Dopo il successo della miniserie The Beatles: Get back di Peter Jackson, lo stesso Jackson ha preso in mano la pellicola originale del film maledetto. L’appellativo con cui il documentario Let it be è soprannominato dai fan è legato alla data di uscita. Di fatti uscì nel 1970, un mese circa dopo lo sconvolgente scioglimento della band più famosa del mondo. Questo fulmine a ciel sereno ha reso il film odiato ma anche il miglior tributo, tuttora, alla band che ha cambiato il panorama musicale odierno. L’idea nata dalla mente di Michael Lindsay-Hogg doveva portare a celebrare la musica e le loro creazioni in studio. Finì per essere un documentario celebrativo della loro immensa carriera con anche dei retroscena interessanti dal punto di vista creativo. Vediamo in questa recensione di The Beatles – Let it be che cosa ci aspetta!
Partiti con il nome Black Jacks passando per Johnny and the Moondogs, Silver Beatles per arrivare poi, nel 1960, a chiamarsi definitivamente The Beatles. La famosa band formata da John Lennon, Paul McCartney, Ringo Starr e George Harrison (il quarto di cui pochi ricordano il nome, altro che Ringo Starr come cantano i Pinguini tattici nucleari) in soli 10 anni di carriera cambiò il modo di fare e vedere la musica. I successi memorabili sono la testimonianza del segno lasciato nel loro, seppur breve, passaggio nel mondo della musica. Della formazione originale rimangono solo Ringo Starr e, ancora attivo, Paul McCartney. Harrison ci ha lasciati nel 2001 a causa di un cancro mentre Lennon venne assassinato nel 1980 da Mark Chapman. A qualcuno potrebbe essere noto il nome anche per la canzone dei Måneskin omonima contenuta nell’album Rush!.
L’intervista iniziale tra Jackson e Lindsay-Hogg
Il documentario inizia con un’intervista fatta da Jackson all’ideatore del progetto Michael Lindsay-Hogg. I due si affrontano sul tema del perché è nato questo progetto andando a presentare anche qualche piccolo retroscena. Uno fra tanti è il motivo per cui è stato fatto il famosissimo concerto sul tetto della Apple Corps durato solo 42 minuti. I due si ringraziano a vicenda per essersi aiutati nel lavoro di restauro e nell’aver permesso che ciò fosse possibile. Successivamente a questa intervista si viene catapultati in uno studio vuoto che viene piano piano riempito dagli strumenti e tutto il necessario alla registrazione.
Lo scambio di opinioni tra Jackson e Lindsay-Hogg aiutano a capire l’entità del lavoro fatto dietro il documentario sia per le riprese dell’epoca sia per il restauro. La mole di ore di videoregistrazioni fatte è servita a creare un prodotto a tutto tondo sulla nascita dell’album Let it be. La conclusione di questo progetto non era ancora chiara a Michael ed è proprio qui che arriva il lampo di genio. Questo lo facciamo scoprire da soli o che gusto c’è nel saperlo prima? Ora proseguiamo con la recensione di The Beatles – Let it be!
Non solo Let it be
Come ci anticipa Michael durante l’intervista con Peter in Let it be non ci sono solo canzoni di quell’album. Infatti nella fase di creazione vengono anche abbozzate melodie e testo di pezzi presenti poi nell’album Abbey Road uscito nel 1969. Troviamo infatti un interessante retroscena su come viene prodotto il suono onomatopeico in Maxwell’s silver hammer. Sono presenti anche accenni del testo di Octopus’s Garden ma anche l’odio per un testo scritto da Lennon- McCartney che non avrebbero mai voluto pubblicare. L’inserimento di alcuni brani, ad esempio Get back, fu motivo di dibattito tra i membri del gruppo che non li ritenevano di un buon livello.
Il gruppo ha dato vita a canzoni che tuttora sono miti intramontabili e che mantengono vivo il ricordo della band. Vedere come si davano consigli, come migliorare il suono o anche semplicemente il voler risultare coesi a tutti gli effetti è un piacere. Dimostrano un grande attaccamento al loro progetto, il volersi migliorare e dare sempre il meglio al pubblico che li ha sempre sostenuti e amati. Ci sono alcuni scambi tra Lennon e McCartney ma anche tra McCartney e Harrison sul come andrebbe suonato un determinato giro di accordi. Lo scambio di opinioni è ben accetto da Lennon e un po’ meno da Harrison ma senza arrivare a litigare. Il costante miglioramento che Paul vuole portare è per il bene della band e lo fa nella maniera più pacata e tranquilla possibile.
Una presenza costante
Durante le riprese ci sono due costanti durante tutto il documentario: i Fab four e la compagna di Lennon Yōko Ono. La donna è come un’ombra per Lennon e non lo lascia mai dandogli forza, ispirazione e attimi danzanti sulle note di I me mine. Purtroppo è così solo per Lennon e gli altri si sono dovuti adeguare alla sua ingombrante presenza in studio. A metà circa del documentario arriva anche la piccola Heather McCartney a portare una ventata di spensieratezza per aiutare il papà, e la band, nella produzione. Il quadro che ci viene messo davanti è idilliaco, un insieme di naturalezza e tranquillità come se non stessero registrando un album.
Nonostante non sia l’album più venduto della band (Sgt. Pepper’s lonely hearts club band è il più venduto con i suoi 32 milioni di copie) ha comunque un valore inestimabile per i fan. Un po’ perché è l’ultimo album uscito, un po’ è legato proprio a questo documentario. Per non parlare poi della canzone che ha dato il nome all’album l’omonima Let it be. McCartney raccontò in un’intervista che l’ispirazione gli venne da un sogno in cui parlò con sua mamma. Ella, morta di cancro quando lui aveva solo 14 anni, gli disse to let it be ovvero che tutto si sarebbe aggiustato. Il riferimento è per i dissapori creatisi all’interno del gruppo i quali non si sono poi risolti data la fine fatta dopo l’uscita dell’album.
Le nostre conclusioni su The Beatles – Let it be
Eccoci arrivati alla conclusione della recensione di The Beatles – Let it be e, se con Get back Peter Jackson aveva fatto centro, con questo colpisce ancora più a fondo. Il restauro, l’intervista prima del documentario, tutto è apprezzabile e riporta i fan in studio con loro. Il famoso concerto sul tetto della Apple Corps è talmente immersivo per via delle sue riprese che col restauro diventa ancora più realistico. Il resto l’hanno fatto loro donandoci le canzoni che ancora oggi ci troviamo a cantare e ascoltare. Per chi aveva nostalgia, o anche solo per curiosità di vedere un prodotto sui Fab Four, questo fa proprio al caso vostro.
Questa è solo una delle tante recensioni (le ultime riguardano Bridgerton 3 e Bodkin) che potete trovare sul nostro sito di Kaleidoverse. Ogni settimana ci impegniamo nel proporre nuovi contenuti e non solo recensioni. Troverete infatti anche approfondimenti di vario genere (I migliori film di Jack Black, Le migliori serie Marvel fino ad ora ad esempio) e guide per videogiochi. Voi avete molteplici opzioni per poterci dire la vostra attraverso i canali social di Facebook e Instagram. Entrando a far parte della nostra community Telegram potrete sia dirci la vostra che rimanere aggiornati sulle ultime uscite. Noi come vi ringraziamo per averci letto fin qui e vi aspettiamo numerosi nei commenti e alla prossima recensione!
Documentario che è un grandissimo omaggio alla storia dei The Beatles diventato tale data la fine che fece la band all'uscita dell'album un mese dopo. Michael Lindsay-Hogg voleva rendere partecipe il pubblico del processo di creazione di questa band che ha fatto la storia. Mai avrebbe immaginato che, dopo l'uscita del documentario e dell'album, si sarebbero sciolti. Ciò che viene ricordato, da alcuni fan, è il soprannome con cui è conosciuto questo prodotto ossia il documentario maledetto. Quello che invece vediamo noi è una bellissimo e godibilissimo documentario che rende ancora più grande i Fab Four e la loro musica. Il lavoro fatto da Peter Jackson, con l'aiuto di Lindsay-Hogg, sul film del 1970 è straordinario e rende giustizia al suo precedente. La presenza dei retroscena, dell'intervista a inizio film di Jackson e Lindsay-Hogg e l'intera produzione sono davvero una lode alla band. Scoprire il perché venne poi ideato il concerto sul tetto dell'Apple Corps ha dell'incredibile e si apprezza ancora di più l'idea che Michael ebbe all'epoca.