Alcune storie non sono semplici storie, diventano megaliti della letteratura, del cinema, dell’arte ed entrano di diritto nel pantheon delle opere ricordate. Una di queste è sicuramente Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez, un romanzo pubblicato nel 1967 che ha rivoluzionato il fare romanzi di quegli anni, modificando per sempre il corso dello sviluppo della narratività moderna. Netflix ha deciso di adattare questa opera immensamente ricca di significati in una serie TV che uscirà divisa in due parti. La parte 1 è disponibile sulla piattaforma rossonera dal giorno 11 dicembre, mentre la seconda parte completerà la serie nel 2025. Kaleidoverse ne parla in questa recensione che manterrà al minimo gli spoiler per chi magari non ha letto il romanzo e non ha idea di che cosa si tratti.
Alla regia di Cent’anni di solitudine troviamo Alex Garcia Lopez (The Witcher) e Laura Mora Ortega (Matar a Jesús), mentre alla sceneggiatura Santiago Espinosa-Aristizabal (Gemini Man). La serie, che si articola in 8 episodi, vede nel cast Gino Montesinos (Drake e Josh vanno a Hollywood), Ruggero Pasquarelli (Soy Luna), Eduardo De Los Reyes (Beyblade X), Claudio Cataño (A mano limpia), Jerónimo Barón (Tarumama), Marco González (La hora fría), Leonardo Soto (CHV noticias), Susana Morales (Il labirinto del fauno), Ella Becerra (El paseo de Teresa), Santiago Vasquez (Kick me), Moreno Borja (Carmen y Lola) e Carlos Suárez (Hollyblood).
Cent’anni di solitudine Recensione Parte 1: la trama
Cent’anni di solitudine segue le vicende della famiglia Buendía, a partire dai cugini José Arcadio Buendía e Úrsula Iguarán, che si sposano nonostante le superstizioni legate alla consanguineità. Dopo un tragico duello, José Arcadio è tormentato dal fantasma dell’uomo che ha ucciso, spingendo la coppia a lasciare il loro villaggio natale per fondare un nuovo insediamento, Macondo, insieme ad altri giovani del villaggio. La narrazione esplora l’evoluzione della famiglia Buendía e del villaggio, intrecciando elementi di realismo magico con l’amore, la solitudine e il destino.
In questa prima metà conosciamo non solo i Buendía, centro pulsante della storia, ma anche altri personaggi bizzarri e magnetici, ciascuno con la propria storia di vita vissuta che mescola la realtà alla magia, alla superstizione e in qualche caso anche alla politica e all’impegno sociale. La rete di personaggi unici e verosimili che si estende progressivamente intorno ai Buendía contribuisce ad aumentare il senso di perdita del reale e a distaccare i fatti dal mondo esterno, creando per Macondo una sorta di capsula del tempo che si affaccia a ciò che sta fuori con distaccato interesse.
Magicamente ripresi
Per quanto riguarda la regia di Cent’anni di solitudine abbiamo una narrazione interna, con un narratore che segue i personaggi principali, e una cinepresa che ama giocare e aumentare il senso di distacco dalla realtà con riprese degne di Sam Raimi. Anche la fotografia fa la sua parte, con colori molto accesi e vivaci che ricordano le opere di Botero e Frida Kahlo. Per quanto riguarda la sceneggiatura non giudicheremo la qualità dell’adattamento ma il modo in cui la storia prende forma è originale e aiuta lo spettatore a non calare mai la soglia dell’attenzione.
Alla narrazione puramente visiva della storia si alterna una vera e propria voce narrante che completa il tutto dando una comprensione aggiuntiva alla storia. Per quanto riguarda il cast è pieno di attori di talento che mettono in scena la vicenda dei Buendía con impegno e serietà e anche in questo caso abbiamo quasi l’impressione di stare assistendo ad una sorta di specchio della vita reale o comunque ad un’opera teatrale. Basta che un personaggio compaia a schermo per diventare iconico e occupare tutto lo spazio disponibile senza però penalizzare gli altri.
Una saga familiare…
Cent’anni di solitudine è, da un certo punto di vista, una saga familiare perché il focus principale della narrazione è la famiglia Buendía e tutte le vicissitudini che la percorrono. In particolare questa prima parte di Cent’anni di solitudine verte sul’inizio della stirpe, approfondendo i due capostipiti – José Arcadio e Úrsula – ma poi diramandosi come una venatura nei discendenti e approfondendo le loro storie con minuzia e attenzione, lasciando intendere in maniera piuttosto chiara che tutti i personaggi presentati, tutti i membri della famiglia Buendía, anche quelli secondari coinvolti, sono importanti e hanno le loro storie da raccontare.
Sono in particolare Aureliano e Rebeca a suscitare interesse nello spettatore, perché connessi al lato magico della storia, ma anche Amaranta e il primogenito – omonimo di José Arcadio. Una cosa che, in ogni caso, li accomuna quasi tutti è l’attaccamento alle passioni, da cui vengono travolti e che li trasformano in eroi drammatici e a tratti patetici, esaltandone ulteriormente la complessità.
… sullo sfondo del tempo
La narrazione segue José Arcadio e Úrsula nella loro ricerca di un posto libero in cui poter essere ciò che vogliono e questo si concretizza poi nella fondazione di Macondo, il villaggio dove si svolgono la maggior parte degli eventi narranti. E, se all’inizio Macondo sembra un posto fuori dal tempo, una sorta di Eden nascosto nella giungla colombiana, ben presto la realtà, la vita reale e il mondo esterno fanno breccia nella vita del villaggio.
All’inizio sono i gitani a farsi fautori del progresso sotto forma di magia, meraviglia e stupore, con Melquíades a fare da unico rappresentante della categoria. Ad un certo punto, però, ecco farsi strada per le vie sterrate del villaggio la politica con l’arrivo del Corregidor, un evento che cambia definitivamente il corso della storia scatenando una serie di scelte e avvenimenti che stravolgeranno Macondo e che aprono in maniera naturale alla seconda parte in arrivo.
Magia e realtà
Una parte importante e secondo noi caratteristica di Cent’anni di solitudine è rappresentato dal realismo magico di García Márquez, che segna in maniera indelebile sia il libro in forma cartacea che la serie TV, in cui vediamo elementi fantastici e magici fondersi all’interno di una narrazione verosimile. Un esempio è la chiaroveggenza di Aureliano Buendía o la cartomanzia di Pilar, per non parlare degli affaccendamenti tra José Arcadio e Melquíades.
Macondo, che già è un luogo fuori dal tempo, si arricchisce così di un ulteriore livello pieno di magia ed esoterismo ma anche di frizzantezza e bizzarria. Il magico e l’esoterico, inoltre, essendo così inseriti nel reale rafforzano i temi più seri della serie proprio perché i personaggi considerano con serietà anche i fatti più insoliti, come l’episodio della peste dell’insonnia. Il confine naturale dettato dal patto funzionale così si annulla, lasciando spazio al mondo delle superstizioni e dandogli credito.
Le nostre conclusioni su Cent’anni di solitudine parte 1
La meraviglia con cui abbiamo guardato questa prima parte di Cent’anni di solitudine è ben giustificata da una regia visionaria, una scrittura fresca e un cast che ha accettato la sfida senza paura. Il risultato è un opera magnetica e al limite dell’assurdo e non vediamo l’ora di scoprire cosa la famiglia Buendía ha ancora in serbo per gli spettatori, anche e soprattutto vista l’iconica chiusura dell’episodio 8.
Avete visto la parte 1 di Cent’anni di solitudine? Cosa ne pensate? Siete fan del romanzo? Lasciateci un commento qui su Kaleidoverse raccontando le vostre impressioni in merito. Vi ricordiamo che il nostro portale parla di cinema, serie TV, animazione e videogiochi. Se siete interessati, i nostri ultimi articoli sono 3 recensioni: Jamie Foxx – What had happened was, Il treno dei bambini e No Good Deed. Ci leggiamo alla prossima!
La prima parte della serie TV Cent’anni di solitudine adatta la prima parte del romanzo omonimo di Gabriel García Márquez, trasponendo su schermo perfettamente l’atmosfera cartacea intrisa di magia e avventura che denota la fondazione e l’esistenza stessa di Macondo, il villaggio immaginario dove si svolgono i fatti narrati. La regia – di stampo quasi raimiano – si fonde con la fotografia satura dei meravigliosi colori della Colombia, mentre il cast mette in atto una storia corale e profondamente umana che sa di teatro e realtà, e fa desiderare allo spettatore di conoscere già il seguito della storia della famiglia Buendía.