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Home»Film/Serie TV»Pinocchio di Guillermo del Toro Recensione: una lettera d’amore per l’animazione
Film/Serie TV

Pinocchio di Guillermo del Toro Recensione: una lettera d’amore per l’animazione

Giulia GaliziaBy Giulia Galizia11 Dicembre 2022Nessun commento6 Mins Read
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Pinocchio
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Il cinema è arte e all’arte non bisogna porre freni. Gli scettici verso l’ennesimo adattamento del romanzo di formazione Le avventure di Pinocchio – Storia di un Burattino di Carlo Collodi (aka Carlo Lorenzini) erano molti. Soprattutto valutando che solo a inizio settembre scorso abbiamo visto il remake live action di Disney con Tom Hanks nei panni del buon Geppetto. Insomma, le probabilità di successo di questa nuova versione di Guillermo del Toro della storia collodiana non erano molte. Ora che lo abbiamo visto però possiamo dirlo: meno male che il regista messicano ha creato questo piccolo gioiello. Non solo, infatti, del Toro ha creato una versione fresca e nuova della storia, ma ha anche utilizzato l’animazione come vettore dello storytelling. Noi di Kaleidoverse.it abbiamo visto Pinocchio di del Toro e vogliamo parlarne con voi in questa recensione.

Il film, etichettato non solo come film animato ma anche, in parte, come musical, scorre piacevolmente e incanta lo spettatore per i movimenti fluidi dei personaggi e le emozioni che questi mostrano. Del Toro ha deciso di non seguire pagina dopo pagina la trama originale, optando invece per una lettura più artistica ed empatica. Alcune trovate sono azzeccate, altre un pochino meno, ma la cosa più importante è il fatto che lo spirito della storia viene rispettato. Pinocchio è una nuova anima costretta nelle vesti di una marionetta senza fili (erroneamente chiamata burattino da Collodi stesso) e impara sbagliando, facendo scelte errate e diventando, piano piano sempre più umano. Pinocchio di Guillermo del Toro

L’animazione è per tutti

L’animazione, in ambito occidentale almeno, è sempre stata erroneamente etichettata come prodotto per l’infanzia. Questo film dimostra perfettamente come non sia affatto così. Pinocchio di Guillermo del Toro è una lettura nuova, diversa e per la prima volta con animazione in stop motion (per intenderci, come Nightmare Before Christmas). Il fatto che del Toro abbia deciso di animare le vicissitudini di Pinocchio, invece di filmare un prodotto in live action è ossimorico quanto affascinante. Nell’immobilità dei pupazzi in stop motion, che prendono vita solo una volta montati in fila tutti i frame, il regista messicano ha costruito la storia di una creatura che dovrebbe essere inanimata e che invece prende vita. In questa versione di Pinocchio è particolarmente ilare il fatto che tutti i personaggi siano inanimati, non solo Pinocchio, e che, una volta creato il lungometraggio, si muovano tutti grazie alle fila di coloro che hanno lavorato alla pellicola.

In questo film, inoltre, si vedono tematiche complicate. Dall’alcolismo al fascismo, ci sono molte scene che possono essere comprese con criterio dagli adulti più che dai bambini (che invece si soffermeranno più sulla musica e sul burattino in sé). La storia di Pinocchio è dolceamara e rende spesso frustrati i lettori e gli spettatori. Questa marionetta tanto disubbidiente fa sorridere ma fa anche arrabbiare per quanto mette nei guai il povero Geppetto. Eppure la sua storia non manca il bersaglio. Pur essendo l’ennesimo adattamento, pur essendo non la prima versione animata, pur essendo conosciuta da tutto il mondo, Pinocchio fa audience e in questo caso a grande ragione.

Pinocchio di Guillermo del Toro

Escamotage di trama non sempre funzionali

Un piccolo tasto dolente c’è, e riguarda la scelta di cambiare trama e personaggi. Ad esempio, non c’è la Fata Turchina (sostituita da creature differenti anche se comunque magiche) e i personaggi presenti sono a loro volta diversi. Geppetto in primis (in originale David Bradley, doppiato in italiano da Bruno Alessandro e per il canto da Vittorio Matteucci) è un personaggio quasi snaturato rispetto agli scritti di Collodi. C’è ultimamente la tendenza a voler dare una motivazione a tutto ciò che accade in una storia. Spesso succede con gli antagonisti, in questo caso è Geppetto che ha ricevuto una tragica backstory non necessaria. I primi 10 minuti del lungometraggio sono totalmente sul falegname e sulla sua infelice storia familiare. Questo non aggiunge nulla alle avventure di Pinocchio, se non il ricordo, di quando in quando, dei tristi trascorsi del falegname.

Ciò che i film-maker spesso omettono di comprendere è che non sempre è necessaria una “spiegazione”. Pinocchio trova la motivazione per diventare un bravo bambino dentro di sé. Non ha bisogno che suo padre abbia un passato tragico, perché per aiutarlo decide comunque di mettere da parte se stesso. Questa è la crescita di Pinocchio. Uscire dall’egocentrismo infantile (o “burattinico”) e capire che per migliorare deve avere cura di chi ama. Allo stesso modo era stato trattato Dorian Gray nel film del 2009 con Ben Barnes. Da un dandy che aveva deciso di non invecchiare mai, il lungometraggio mostrò un Dorian che vendeva l’anima a un’entità maligna, cosa paradossale se si pensa agli scritti di Oscar Wilde. In questo caso la trama non ne risente troppo, ma la storia di Geppetto poteva essere omessa. Si salva però la dolcissima canzone che l’uomo canta (resa in italiano magistralmente da Matteucci).

Le nostre conclusioni su Pinocchio

Pinocchio di Guillermo del Toro è un gioiello per gli occhi, è una tazza di tè caldo in una giornata fredda, è un film che fa soffrire, fa riflettere e lascia il segno. Se volete una trama che segue di più il romanzo di formazione di Collodi non è probabilmente l’adattamento più fedele (per quello è consigliabile il film di Garrone del 2019), ma d’altronde nemmeno il classico Disney del 1940 lo era ed è tuttora amato in tutto il mondo. Questa versione è talmente curata, talmente poetica, che se fosse stata fatta in live action non avrebbe avuto lo stesso impatto. la scelta della stop motion, tecnica nella quale si utilizzano pupazzetti inanimati per dare movimento, è talmente calzante per la marionetta che si muove senza fili, che il film non avrebbe potuto davvero essere in un altro modo.

Perciò, che siate adulti o bambini, che siate amanti dell’animazione o no, dei musical o no, guardate Pinocchio di Guillermo del Toro. Fatelo per vedere una storia nota declinata in modo nuovo. Oppure fatelo per farvi scaldare dai colori, dallo spirito e dal magico storytelling di una storia che è davvero senza tempo. Se volete rimanere aggiornati sulle notizie dal mondo del cinema, degli anime, dei manga, dei videogiochi e molto altro, unitevi al nostro canale Telegram e continuate a seguirci sul sito Kaleidoverse.

90%

Pinocchio di Del Toro è una bellissima lettera d'amore all'animazione. La cura messa in ogni singolo frame si percepisce, così come la ricerca di emozioni e di una storia che colpisca lo spettatore dall'inizio alla fine. Pinocchio compie un viaggio, psicologico e fisico, per crescere, uscire da un'egocentrismo tipico dell'infanzia e capire quali siano le cose importanti. La trama non segue molto quella del libro di Carlo Collodi, ma lo spirito della storia è comunque rispettato. Alcune cose potevano essere evitate, come l'ennesima backstory tragica di alcuni personaggi (preferita a personaggi e storie parti dell'originale invece omessi), ma in fin dei conti è davvero un ottimo film che dimostra come l'animazione sia molto di più di quello che in occidente percepiamo come un prodotto per bambini. Pinocchio di Guillermo del Toro è spaventoso, emozionante e un gioiello per gli occhi e dispiace solo che in Italia sia arrivato in sala solo in originale sottotitolato, perché il doppiaggio merita moltissimo, dall'inizio alla fine.

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Attrice e appassionata di canto, cinema, animazione, fiabe e danze storiche. Ha studiato doppiaggio cinematografico e al momento si destreggia per entrare in quell'affascinante mondo. Laureata in Scienze della Formazione Primaria all'Università di Modena e Reggio Emilia, dove ha conseguito anche un dottorato di ricerca in Scienze Umanistiche. Bilingue inglese è appassionata di scrittura fin dal 2011 quando pubblicò il suo primo racconto "Confessione" nel libro "Il sogno di Agnese - L'inferno è Immobile".

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