Il 29 maggio ha fatto il suo esordio su Netflix la serie TV Dept Q – Sezione casi irrisolti di cui state per leggere la nostra recensione. Questo prodotto, creato da Scott Frank (La regina degli scacchi) e Chandni Lakhani, si ispira ai libri scritti da Jussi Adler-Olsen, uno scrittore danese. Il genere è thriller poliziesco ed è ambientata nell’affascinante Edimburgo. Conta ben 9 puntate di circa 50/60 minuti ciascuna.
Il cast ha volti nuovi e volti già noti al pubblico come ad esempio Kate Dickie (Moira Jacobson in questa serie), attrice che interpretò Lisa Tully ne Il trono di spade. Un po’ meno facile da riconoscere è invece Claire Marsh la cui interprete era la mediocre, malinconica, musona Mirtilla Malcontenta in Harry Potter. Proseguendo con la recensione di Dept Q vedremo insieme chi sono gli altri protagonisti di questa vicenda, solo all’apparenza senza un senso prima della fine del pilot.
La trama di Dept Q
Il detective Carl Morck (Matthew Goode), dopo essere stato quasi ucciso sulla scena di un delitto durante un sopralluogo, rimane segnato dall’esperienza. Il suo compagno, James Hardy (Jamie Sives) ha però la peggio rimanendo paralizzato dalle gambe in giù. I due, in maniera totalmente diversa, cercano di dimenticare l’accaduto ma il trauma li ha marchiati a vita. Il comandante Moira vuole dar fiducia all’ex detective Morck dandogli in gestione un nuovo reparto. Viene creato il Dipartimento Q il cui ruolo sarà risolvere casi che hanno mai trovato una soluzione.
A Carl viene affiancato dapprima Akram Salim (Alexej Manvelov), poliziotto siriano fuggito in Europa, e successivamente Rose (Leah Byrne) pronta a dimostrare il suo valore. I tre si troveranno quindi a indagare, basandosi su una sensazione positiva di Akram, sulla scomparsa di Marritt Lingard (Chloe Pirrie) avvenuta 4 anni prima. La squadra seguirà tracce mai prese in considerazione, nuovi indagati fino ad arrivare a un punto che sembrerebbe la fine delle indagini. Il primo caso sarà davvero un fallimento per il Dipartimento Q? Cosa spingerà il team a non mollare?
Un gruppo omogeneo di strampalati
Ognuno dei componenti del Dipartimento Q ha un background che viene presentato solo in parte. L’unico di cui davvero si sa qualcosa di più è Carl ma per Rose e Salim viene, purtroppo, detto poco. Della prima sappiamo che ha vissuto un crollo emotivo il quale l’ha resa dipendente, nel senso buono, dai farmaci. Di Akram scopriamo che il suo ruolo era far parlare le persone, con le buone o con le cattive.
Un approfondimento del passato dei personaggi ce lo potremmo aspettare nel caso venga rinnovata la seria per una seconda stagione. I presupposti ci sono dato che, oltre al caso Marritt, Carl stava indagando sul chi ha attentato alla sua vita. La formazione del Dipartimento Q trova il suo equilibrio proprio nella scarsa conoscenza che hanno l’uno dell’altro, ognuno fa ciò in cui è più bravo. Chi ci mette la testa, chi la cocciutaggine e chi la forza e tutto funziona.
L’egoismo di un comandante
Ciò che traspare, senza tentare di nasconderlo, è l’egoismo mostrato da Moira quando le si presenta l’occasione di ricevere soldi dallo Stato. La creazione del Dipartimento Q è infatti frutto di una trattativa tra lei e i suoi superiori i quali le hanno dato un budget, quasi, illimitato per metterlo in piedi. Ha così dimostrato di voler avere un gruppo di élite, da una parte, ma dall’altra anche la sua avarizia.
A supportare questa visione viene in soccorso anche il cambio dell’attrezzatura di tutto l’ufficio, in aggiunta a quella del nuovo reparto. Una scelta che Morck fiuta da lontano ma a cui non presta molta importanza. A lui interessa solo risolvere i casi, come sia il suo ufficio ha poco valore nella sua mente. Questo atteggiamento ci tornerà utile anche più avanti nella recensione di Dept Q, come leggerete a breve.
Morck quasi come Sherlock
Per chi ha letto i libri o visto la serie su Sherlock Holmes noterà una certa somiglianza nella razionalità mostrata da Carl. Il detective ha infatti il vizietto di mostrare spavalderia, arroganza e poca empatia verso gli altri. Il suo pallino è risolvere il caso con qualunque mezzo possa avere a disposizione, senza indugi o perplessità. A livello di ragionamento Sherlock rimane comunque due spanne sopra, anche Morck sa il fatto suo però.
Al suo fianco ha Salim il quale potrebbe tranquillamente essere il fedele Watson, un ruolo ricoperto alla perfezione. Non capiamo bene dove poter inserire Rose, nel caso in cui Adler-Olsen abbia preso ispirazione dai libri di Doyle per la creazione dei suoi personaggi. Potrebbe essere il supporto femminile di cui un uomo ha bisogno, se escludiamo quello della psicologa Rachel (Kelly Macdonald). Una componente la quale si dimostrerà decisiva in varie situazioni.
Il lato umano dei protagonisti
Essendo Dept Q, di cui state leggendo la recensione, una serie thriller poliziesca non ci sono robot al suo interno. Ognuno dei protagonisti ha infatti un lato umano, anche Morck quando avrà un dialogo parecchio toccante con suo figlio o il collega James. Rose è senza dubbio quella con l’empatia più presente e fa a gara con Claire, badante del fratello neurodivergente di Marritt. Un’umanità all’interno della serie contrapposta alla disumanità di alcuni personaggi.
Non possiamo dirvi molto sulla disumanità perché è alla base del caso in cui il Dipartimento Q è impegnato. Sappiate soltanto che la follia dell’uomo si può spingere oltre ogni confine, con torture di cui nemmeno concepireste l’idea. Una medaglia, due facce com’è sempre stato e sempre sarà. Per ogni persona giusta ce n’è sempre una totalmente opposta. Se poi ad alimentare la follia ci si mette l’amore della propria mamma, chissà cosa ne può venire fuori.
Le nostre conclusioni su Dept Q
Il prodotto ha un potenziale enorme, ha una trama interessante ma ha un difetto enorme: il tempo. Una serie strutturata così, a nostro parere, si sarebbe potuta fare lunga 5 o al massimo 6 episodi. Alcuni passaggi sono eccessivamente prolissi, rallentanti nel ritmo a cui non riusciamo a dare una spiegazione. Le vicende sanno prenderti e solo per quello non abbandoni la visione, purtroppo però siano tirate troppo per le lunghe.
Le fantastiche ambientazione di Edimburgo e della Scozia hanno sempre il loro fascino aiutando a far andare giù il boccone amaro del dilungamento. I punti di forza della trama e dei colpi di scena rimangono comunque una piacevole sorpresa. Se volete saziare la fame di recensioni e approfondimenti ne trovate a bizzeffe sul nostro sito di Kaleidoverse. Vi siete persi la recensione de Il Baracchino? Nessun problema, andate a recuperarla! Vi consigliamo di seguire la nostra pagina Instagram per rimanere sempre aggiornati sulle pubblicazioni. Noi come sempre vi ringraziamo e alla prossima.
Pro
Una trama che prende il via solo dopo gli ultimi 5 minuti del pilot, fino a quel momento non si capiva dove volesse andare a parare;
Un cast azzeccato, capace di creare empatia (anche se non tutti) e che ti trasporta nel cammino fino alla, probabile, soluzione del caso;
Matthew Goode interpreta un ruolo difficile eppure è credibile, ha il giusto appeal e sa mettere in luce i punti forti del suo personaggio;
Le ambientazione in Scozia, inconfondibili e sempre immerse in un’atmosfera uggiosa proprio come il tono della serie.
Contro
Il dilungamento della trama è un punto dolente seppur sia stata sviluppata con grande sapienza;
La mancata visione del background di personaggi come Akram o Rose sono un dispiacere perché si poteva usare meglio il minutaggio per approfondirli;
L’aver solo accennato alla corruzione degli avvocati per evitare ripercussioni sulla famiglia poteva essere un altro appiglio per giustificare la lunghezza del prodotto.