultare estraniante? Vediamo.
Una Boccata d’Aria: una fiaba italiana
Salvo (Aldo Baglio) è un imprenditore del Sud emigrato a Milano, dove gestisce una pizzeria chiamata Il Gelso, in cui lavorano anche il figlio Enzo (Davide Calgaro) e la moglie Teresa (Lucia Ocone). I due hanno anche una figlia, che si è trasferita ad Amsterdam per studiare, Emma (Ludovica Martino). L’uomo, però, è sommerso dai debiti e non sa come uscirne. Scopre fra l’altro che il padre Nunzio (Tony Sperandeo) è venuto a mancare di recente, cosa che aggiunge altro stress fino a provocargli un esaurimento. Quando la strozzina a cui aveva chiesto un credito, poi, viene arrestata, si reca in Sicilia per raccogliere l’eredità che inizialmente aveva rifiutato. Il lascito in questione è la casa di famiglia, a cui è interessato il sindaco della città e per cui è disposto a pagare una cifra enorme, mai rivelata allo spettatore – ma ci viene lasciato sapere che l’acquirente “è disposto a pagargli la pensione”. Unico problema è che il fratello di Salvo, Lillo (Giovanni Calcagno), ha ricevuto metà della casa e si rifiuta di venderla. Così iniziano i tentativi del protagonista di convincerlo.
La storia si sviluppa in maniera abbastanza lineare, scorrevole e, purtroppo, anche banale. Questo non è necessariamente un male. La serenità delle vicende deriva proprio da una totale mancanza di pretese. Certo, l’assenza di sorprese può risultare noiosa, ma c’è qualcosa di accattivante nella formula proposta. La pellicola presenta una serie di gag scontate, le quali appaiono quasi come tributi al cinema comico italiano di cui Aldo Baglio è stato protagonista per tanto tempo, e mai rovinano l’atmosfera. Se si è appassionati del genere o se ne ha nostalgia, ciò che si prova è un caldo sentore di familiarità; questo non toglie però che si parla di scene viste e riviste. Sarebbe anche giusto decidere che non si vogliono usare 90 minuti della propria vita a rivedere le stesse situazioni. Possiamo dire che funziona per chi cerca un’atmosfera specifica, ma è un prodotto che obiettivamente non aggiunge niente alla conversazione.
Bellissimi gusci vuoti
I personaggi sono tanti e raccontano tutti momenti diversi della vita di Salvo, mettendo a nudo anche i suoi difetti, le sue vergogne. Lillo, per esempio, il fratello minore, è l’incarnazione dei sensi di colpa del più grande, che è scappato dalla casa natale lasciando il personaggio di Giovanni Calcagno a se stesso, con il padre emotivamente distante e probabilmente violento. In questa dinamica si vuole dipingere il costo del riscatto di un giovane come Salvo nei confronti dell’arida Sicilia in cui è cresciuto, che rinnegherà fino all’età adulta a causa del trauma. Altri personaggi, invece, ci vogliono mettere davanti al fatto che la vita altrui non ruota attorno a Salvo, anzi: è il caso di Carmela (Manuela Ventura), vecchia fiamma a senso unico del protagonista, mai stata interessata a lui romanticamente e che ora vive la sua vita priva di particolari intoppi – eccezion fatta per un misterioso e inoffensivo spasimante che le fa regali anonimi. Questo corollario, per quanto dispersivo, ha un ché di magnetico.
A discapito di tutti i possibili difetti che si possono trovare nella sceneggiatura, i personaggi creano fra loro dinamiche molto interessanti e possono vantare naturale complicità. Come Enzo e Fofò (Mario Di Leva), il figlio di Carmela, che insieme compongono un remix trap di un brano neomelodico napoletano, facendo incontrare a metà strada i loro gusti musicali. È veramente un peccato che il film non si impegni di più per esplorare le motivazioni che muovono i protagonisti nel compiere le loro azioni. Durante l’ora e mezza di visione, più volte ci si ritrova a chiedersi “Ma perché mai X ha fatto questa cosa?” Per la maggior parte di questi dubbi, la soluzione sarebbe stata non tirare mai in ballo la questione e il prodotto ne avrebbe beneficiato enormemente. Volendo fare un esempio, scopriamo che la figlia Emma ha abbandonato senza dirlo a nessuno il master, ma non ci viene mai detto perché né è ben chiaro cosa quest’informazione vorrebbe comunicare. Ovviamente, ognuno può lasciare gli studi anche senza una motivazione pressante, sono scelte personali, ma Emma non ci dice nemmeno questo. Quindi… perché?
Panni sporchi e famiglia come unico detergente
Il principale conflitto del film, ovviamente, è tra Salvo e Lillo. Il primo, imprenditore adottato dal Settentrione scappato dall’isola, che sfrutta le idee del fratellino per fare successo, senza mai offrirgli riparo una volta sistemato. Il secondo, rancoroso sopravvissuto alle angherie del padre e giudice delle scelte di vita del fratello maggiore da cui si sente tradito. Per cui Lillo decide in un primo momento di far sudare al più grande la vendita dell’immobile che promette in cambio della dispersione delle ceneri del genitore a date condizioni. In un secondo momento decide che l’intera faccenda è un test sulla moralità di Salvo.
La pellicola non lascia dubbi su cosa sia il da farsi: il protagonista non deve firmare, non deve vendere la casa, non deve nemmeno volerla vendere, se lo facesse diventerebbe il lupo cattivo. È sospettosamente conveniente che il fratello maggiore possa aprire la sua nuova pizzeria proprio lì, in quella stessa dimora, a seguito del pignoramento del locale a Milano; si può leggere l’intera faccenda come una profezia magica che si realizza (in sogno Salvo vede suo padre che lo rimanda in Sicilia), ma la morale è chiara: bisogna coltivare sul terreno che ci hanno predisposto i nostri genitori e perdonar loro i peccati e i torti nei nostri confronti. C’era sicuramente spazio di manovra per articolare meglio la narrazione e concedere una scelta al protagonista.
Le nostre conclusioni su Una Boccata d’Aria
L’ultimo girato di Alessio Lauria sembra voler essere una lettera d’amore per la propria terra natia. Non quella del regista, che proviene dal Nord tra Como e Varese, ma quella di ognuno per ognuno. Canta della bellezza del proprio nido tramite la storia di un inetto che deve tornare in contatto con le sue radici. Ne risulta una commedia delicata, una conversazione senza grandi rivelazioni, un prodotto per famiglie di cui non c’era la mancanza, ma che non spiace consumare. Una Boccata d’Aria è l’esatto opposto di quello che implica il titolo, non è nulla di nuovo o di fresco. Però riesce a raccontare l’ennesima storia sull’accettazione delle proprie origini con eleganza e questo non glielo si può negare. Alla fine di tutto, ciò che più rimane è l’interpretazione sentita di Aldo Baglio. Per restare aggiornati sulle prossime uscite o i vostri film preferiti vi invitiamo a seguirci anche su Instagram, sui nostri canali Telegram e Youtube, oltre che ovviamente sul nostro sito, per rimanere sempre aggiornati.
Una boccata d'aria è un film leggero come l'aria, che a volte purtroppo dimostra di averne anche lo stesso spessore. La commedia che propone è trita e ritrita, ma si può leggere come tributo al suo attore protagonista, Aldo Baglio, e ciò che ha donato al cinema, finendo per creare un'atmosfera nostalgica e familiare. Una sfilza di personaggi ben scritti, ma mai esplorati fino a fondo, lasciano perplesso lo spettatore che alla fine della visione può solo dire di aver speso un'ora e mezza in buona compagnia, ma non necessariamente né avrà tratto qualcosa che già non aveva sentito. Un buon film per una sera in famiglia, di cui la visione lascia però insoddisfatti sotto diversi aspetti.