Parthenope non è una nuova uscita cinematografica, avendo raggiunto la sua notorietà gradualmente nel corso del 2024: presentato in anteprima al Festival di Cannes, è arrivato nelle sale italiane lo scorso ottobre. E dal 6 febbraio è disponibile per la visione su Netflix, dove a fargli compagnia troviamo anche altri film del regista, Paolo Sorrentino, come È stata la mano di Dio (2021), Le conseguenze dell’amore (2004) o Il divo (2008). Parthenope ha spaccato in 2 la critica, come accade spesso ai film firmati da nomi celebri: Kaleidoverse, in questa recensione, si limiterà a dare una quanto più obiettiva opinione di questa pellicola, forte – in questo caso – del fatto che chi scrive non conosce la filmografia del regista. Ma prima, presentiamo qualche nome.
Come già detto, Parthenope è un film di Paolo Sorrentino, che ne ha curato soggetto, sceneggiatura e regia. Nel cast, invece, troviamo Celeste Dalla Porta (Red mirror), Stefania Sandrelli (Divorzio all’italiana), Daniele Rienzo (Morrison), Dario Aita (La legge di Lidia Poët), Luisa Ranieri (Le indagini di Lolita Lobosco), Silvio Orlando (The Young Pope), Gary Oldman (Dracula di Bram Stoker), Isabella Ferrari (Caos calmo), Peppe Lanzetta (Take five), Marlon Joubert (Briganti), Alfonso Santagata (Astolfo), Lorenzo Gleijeses (Iago) e Silvia Degrandi (Animale / Umano). Ma di cosa parla, in sostanza, Parthenope?
Parthenope: la trama
Parthenope segue la vita dell’omonima protagonista (Celeste Dalla Porta), nata nel 1950 di fronte al golfo di Napoli. Figlia minore di una coppia benestante, che conosce il comandante Achille Lauro (Alfonso Santagata), la giovane Parthenope cresce e diventa una giovane bellissima che studia antropologia. Nel corso di un’estate trascorsa in compagnia del fratello Raimondo (Daniele Rienzo) e di Sandrino (Dario Aita), innamorato di lei da anni, i 3 decidono di andare a Capri e lì, dopo un incontro con lo scrittore John Cheever (Gary Oldman), che Parthenope adora, le vite dei 3 giovani cambiano per sempre.
Il film però non si interrompe lì, ma ritorna a Napoli, dove seguiamo Parthenope mentre cerca sé stessa inseguendo la carriera di attrice, sospinta dalla stella tramontata Flora Malva (Isabella Ferrari), per poi tornare sui libri e trovare lì la sua vocazione, diventando assistente del professor Marotta (Silvio Orlando). L’antropologia e lo studio dei miracoli la portano poi a fare la conoscenza del cardinale Tesorone (Peppe Lanzetta), per poi lasciare Napoli su consiglio di Marotta, che per lei vede un brillante futuro da antropologa.
Parthenope è una giovane donna bellissima che trova nell’antropologia la sua vocazione.
Una visione mozzata e mozzafiato
Dal punto di vista registico e visivo Parthenope è un film quasi perfetto: mi riferisco soprattutto alla fotografia e alla resa generale delle riprese che danno quell’impressione allo spettatore di star osservando un quadro in movimento. Ecco: la prima impressione, il primo impatto che si ha con questo film è esattamente lo stesso che che si ha quando si va in un museo o in una galleria d’arte e ci si imbatte in un quadro che ci fulmina sul posto. La resa è quasi analogica: guardare Parthenope è come aprire un vecchio album di fotografie e ritrovarsi a guardare quelle fotografie molto saturate scattate negli anni ’70.
La regia è quasi perfetta: in qualche momento l’ho trovata un po’ frettolosa, come per esempio nel corso della festa a cui Parthenope partecipa con il cardinale Tesorone. Il cast vede come protagonista un’attrice che si è destreggiata molto bene nel ruolo di protagonista, giocando molto con la presenza scenica, che padroneggia molto bene. È affiancata da un cast di attori famosi nel panorama italiano e inoltre è presente una guest star, Gary Oldman, di cui ascoltiamo la performance in lingua originale con i sottotitoli e credo che questa scelta sia stata molto azzeccata perché contribuisce a dare realismo all’opera. Una pecca, a mio avviso, è però il modo in cui la pellicola si conclude, quasi in maniera improvvisata e slegata da tutto quello che Sorrentino presenta al pubblico.
Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia!
Possiamo individuare in Parthenope una serie di temi che ho trovato molto interessanti: il primo è la bellezza intesa come mito e come maledizione. Chi ha criticato il film lo ha definito una compiacenza della bellezza femminile, sessualizzante e oggettificante, ma non mi ritrovo molto d’accordo perché seppur in maniera molto minore viene dato risalto anche alla bellezza maschile. Penso in realtà che il fulcro della bellezza in questo caso si riferisca alla bellezza giovanile, alla bellezza della giovinezza in quanto tale.
Sorrentino attraverso la macchina da presa sa rendere quel misto di meraviglia, invidia e nostalgia che provano gli adulti nel guardare i giovani, con le loro figure dinoccolate e spavalde, nel loro modo di stare al mondo per la prima volta. Alla giovinezza e alla bellezza si collega in maniera piuttosto naturale anche l’amore, che percorre il film in tutte le sue forme ma che non è un amore a lieto fine: come sentimento, a volte è addirittura scomodo. Parthenope non sa che farne dell’amore e alla fine dirà – suppergiù – “Per tutto il tempo stavo pensando al fatto che l’amore per sopravvivere è un fallimento“, ovvero al fatto che per sopravvivere non possiamo fare affidamento sull’amare qualcuno perché l’esito sarà disastroso.
Amami o uccidimi
L’idea che Parthenope ha dell’amore si collega al fratello, alla sua morte e alla reazione dei suoi genitori, sfociando nel connubio amore e morte. Abbiamo anche un approfondimento che riguarda l’antropologia come mezzo per vedere le cose e andare oltre le apparenze. Questo desiderio è dettato dal fatto che Parthenope è una donna bellissima, tutti la vedono e la desiderano, ma la considerano soltanto in quanto donna bella e lei ad un certo punto si fa un po’ ammaliare da questa idea di sé stessa, scoprendo un mondo molto superficiale e a tratti scadente, ma non solo: a partire dal nome Parthenope incarna Napoli con il suo essere bellissima, misteriosa, sfuggente ma dagli occhi tristi che non si capisce cosa contengano: delusione, vuoto, pochezza, grottesco?
Un ultimo punto merita il fatto che Sorrentino nel raccontarci la storia di questa donna dissemina il film di momenti storicamente accurati che secondo me servono a centrare la narrazione, ovvero a far capire allo spettatore in che epoca si trova: per esempio la disinfestazione del colera che blocca il funerale del fratello, con il carro funebre trainato da cavalli da un lato e il camion che spruzza disinfettante dall’altro, ma non solo: abbiamo le rivolte studentesche che fanno da sfondo a una Parthenope neolaureata e combattuta da una rivelazione inattesa.
Parthenope incarna la bellezza di Napoli, con tutti i suoi pro e i suoi contro.
Figli erranti
C’è poi il tema della maternità e quello dell’essere figlio: Parthenope si estranea come figlia dal momento in cui suo fratello muore e i suoi genitori la incolpano del fatto e credo che questo rifiuto nei confronti dell’essere figlia si estenda poi sul suo futuro – lei non diventerà madre, lei non si sposerà mai. L’ultimo punto degno di nota in merito a questo tema è il figlio del professor Marotta, malato, dall’aspetto abnorme e volutamente grottesco a cui però l’uomo vuole molto bene.
Quest’ultima parte, che sembra quasi taciuta, è in realtà l’accettazione dei propri errori e delle proprie mancanze genitoriali, una sorta di ammonimento per quei genitori che, assenti durante la crescita dei propri figli, li riscoprono solo quando sono ormai adulti e spesso non riescono perché li riscoprono esseri completamente diversi da quelli dei loro ricordi. E c’è chi accetta di ricostruire un legame con questa persona essenzialmente nuova, ma c’è anche chi non ci riesce, definendo l’assenza in qualcosa di permanente.
Le nostre conclusioni su Parthenope
Sorrentino racconta una storia e poi nel corso della narrazione ci infila dentro un mondo, senza però che la trama perda senso o significato. Continuo a nutrire qualche perplessità nei confronti del finale, in cui una Parthenope ormai in pensione ritorna a Napoli, ma senza un vero e proprio punto che denoti la fine della storia, bensì con un finale aperto che però sembra fin troppo improvvisato e distaccato da quello che lo spettatore ha visto nel corso delle 2 ore di film.
Avete visto Parthenope, o ne approfitterete adesso che è disponibile a un pubblico molto più vasto? Ditecelo in un commento qui su Kaleidoverse o sulla nostra pagina Instagram, che potete seguire per restare sempre aggiornati sulle ultime novità in campo cinematografico, seriale, videoludico o d’animazione. Come sempre, vi lascio i riferimenti ad alcuni dei nostri ultimi articoli: la recensione dell’episodio 4 di Paradise, quella della seconda stagione di The Night Agent e quella dell’ultimo capitolo di One Piece. Alla prossima!
Pro di Parthenope:
Fotografia mozzafiato che esalta scenografie e personaggi, catapultando lo spettatore negli anni ’70;
cast dalla forte presenza scenica, che riesce a dare vita a maschere tanto profonde quanto grottesche;
narrazione che equilibra molto bene la leggerezza con temi seri e importanti che spaziano tra gli argomenti più disparati.
Contro di Parthenope:
Il montaggio a volte scivola in cesure poco sensate che sembrano fuggire dalla macchina da presa;
la protagonista possiede lo schermo e ammalia come una sirena, ma sembra avere ben poca voce in alcune interazioni con altri personaggi;
la conclusione è slegata dalla storia: affermazione definitiva della casualità della vita o ripiego per mancanza d’idee?