Com’era il detto? Bene o male, l’importante è che se ne parli. Di certo davanti a Habit, il film di debutto di Janell Shirtcliff, non si rimane indifferenti. In stile Ms. 45 di Abel Ferrara, dove una donna muta, Thana, in preda a una sete di vendetta per essere stata stuprata due volte in un giorno, semina il terrore tra le strade di New York per gli uomini che sono tanto sfortunati da incontrarla. La sceneggiatrice e regista di Habit si è probabilmente ispirata a una scena quasi surreale di questo cult, cosa che scopriremo con la nostra recensione.
Thana si veste da suora per una festa di Halloween e si siede nel suo piccolo appartamento, mettendosi in posa con la pistola davanti allo specchio. Il rossetto rosso sangue è spalmato su tutta la bocca e lei bacia amorevolmente i proiettili, in preda a uno stato confusionale in un misto di pazzia e vendetta. Una scena altamente sovversiva, provocativa ed estrema (al suo tempo, ma anche oggi). Effetto probabilmente ricercato da Janell Shirtcliff, ma non ottenuto. Di certo il lungometraggio punta a scioccare e a colpire molto al di fuori della comfort zone. Ma quali sono i pregi e difetti di un film che si presenta in tutto e per tutto controverso?
Sister Act ma senza umorismo
Eroinomane e probabilmente dipendente dal sesso, Mads (Bella Thorne) ama Gesù, in un modo tutto suo. Infatti, se non è impegnata a indugiare nei suoi vizi o trafficare droga, la vediamo parlare con il Signore. Quando con le sue due amiche e coinquiline, Evie (Libby Mintz, che ha co-scritto la sceneggiatura con Shirtcliff) e Addy (Andreja Pejic), perdono 20.000$ di droga si ritrovano costrette a travestirsi da suore per raccogliere soldi e trovare un posto dove alloggiare. Della trama non c’è niente di più, niente di meno da dire. Il film non sembra essere interessato a essa più di quanto non lo sia con i costumi “da Halloween” sexy.
Habit riprende la giustapposizione di monache e violenza e la controversia nel vedere suore brandire pistole e indossare biancheria intima sexy. Habit è Sister Act ma senza umorismo. Il film ha una visuale molto appagante, che parte dai costumi e dal trucco fino ad arrivare al montaggio di alcune scene piuttosto suggestive. Purtroppo, per un lungometraggio come Habit, il quale punta a essere indisponente e sacrilego, manca di un forte punto di vista. Rimane provocatorio ma senza propositi. Fattore che porta a pensare che voglia ridicolizzare i credenti, ma lo fa in un modo infantile tale da lasciarci con un grande punto di domanda: “E quindi?”. Habit è così impegnato a dar fastidio ai religiosi che sembra dimenticarsi di fare altro.
Un potenziale non sfruttato
Parlando di abitudini e di vizi, Habit poteva portare un punto di vista nuovo e critico, ma si è fermato alla superficialità del racconto. Nonostante la sceneggiatura sia stata scritta da Libby Mintz e dalla regista, ci sono scene che sembrano totalmente improvvisate e aggiunte a un mix disconnesso poi rattoppato con la voce narrante di Mads. Ogni volta che la narrazione cerca fugacemente di prendere una piega più seria aggiungendo uno sguardo critico e un punto di vista, quel contenuto risulta inserito nel modo più maldestro possibile. Inoltre, Bella Thorne non sembra dare credibilità all’ossessione di Mads per Gesù, siccome quando ne parla sembra essere sarcastica, anziché dare l’impressione di crederci davvero. Non ci sono valori di base a guidare il suo personaggio, anche se dovrebbe essere la religione. E così la protagonista risulta solo un cifrario programmato per fare quanto la narrazione vuole che lei faccia.
La trama e i personaggi risultano bi-dimensionali e incasellati in archetipi standard. Dando al pubblico una visione d’insieme che sembra più un set fotografico di David LaChapelle, ma senza significato. Mads e le sue amiche sembrano solo tossicodipendenti, con l’aspetto da modelle, abbandonate dalla società e che condividono una personalità in tre. Gli antagonisti avevano un enorme potenziale. Purtroppo non incutono la soggezione che questi personaggi potevano trasmettere, lasciando una sensazione tra il confuso e il sorriso nervoso. Li salva l’eccentrica performance di Josie Ho la quale, in confronto al trio principale, risulta sopra le righe. Ma forse è proprio quello di cui ha bisogno Habit. Un film che aspira ad atmosfere alla John Waters e alla Tarantino, ma senza successo.
Le nostre conclusioni su Habit
Girato da Rain Li, Habit ha un’estetica accattivante e affascinante. Un punto a suo favore è l’uso prominente dei colori, considerando che molti film contemporanei sembrano essere spaventati da questi. Le riprese di Rain Li, le quali si concentrano pesantemente sui toni pastello, regalano un fascino visivo sgargiante. Viene posto l’accento sui colori, ma senza una solida storia di fondo; si ha la sensazione di essere sul set di uno spot di moda e non di un film. Di certo il lungometraggio è pieno di colori brillanti, ma non molto altro. Ci sono scene efficacemente impertinenti, ma ci sono tante altre cose inserite per gonfiare la narrazione e far passare il tempo. Persino il momento più controverso e criticata di far interpretare Gesù a Paris Jackson è passata in sottofondo, con una visita fugace, vuota e sfocata.
Non raggiungendo i 75 minuti prima della chiusura dei titoli di coda, Habit rappresenta, senza dubbio, un eroico lavoro di recupero da parte dell’editore Bradinn French, che almeno mantiene la narrazione in movimento e con un ritmo abbastanza veloce. Nella sua interezza Habit ha il sapore di scelte di cattivo gusto fatte proprio perché sono di cattivo gusto. La religione e chi è religioso di sicuro si sentiranno offesi da questo film e forse questo gli dà un punto in più (o in meno), ma in generale non è un gran lavoro. Se volete rimanere aggiornati sulle notizie dal mondo del cinema, degli anime, dei manga, dei videogiochi e molto altro, unitevi al nostro canale Telegram e continuate a seguirci sui nostri canali social Instagram, Facebook e TikTok e seguiteci su Kaleidoverse e sul nostro canale YouTube.
Habit è stato creato con l'intenzione di essere sovversivo, controverso e provocatorio. Purtroppo non sembra averci creduto abbastanza. Il film infatti ha un enorme potenziale sprecato. Manca di una trama che lo sostiene e dei personaggi capaci di donargli tridimensionalità. Habit sembra un insulto infantile alla religione, senza un punto di vista. Una critica piatta, se un film non ha niente da dire a riguardo. Accattivante la scelta dell'utilizzo di colori brillanti, i quali purtroppo hanno come unico effetto quello di dare al film una bella estetica. Sopra alle righe ma molto apprezzata per questo, la performance di Josie Ho come Queenie. La sensazione data da questo film all'inizio è "Ma che...?" e questa rimarrà fino alla fine.