Il mondo del true crime è in piena espansione: gli ultimi anni sono stati particolarmente proficui per i creator interessati al lato macabro e criminoso dell’umanità, tanto che oggi guardare serie TV documentaristiche su assassini e crimini non suscita quasi più alcuna reazione di stupore. Tuttavia, una volta esistevano canali televisivi di nicchia appositamente studiati per quei pochi amanti del crimine, ed è da uno di questi che proviene la docuserie di cui Kaleidoverse parla in questa nuova recensione: I Am A Killer, tornata con una stagione 5 su Netflix il 16 ottobre, e di cui parliamo in questa recensione.
I Am A Killer inizia a raccontare la vita dei detenuti delle carceri americane nel 2018, ma a differenza di altri programmi televisivi come Inside the World’s Toughest Prisons non lo fa guardando al presente e alla quotidianità dei prigionieri, bensì al passato e ricostruendo le loro vite e i motivi che li hanno portati a trascorrere una vita dietro le sbarre. Alla regia e alla produzione dei 6 episodi che compongono la serie troviamo Stuart Powell (Britain’s Biggest Dig), Ollie Elliott (SAS: Who Dares Wins), Ben Holgate (How the Holocaust Began), Ollie Scarth-Saunders (Your Home Made Perfect) e Ross Young (Driving Wild). Vediamo adesso un po’ meglio di cosa parla questa quinta stagione.
I Am A Killer Recensione Stagione 5: 6 nuove storie
La quinta stagione di I Am a Killer continua ad esplorare le vite e i crimini di persone condannate per omicidio, con interviste dirette ai detenuti e ai loro familiari. Ogni episodio si concentra su un caso diverso, esaminando le motivazioni che hanno portato alla violenza e le circostanze personali che hanno influenzato le scelte dei protagonisti. Tra i casi trattati ci sono Jamel Hatcher, che ha ucciso la sua fidanzata in un presunto incidente, e Christian Sims, condannato per l’omicidio della nonna con l’aiuto della sua ragazza, Ashley Morrison.
Gli episodi esplorano anche le storie di Ezdeth Highley, che ha accoltellato mortalmente un uomo durante una rissa, e di Rex Groves, che ha ucciso sua nonna in un momento di paranoia. Ogni caso offre prospettive contrastanti e sfida le idee preconcette sul crimine violento, invitando il pubblico a riflettere sulle cause e sulle conseguenze delle azioni dei detenuti. La serie non si limita a raccontare i crimini, ma approfondisce le ripercussioni legali e morali delle scelte fatte dai protagonisti nel contesto da cui provengono.
Dietro le sbarre
La regia di I Am A Killer è in mano a bravi documentaristi che sono in grado di restituire allo spettatore la realtà senza fronzoli, anche nei brevi attimi narrativi aggiunti perché evocativi. Nel corso delle puntate, infatti, la presenza delle persone è soprattutto interna – al carcere, ad ambienti casalinghi, ai corridoi dei tribunali, agli uffici del personale giudiziario. Gli spazi esterni sono riservati agli attimi di ricostruzione e mostrano agli spettatori i luoghi di provenienza degli assassini, così come le scene del crimine.
Per quanto riguarda i contenuti dei singoli episodi assistiamo al racconto, da parte dei 6 detenuti, dei motivi che li hanno spinti a finire dietro le sbarre, ma non solo. Ogni puntata coinvolge non solo l’assassino, ma anche la sua famiglia, quella della vittima e i membri delle forze dell’ordine che hanno indagato sul crimine commesso. Il successo del format risiede, inoltre, nella possibilità per lo spettatore di ascoltare in prima battuta il punto di vista dell’assassino, ma anche quello delle altre persone coinvolte, il che permette di avere la possibilità di farsi un’opinione tanto personale quanto completa rispetto a quanto accaduto.
Nella mente di un assassino
A differenza delle prime stagioni, dove gli assassini intervistati erano condannati nel braccio della morte, questa stagione decide di dare risalto a detenuti condannati all’ergastolo o a pene comunque molto severe, che però hanno diritto alla libertà condizionale – se dimostrano di meritarsela. L’accento si pone quindi sul pentimento di queste persone, e dal loro racconto si evincono tutta una serie di informazioni che possono effettivamente aiutare a capire fino a che punto questo pentimento sia sincero.
È anche vero che nel corso della serie emergono considerazioni che minano le dimostrazioni di rimorso da parte dei detenuti: si tratta di dichiarazioni discordanti che riequilibrano il piatto della bilancia e gettano una luce diversa sulla persona al centro della puntata, redarguendo lo spettatore dal fidarsi completamente. Inoltre, ogni puntata dà modo all’assassino di raccontare in prima persona quello che ha fatto, e anche questo contribuisce a delineare un’immagine ben precisa della persona e di come questa si percepisce.
Antropologia sociale o morbosità mediatica?
Se andiamo oltre i racconti dei delitti cosa resta di questa quinta stagione di I Am A Killer? Una serie di piccole quanto importanti denunce sociali. In primis, molti degli episodi vedono al centro detenuti che sono diventati tali in giovane età, spinti in parte dal contesto sociale nel quale sono cresciuti: Higinio Gonzalez spacciava droga da ragazzino, Makueeyapee Whitford ha imparato molto presto che nel mondo c’è violenza, e tanta; pressoché ogni detenuto immortalato in questa stagione ha alle spalle turbolenze sociali alle quali si è dovuto adattare.
È quindi importante che queste storie abbiano un posto, che le persone le conoscano e ne traggano le dovute conclusioni, perché molto spesso quelli che noi definiamo mostri non sono altro che prodotti di scarto della nostra società che nessuno vuole prendersi la briga di aiutare. D’altro canto, comunque, permane sempre quel sottile velo di dubbio nei confronti di I Am A Killer: alcuni detenuti sembrano effettivamente cambiati in meglio, altri un po’ meno. Ma qual è l’obiettivo ultimo di questa serie, lo spettatore potrebbe non saperlo fino in fondo. È una vetrina di consapevolezza o l’ennesimo reportage dall’aura vagamente morbosa che ci rende immuni dalla drammaticità dei fatti narrati?
Le nostre conclusioni su I Am A Killer Stagione 5
Questa quinta stagione di I Am A Killer si caratterizza per un minor numero di episodi che si concentrano maggiormente su storie che fanno riflettere molto lo spettatore. La regia non si discosta dal format della serie, mentre per quanto riguarda le storie raccontate si pone molto l’accento su assassini che sono diventati tali a causa del contesto socio-culturale nel quale sono cresciuti. Molta importanza viene inoltre data alle patologie mentali, ma tutto questo non mette in ombra il dolore dei familiari delle vittime.
Sicuramente le affermazioni dei singoli detenuti scatenano attimi di profonda riflessione, e la scelta della produzione di creare dei momenti di confronto – per quanto possibile – la stimola maggiormente, ma è anche vero che, al di sopra di tutto, la serie mantiene la sua oggettività, lasciando che siano gli spettatori a formulare opinioni sui singoli episodi. Vedrete questa quinta stagione di I Am A Killer? Se lo farete, non dimenticate di lasciarci un pensiero qui su Kaleidoverse, dove parliamo anche di cinema, animazione e videogiochi. Tra i nostri ultimi articoli vi segnaliamo la nostra serie di recensioni sull’anime Blue Box, la recensione dello speciale Ali Wong – Single Lady e la recensione della serie TV Citadel Diana. Ci leggiamo alla prossima!