Ha fatto il suo debutto su Netflix una serie TV il cui nome potrebbe rievocare un film del 2012. Lo stesso è poi tratto dal libro omonimo di Carlo Bonini uscito nel 2009. Un titolo chiaro, forte e senza mezzi termini che può far storcere il naso ai più. Stiamo parlando di ACAB – di cui state per leggere la nostra recensione -, acronimo di All cops are bastards. Il perché di questo acronimo, e titolo, lo scoprirete proseguendo con la lettura.
Il cast vanta nomi come Marco Giallini (anche qui Mazinga come nel film del 2012), Pierluigi Gigante nei panni di Salvatore e Valentina Bellè, Marta Sarri. Al comando della squadra antisommossa, o celerini come vengono chiamati dagli altri, troviamo Michele Nobili (Adriano Giannini) a sostituire il capo finito in sedia a rotelle. L’argomento trattato è difficile, spigoloso e insidioso perché basta un nonnulla per far vertere il pensiero su chi ha torto o ragione. Che punto di vista ne è uscito fuori? Scopriamolo!
La trama di ACAB
La squadra antisommossa di Roma viene chiamata per placare gli animi di una rivolta No TAV in Val di Susa. Lo scontro tra polizia e manifestanti degenera in una vera e propria rissa in cui ognuno cerca di portare a casa la pelle. Ed è proprio da qui che parte la trama, il punto 0 da cui tutto ha inizio per analizzare i vari personaggi. Il conflitto porterà inevitabilmente dei feriti in entrambe le parti, chi più e chi meno.
A pagarne le spese tra i celerini è il capitano, sostituito poi da Michele, mentre tra i manifestanti un ragazzo finisce in coma. Marta, Mazinga e Salvatore faranno in modo di coprirsi a vicenda sull’accaduto anche se il colpevole è solo uno. Mazinga, veterano del mestiere, non vuole piegarsi al nuovo modo di gestire la squadra di Michele, molto più mite del predecessore. Quanto possono influire le vicende personali in un lavoro così troppo a contatto con civili?
Diversi tipi di odio in ACAB
Nella serie ACAB viene presentato, in maniera leggera e delicata, come l’uomo sia capace di odiare il prossimo. Le motivazioni possono essere innumerevoli: la fede calcistica, l’assegnazione di una casa popolare ad una donna straniera o semplicemente perché sei un poliziotto. Questo prodotto il quale rimane, in tutte e 6 le puntate, totalmente neutrale nel mostrarci le vicende, ci mette davanti a varie riflessioni possibili. Fin dove può spingersi l’uomo per difendere i propri ideali?
Sempre rimanendo imparziale, lo sceneggiato riesce a coinvolgere lo spettatore mettendolo nei panni di entrambe le fazioni di volta in volta. Questo solo nel caso in cui riusciate a rimanere super partes e quindi privi di pregiudizi a prescindere, ovvio. Una visione adrenalinica, piena di azione e violenza, spesso gratuita, ma non lontana effettivamente da quello che accade realmente durante gli scontri nei casi peggiori. Non possiamo di certo ignorare ciò che accadde al G8 di Genova del 2001.
L’influenza delle questioni personali
Prima di essere poliziotti sono senza dubbio degli umani, con tutte le caratteristiche che li contraddistinguono. In un lavoro del genere bisogna essere davvero bravi per poter mantenere la sfera lavorativa e quella familiare divise. Spesso però non è così facile ed è probabile farsi sopraffare dalle circostanze familiari sul lavoro e viceversa. Nella serie TV è estremizzata la reazione dei personaggi a questi disagi ma fino a che punto? Possiamo davvero scusare ciò che abbiamo visto solo perché finto?
Ed ecco che arriviamo a parlare dell’acronimo e alla sua spiegazione. Quando il confine familiare supera quello lavorativo si può incappare nell’errore di sfogarsi in maniera più o meno controllata. Finchè ci si regola nessun problema e se non lo si fa? Ecco che qui rischi di diventare una belva feroce, capace di commettere violenze inaudite le quali spesso rimangono impunite. Sommando questi eventi, successi in anni e anni, si crea inevitabilmente una visione della polizia crudele e cattiva, per dirla in maniera pulita.
L’unione fa la forza
Il lavoro dell’agente antisommossa è un mestiere di squadra in cui devi collaborare per portare a casa l’obiettivo. In ACAB si può vedere l’evoluzione di questo processo diviso in più fasi. Se all’inizio abbiamo un team unito, coeso e forte, l’arrivo di Michele divide in prima battuta il modo di vivere il lavoro. Successivamente però sarà qualcosa che succede, indirettamente, a Nobili a riunire di nuovo l’intera compagnia. Noi di Kaleidoverse, nella recensione di ACAB, vogliamo sottolineare anche questo aspetto importante del lavoro di squadra.
Ciò che ne viene fuori è l’umanità delle persone le quali compongono un gruppo. Senza dubbio non è corretto creare una frattura solo per una diversa visione del gruppo. L’importante è però riuscire poi a trovare un modo per far funzionare le cose concedendo o pretendendo il giusto. Anche la storia di Marta e del suo ex Stefano ci aiuta a capire questo meccanismo nonostante poi non vada esattamente come uno ci si aspetta.
Il passato segna il nostro presente
Michele e Salvatore hanno un passato il quale non molla la presa sul presente. Le loro azioni sono, per loro sfortuna, ancora legate a qualcosa successo anni e anni prima. Le ripercussioni, le quali speravano di non dover pagare, sono invece ancora lì a batter cassa perché le conseguenze si devono pagare, sempre.
Nonostante il cambio di squadra, Michele si ritrova, ancora una volta, a dover scegliere se fare la spia o tacere, diviso tra etica e quieto vivere. Salvatore invece ci porta, a spizzichi e bocconi, nel suo passato da militare in cui compì un gesto di cui non è per niente fiero. Una donna conosciuta online, una catfisher, verrà scoperta dopo che lui le chiese di vedersi dopo mesi passati a messaggiare e chiamarsi. Come perseguiterà il passato il nostro Salvatore? Non ve lo sveleremo di certo in questa recensione di ACAB.
Le nostre conclusioni su ACAB
La nostra recensione ha messo in luce uno spaccato della società presentato in ACAB con tutte le sfaccettature del caso. Ogni personaggio porta il proprio contributo, con la propria storia personale, all’interno di un ruolo lavorativo già difficile di per sé. Il prodotto non sbilancia il giudizio verso i celerini o i manifestanti ma mantiene una linearità equa. L’interpretazione degli attori fa il suo lavoro egregiamente rendendo ACAB piacevole da vedere.
Ora tocca a voi dirci la vostra sulla serie TV ACAB nei commenti sotto la recensione. Sul sito di Kaleidoverse troverete sempre nuove recensioni e approfondimenti per saziare la vostra sete di curiosità. Se state seguendo Blue Box non potete perdervi le nostre recensioni, episodio per episodio. Oppure se volete saperne di più su Carry-on o anche sulla seconda stagione di Squid game, potete leggerne le nostre recensioni. Noi vi ringraziamo per averci letto e vi aspettiamo alla prossima recensione!
Ha fatto il suo debutto su Netflix la serie TV, ispirata al libro omonimo di Carlo Bonini, ACAB. L'opera interessata aveva già visto la luce sul grande schermo con il titolo omonimo uscito nel 2012. Dopo un violento scontro tra gli agenti antisommossa di Roma e i manifestanti No TAV in Val di Susa, la squadra si ritrova senza il capo finito in sedia a rotelle. Il suo posto viene preso dall'ispettore Michele Nobili, trasferitosi a Roma dopo vari problemi sul vecchio luogo di lavoro. Qui cerca di portare, all'interno di un team unito e solido, la sua visione in merito al come tenere a bada i manifestanti. Dall'altra parte però si scontra con Mazinga (già presente nel film citato prima), Marta e Salvatore che formano il trio dei veterani del gruppo. Le vicende personali trovano spazio tra le file della brigata la quale, senza nascondere il dissenso verso Nobili, cerca di boicottarlo. Uno spiraglio di luce, per Michele, sembra farsi largo quando viene colpito indirettamente da una questione familiare. Da quel punto cambierà completamente il modo di porsi della comitiva nei suoi confronti tornando ad essere la squadra che era all'inizio. Una serie TV come ACAB è capace di aprirti la mente, metterti il dubbio e farti riflettere profondamente su aspetti del genere umano come mai fino ad ora. La totale imparzialità con cui vengono presentate le fazioni, polizia e manifestanti di qualunque natura, fa intendere la volontà di non voler imporre o etichettare chi è buono e chi è cattivo. La presenza di attori come Marco Giallini, Pierluigi Gigante, Adriano Giannini o Valentina Bellè completano un quadro in cui era difficile apparire eppure lo fanno in maniera impeccabile.
- 7.5