Il freddo insidioso di gennaio ben si abbina a storie da brivido, cosa che gli amanti del true crime sanno molto bene. Dopo i successi del 2022 – The Good Nurse e Dahmer, tanto per citarne un paio – Netflix apre il 2023 con Kai, L’autostoppista con L’accetta. Il docufilm – diretto da Colette Camden (What Do Artists Do All Day?) – dipinge una vicenda tanto reale quanto incredibilmente strampalata, fondendo il true crime con un pesante sottofondo di serietà e indagine sociale, come avremo modo di dimostrare nella seguente recensione.
Trattandosi di un documentario non c’è un cast a cui guardare per constatare la qualità dell’opera. Nel corso del film, però, possiamo contare sull’intervento di molti volti noti del panorama televisivo e dello show biz americano. Forse è proprio il coinvolgimento della TV e di personalità di spicco a rendere così succulenta la vicenda per una fetta di pubblico, che può usare i nomi più famosi come punti di riferimento per farsi strada in una storia che è estranea ai nostri rotocalchi.
La trama di Kai, L’autostoppista con L’accetta
Trattandosi di un fenomeno virale trasformatosi poi in un caso di cronaca probabilmente qualcuno di voi già saprà quali vicende circondano Kai, giovane autostoppista senzatetto diventato famoso nel 2013 per via di un avvenimento davvero sconvolgente e bizzarro: prese ad accettate l’automobilista che gli stava dando un passaggio perché quest’ultimo aveva investito un uomo – afroamericano – di proposito, per poi aggredire fisicamente una donna che voleva soltanto aiutarlo.
Questo è il prologo, e non solo, del film: le sorti del giovane autostoppista cambiano a partire da quell’incidente, portandolo dalle stelle alle sbarre nel giro di soli tre mesi, in una spirale che ricorda – se si vuole usare l’immaginazione – un aeroplano in avaria che precipita inesorabilmente, disegnando una simmetrica quanto vaporosa spirale. Un’evoluzione certamente inaspettata, anche se non così tanto per quelli che hanno potuto interagire con Kai (almeno, stando alle loro dichiarazioni).
Ricostruzioni minimal
La parabola di Kai è, dal punto di vista puramente visivo, limpidissima, anzi: rispetto alle solite serie true crime il materiale originale rappresenta la parte più voluminosa della pellicola. Tralasciando infatti le varie interviste realizzate a giornalisti, produttori, cameramen e ai familiari del ragazzo, realizzate in tempi sicuramente più recenti, il resto del materiale è quasi completamente originale, e la cosa è piuttosto insolita. Il true crime, infatti, molto spesso si concentra sulle ricostruzioni dei fatti, che stimolano la curiosità e l’immaginazione dello spettatore, morbosamente attaccato allo schermo per cercare di capire fino in fondo come si sono svolti i reati evocati.
Kai, L’autostoppista con L’accetta non fa niente di tutto ciò, e questo perché fin dal primo istante il ragazzo viene filmato, registrato e diffuso in rete. Complice i tempi relativamente recenti (il 2013 è praticamente dietro l’angolo, e con esso il boom di piattaforme come YouTube) le testimonianze raccolte nel film sull’agire di Kai sono vere e molto spesso riposano nei bacini dei social network sotto forma di commenti. Per questo motivo le ricostruzioni presenti sono davvero pochissime e molto più evocative che descrittive (non vediamo Kai commettere il delitto per cui è stato condannato, tanto per fare un esempio, ma soltanto la sua figura di spalle che costeggia una strada).
Il true crime asservito a qualcosa di più grande
Se l’obiettivo del film non è quello di infervorare gli animi e stimolare il lato da detective che giace in ognuno di noi, qual è? In effetti quella di Kai sembra più una storia raccontata con uno scopo, e non la descrizione di un crimine scandagliato nei minimi dettagli. No, è Kai a essere oggetto dello sguardo della regista, non come criminale ma come fenomeno mediatico. Osservato da questo punto di vista emergono moltissime questioni molto interessanti e attuali, che si sono calcificate nel corso degli anni nei salotti di tutto il mondo.
Il punto del film infatti non è tanto che Kai abbia ucciso un uomo, ma che l’abbia fatto dopo essere diventato una sorta di paladino delle masse, osannato dalla gente sul Web per aver compiuto un gesto nobile ma al contempo inquietante. L’occhio critico della cinepresa infatti fa cadere l’ultima nota proprio su questo: le persone hanno consacrato un ragazzo che ha usato la violenza con uno scopo nobile, rendendolo virale e gonfiando il suo ego al punto che i suoi (evidenti) problemi sono poi emersi e scoppiati in faccia al pubblico come una bomba carta, nonostante in apparenza sembrasse un bravo ragazzo.
Autostop con poche pause
La storia di Kai evidenzia non solo il profondo disagio di una persona fragile, ma anche una contraddizione di fondo insita nella società. L’uso sempre più pervasivo dei social sta portando maggiormente a questi petardi improvvisi di violenza gratuita, o di incitamento ad atti simili. Pensare che tutto ciò che finisce sul Web sia una performance, eseguita appositamente per guadagnare visualizzazioni e like, è sbagliato. Assecondare le azioni di questo ragazzo si è rivelato infatti un terribile errore, e i primi a riconoscerlo sono proprio quelli che lo hanno portato all’apice della fama.
Inoltre, come viene appunto sottolineato dalle dichiarazioni di chi lo ha condotto fino agli schermi televisivi, c’era il chiaro sentore che Kai avesse qualcosa che non andava. Sapendo questo, proprio queste persone molto più del popolo del Web avrebbe dovuto smorzare gli animi e dare al ragazzo un aiuto più concreto di una pacca sulla spalla, cosa che riconoscono loro stessi. Purtroppo, come si suol dire, con il senno di poi si alzano i palazzi, che Kai non potrà più vedere per il resto della sua vita, essendo stato condannato a più di 50 anni di reclusione.
Le nostre conclusioni su Kai, l’autostoppista con l’accetta
È così che Kai, l’autostoppista con l’accetta si trasforma da semplice docufilm in messaggero. Probabilmente non tutti accoglieranno positivamente il messaggio lanciato – quello di ragionare sempre il giusto prima di osannare personaggi sconosciuti, perché non tutto quello che è presente sui social è una performance – e continueranno a scrollare il proprio feed alla ricerca di nuovi contenuti da consumare. Noi comunque vi consigliamo di guardare il film su Kai per poter assimilare con i vostri tempi una vicenda che potrebbe purtroppo ripetersi.
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