Non c’è niente di più importante della famiglia: sono i primi volti che ricordiamo e le prime persone che conosciamo nel corso della nostra vita. Sì, la famiglia è importante, anzi, forse di più: è la base sulla quale costruiamo chi saremo, nel bene quanto nel male. Proprio come ogni altro tassello della società, anche la famiglia muta, si trasforma e si adatta ai desideri dei suoi componenti. E, come insegna La Mia Prediletta, nuova miniserie di Netflix disponibile dal 7 settembre, bisogna stare molto attenti ai desideri, perché spesso nascondono lati oscuri. Lo vedremo insieme in questa recensione – riducendo gli spoiler al minimo – su una storia che ha i natali nella carta stampata.
La Mia Prediletta, infatti, prima di essere adattata per i piccoli schermi nasce come romanzo thriller – molto acclamato dagli appassionati sia in Germania che in Italia – e porta la firma di Romy Hausmann, che ha collaborato alla scrittura della sceneggiatura insieme a Isabel Klefeeld (The Experiment – Cercasi cavie umane) e Julian Pörksen (Whatever Happens Next), che hanno diretto il tutto. Nel cast spicca sicuramente Naila Schuberth, la piccola attrice che, se frequentate il catalogo di Netflix con assiduità, avrete visto in Bird Box Barcellona nel ruolo di Sofia, una bambina sicuramente diversa dalla protagonista di La Mia Prediletta, come vi renderete conto leggendo la trama.
La Mia Prediletta: la trama della miniserie
La Mia Prediletta si apre in medias res: siamo in una casa, ci sono due bambini e una donna che giocano. Non appena si apre una porta, però, capiamo che qualcosa non va: “papà“, come lo chiamano i bambini, ha sicuramente qualcosa che non va, dal momento che la donna sembra esserne terrorizzata. E infatti poco dopo la vediamo correre in un bosco in camicia da notte. Sappiamo che la donna verrà trovata – si vede già nel trailer – e che con lei ci sarà la piccola Hannah (Naila Schuberth), sua figlia. Una volta in ospedale è lei a raccontare all’infermiera, alla polizia e agli spettatori la dinamica dei fatti.
Come immaginerete – dal momento che stiamo parlando di un thriller – nulla è come sembra, ma il ritrovamento della donna e della bambina viene ricollegato fin da subito dalle forze dell’ordine alla scomparsa di Lena Beck (Jeanne Goursaud), una giovane donna sparita nel nulla 13 anni prima. Mentre i genitori della ragazza si precipitano all’ospedale carichi di speranza e Hannah racconta all’infermiera Ruth (Birge Schade) come lei e sua madre sono finite sul ciglio di una strada in piena notte nessuno dei personaggi può immaginare quanto complessa possa essere la situazione, che si frammenta sotto gli occhi dello spettatore in sezioni di uno specchio pieno di crepe, che raccolgono confusamente il passato, il presente e i ricordi in una successione netta e quasi claustrofobica.
Cadenza perfetta, montaggio spinoso
Dal punto di vista registico La Mia Prediletta è una miniserie impeccabile – ovviamente, parlando da profana e senza aver letto il romanzo. La storia viene raccontata intrappolando lo spettatore in un clima di continua aspettativa e ansia per quello che sta guardando, cambiando la percezione della verità e della realtà poco alla volta, quasi impercettibilmente. Questo mutamento centellinato confonde chi guarda e al contempo lo conquista: non c’è niente di meglio di un mistero da risolvere per tenere alta l’attenzione, mentre le scene si susseguono l’una dopo l’altra come diapositive.
L’andatura della serie si adatta perfettamente ai suoi contenuti e riesce a non far perdere il filo agli spettatori né ad annoiarli fino all’ultimo secondo. La sceneggiatura è stata infatti tradotta con successo anche dal punto di vista visivo, creando un continuo senso di claustrofobia che germoglia nei personaggi per poi protendersi verso gli spettatori. La stessa cosa accade con la perenne confusione che pervade i ragionamenti degli investigatori, che accumulano interrogativi su interrogativi senza riuscire a darsi delle risposte soddisfacenti se non nell’ultima puntata.
“Tutte le famiglie felici sono uguali”…
Come vi suggerivo nell’introduzione di questo articolo il tema principale di La Mia Prediletta è la famiglia. È vero che la storia ruota intorno alla domanda sulla sorte di Lena Beck, ma i primi secondi della miniserie ci presentano uno scenario ben differente: la prima cosa che vediamo è una famiglia che gioca. Sì, ci bastano pochi minuti per capire che c’è qualcosa che non va: le finestre sono oscurate, la donna è spaventata e ha il volto tumefatto e l’uomo – il “padre” di questa famiglia distorta – comanda a bacchetta lei e i bambini con fare tirannico.
Lo spettatore riconosce subito quello che ha davanti – a maggior ragione se non è nuovo a questo genere di serie TV. Ma i due bambini – che ricoprono un ruolo preponderante nello svolgimento degli eventi – hanno un’idea diversa di cosa sia giusto e sbagliato, o di cosa sia normale per loro. Questa ignoranza – o meglio, questa distorsione inconsapevole della realtà ad opera loro – rappresenta un altro punto cardine della storia, che il titolo racchiude alla perfezione ma che chi guarda deve aspettare fino all’ultimo episodio per comprendere appieno.
…”ogni famiglia infelice lo è a modo suo”
Se la famiglia di cui fa parte Hannah è perfettamente finta e artificialmente perfetta, al di fuori della casa sotterranea c’è un’altra famiglia, vera quanto disastrata: la famiglia di Lena Beck, che si ritrova coinvolta nuovamente – con rammarico della madre Karin (Julika Jenkins) – in un’indagine che li metterà a dura prova. Guardando i personaggi in maniera più generica, possiamo tranquillamente notare come quelli collegati alla scomparsa di Lena portino tutti le conseguenze della sua sparizione: Matthias Beck (Justus von Dohnányi), il padre della ragazza, inizia a comportarsi come una scheggia impazzita, diventando sordo a qualsiasi ammonimento della polizia, tanto per fare un esempio.
Inoltre, nel corso delle puntate assistiamo – oltre a una sconvolgente verità dietro la segregazione dei bambini e della donna – anche alla rottura del cerchio ossessivo del rapitore. Se, infatti, è evidente (e forse anche un po’ ovvio a chi mastica thriller) che il rapitore abbia qualche disturbo mentale, non è altrettanto evidente l’evoluzione degli eventi, che si rivela dopo qualche finta inaspettata (e sperata). I personaggi rompono gli schemi imposti dall’antagonista, agendo di loro spontanea iniziativa e riportando equilibrio e giustizia nella storia, rendendo quindi vano il quadretto della famiglia perfetta che tanto desiderava.
Le nostre conclusioni su La Mia Prediletta
La Mia Prediletta è una miniserie da guardare tutta d’un fiato per godere dei brividi e dell’adrenalina passiva. La storia è avvincente nonostante la tipologia scelta non sia nuova e il cast ha saputo dimostrarsi più che all’altezza del proprio ruolo. Hans Löw (Gerd Bühling), Haley Louise Jones (Aida Kurt) e Sammy Schrein (Jonathan), oltre agli attori che abbiamo già citato, contribuiscono a rendere La Mia Prediletta avvincente, carica di colpi di scena e di suspense. Se vi appassionano questo genere di storie e siete alla ricerca di qualcosa di poco impegnativo ma bello, La Mia Prediletta potrebbe fare al caso vostro.
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La Mia Prediletta è un prodotto ben riuscito, che riesce a tenere lo spettatore incollato davanti allo schermo per tutto il tempo. La storia gioca con indizi e rivelazioni, facendo faticare in più occasioni chi guarda: lo spettatore non viene così viziato da una trama già vista che alla fine gli dà quello che vuole, ma lo tiene allenato, mentre scarta improvvisamente verso altri ragionamenti senza lasciargli il tempo di abituarsi alle versioni dei fatti. Molto apprezzato il finale positivo che non colpevolizza la bambina – antieroina a sua insaputa – e la falsa pista riguardante Jasmin, Final Girl sotto mentite spoglie. Consigliata agli amanti del thriller, non è un prodotto dall’aria riciclata e sorprende in più di un'occasione.