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Home»Film/Serie TV»A Real Pain Recensione: né meta, né destinazione
Film/Serie TV

A Real Pain Recensione: né meta, né destinazione

Francesca RubinoBy Francesca Rubino8 Giugno 2025Nessun commento8 Mins Read
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A Real Pain Recensione
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Il variegato bouquet che ogni anno finisce per caratterizzare i vincitori degli Academy Awards – altrimenti conosciuti come premi Oscar – lascia sempre qualche perplessità negli spettatori del cinema del sabato – categoria che include più o meno tutti i cinefili che non si arrogano particolari diritti di critica cinematografica. Grazie alle piattaforme di streaming, in ogni caso, anche il cinema d’autore come quello delle rassegne da tappeto rosso è fruibile, anche a quelli che non possono permettersi di andare al cinema. Ed è per questo motivo che Kaleidoverse oggi vi parla di A Real Pain, che ha consegnato alla gloria Kieran Culkin lo scorso marzo e che è disponibile su Disney Plus a partire dal 4 giugno.

A Real Pain si è portato a casa la statuetta per il migliore attore non protagonista, data a Kieran Culkin. La pellicola è stata diretta, scritta e ideata da Jesse Eisenberg (The Social Network), che ricopre anche il ruolo di uno dei 2 protagonisti. Nel cast abbiamo poi – ovviamente – Kieran Culkin (Succession), Will Sharpe (The White Lotus), Jennifer Grey (Dirty Dancing), Kurt Egyiawan (Skyfall), Liza Sadovy (Sweeney Todd) e Daniel Oreskes (Manhattan in cifre). Passiamo adesso alla trama.

A Real Pain ha garantito a Kieran Culkin l’Oscar come migliore attore non protagonista

A Real Pain: la trama

David e Benji sono cugini e non potrebbero essere più diversi: il primo è schivo, riservato, ansioso, ha un lavoro e una famiglia; il secondo è uno spirito libero dal carattere più schietto, diretto ed estroverso. I 2 si ritrovano in aeroporto per intraprendere un viaggio finanziato dalla compianta nonna Doris, morta di recente, desiderosa che i nipoti visitassero i luoghi che hanno segnato la sua giovinezza in Polonia, patria da cui la donna è fuggita durante la Seconda Guerra Mondiale in quanto ebrea.

Parte così un viaggio di gruppo, di cui conosciamo gli altri membri, condotto da James, una guida inglese che mostra ai nostri viaggiatori una Polonia nuova e inedita che si intreccia a fondo con la storia del popolo ebraico. Nel corso del viaggio i 2 cugini stringono legami con gli altri partecipanti e, cosa più importante, hanno modo di confrontarsi e di venire a patti con dei tasti dolenti dei rispettivi passati. David e Benji, infine, si separeranno dal gruppo per concludere il viaggio con un omaggio alla nonna andando proprio nel luogo dove abitava.

David e Benji partono per ritrovare le loro origini, ma il viaggio si trasformerà in qualcosa di più

La bellezza è nella semplicità

Dal punto di vista registico e stilistico A Real Pain è un road movie bello in quanto semplice: la regia non ricorre a particolari artifici stilistici, dando alla pellicola un taglio quasi documentaristico. Questa scelta evidenzia in larga parte i personaggi che si muovono sullo sfondo di una Polonia che però non resta inerte, ergendosi tramite James, la guida, a scenografia viva con una storia propria che va al di là dell’Olocausto pur essendovi intrinsecamente legata. La colonna sonora, che non è originale, rinforza molto la narrazione: quasi tutti i brani che si sentono durante il film infatti sono di Chopin, che era per l’appunto polacco.

Le note dolenti, purtroppo, arrivano quando si parla della sceneggiatura: nonostante l’ottimo cast, ridotto a pochi intimi, la storia racconta e comunica molto ma senza arrivare davvero a qualcosa: sembra quasi che Eisenberg si sia divertito, nella stesura del copione, nel lanciare messaggi al suo pubblico che però non è detto che vengano raccolti. Da questo punto di vista dunque A Real Pain è forse, per certi aspetti, un’occasione sprecata: è un peccato che un film che racconta un viaggio non abbia una destinazione – narrativa – ben definita: la sua conclusione somiglia infinitamente a una frase lasciata a metà, e forse vista l’impostazione della pellicola non è esattamente la scelta ideale.

A Real Pain è un viaggio senza destinazione che celebra la Polonia

Il vero dolore

Il tema principale di A Real Pain è – come suggerito dal titolo stesso – il dolore. Un dolore che si articola per vari livelli e che si conferma davvero molto reale, nonostante tutto. Partiamo dai 2 protagonisti, David e Benji: 2 cugini molto legati che si sono persi di vista per motivi che vengono approfonditi durante la visione e che hanno molto a che fare sia con la dipartita di nonna Doris che con Benji e il suo essere. Il personaggio di Kieran Culkin, infatti, ricopre forse l’archetipo del pazzo in questo film, veicolando messaggi forti che danno fastidio e che espongono il suo dolore in maniera chiara e trasparente, molte volte anche polemica.

Dall’altro lato abbiamo invece David, l’uomo impostato, rigido, metodico, immerso in una vita normale nonostante l’ansia e il disturbo ossessivo compulsivo. Una persona che, malgrado abbia una vita soddisfacente ha un rapporto di odio e amore con il cugino, che illumina le vite degli altri con la sua sola presenza per poi però rovinare tutto con le sue azioni profondamente autodistruttive e dirompenti. Si tratta in questo caso di 2 tipologie di dolore diverse che collidono tra loro senza risolversi, confermando l’affetto sull’incomunicabilità ma senza lasciare, in conclusione, uno spiraglio di speranza per nessuno dei 2.

Benji non ha paura di mostrare il suo dolore, entrando a più riprese in contrasto con David.

Il turismo del dolore

Se alziamo la lente notiamo che sopra al dolore dei 2 protagonisti è presente il dolore più generale che riveste il senso stesso del tour al quale i 2 partecipano. L’essenza stessa del viaggio è infatti ripercorrere una data fetta della Polonia in un dato periodo storico che tutti sappiamo essere pieno di dolore e distruzione. Questo viene fatto con superficialità e distacco, evidenziando un’indifferenza da parte dei personaggi che lo intraprendono. Un pellegrinaggio svuotato di qualsivoglia senso emotivo e spirituale, se non altro per la maggior parte dei personaggi.

Sembra che i partecipanti, infatti, debbano in  qualche modo giustificare la loro stessa esistenza ripercorrendo i passi dei loro antenati approdati nel paese delle opportunità, e nel farlo cercano di collegarsi alle radici profonde del dolore che è stato l’Olocausto, ma fallendo completamente su tutta la linea. Solo la visita al campo di concentramento riesce momentaneamente a rimettere le cose nella giusta prospettiva, e non a caso quella è l’unica parte dell’intera pellicola a non avere l’accompagnamento musicale, colpendo come uno schiaffo sia gli spettatori che i viaggiatori.

I partecipanti al viaggio sembrano indifferenti al dolore dell’Olocausto

Alla ricerca di un’empatia perduta

C’è poi l’ultimo aspetto del dolore che abbiamo notato, nel guardare A Real Pain: quello strettamente legato al personaggio di Benji. Il mondo reale si divide infatti in 2 categorie ben definite di persone: quelle che riescono ad elaborare il proprio dolore, o che lo ignorano, spingendolo a fondo in sé, e quelli che invece lo spingono verso l’esterno, creando conflitto e tensioni quando tutto quello che cercano intorno a loro è un briciolo di empatia. Ma questo tratto umano non è propriamente presente nella pellicola, e anche dove sembra innalzarsi alla fine non riesce, tornando indietro.

Questo cul de sac è evidente non tanto nel finale, che purtroppo è tanto reale quanto tutto il film, quanto nella scena in cui David e Benji riescono finalmente a raggiungere la casa della nonna e la omaggiano, per poi dover tornare sui loro passi in seguito all’intervento di altre persone. È un messaggio tristemente attuale, una sorta di disfatta del nostro secolo: nonostante la nostra società sia iperconnessa e tutto sembri condivisibile con il mondo, il mondo non è disposto ad ascoltare, preferendo mantenere il dolore un fatto privato o, al massimo, esponibile come un’opera d’arte quando risveglia in noi una sorta di morbosa curiosità.

Uno dei messaggi di A Real Pain è che l’empatia non è una caratteristica così scontata nel mondo in cui viviamo oggi.

Le nostre conclusioni su A Real Pain

A Real Pain è un dramma intimo e dall’apparenza semplice che però si rivela molto più profondo a occhi attenti. La regia e la scrittura di Jesse Eisenberg sono prive di fronzoli e dipingono un quadro che è completamente immerso nella realtà, andando a toccare temi importanti come la scoperta di sé, la spettacolarizzazione del dolore collettivo e le radici di quello intimo e personale che tutti conserviamo ed elaboriamo differentemente. Non è una pellicola adatta a tutti perché ci pone di fronte a lati dell’essere umano che non si vedono di buon occhio, dunque prima di vedere questo film svuotare la mente e aprirsi è sicuramente un buon inizio.

Voi cosa ne pensate? Avete visto A Real Pain? Raccontateci le vostre impressioni in un commento qui su Kaleidoverse o sulla nostra pagina Instagram, che potete seguire per restare sempre aggiornati sulle ultime novità in campo cinematografico, seriale, videoludico e d’animazione. Vi lasciamo come sempre i link ai nostri ultimi articoli: il resoconto del Summer Game Fest 2025, la recensione della serie TV Sara – La donna nell’ombra e quella di Sorelle sbagliate. Alla prossima!

I pro di A Real Pain
  • La regia è semplice ma attenta;
  • La colonna sonora è un omaggio nascosto;
  • I 2 protagonisti inscenano un profondo dramma familiare;
  • La Polonia emerge come protagonista silenziosa;
  • Si tratta di un road movie in cui è lo spettatore a trovare sé stesso.
I contro di A Real Pain
  • Forse alcune cose non dovrebbero essere lasciate all’immaginazione;
  • Si tratta di un film un po’ troppo concettuale;
  • Nonostante la bellezza forse altri sarebbero stA Real Painati più meritevoli dell’Oscar;
  • I personaggi non crescono, rendendo la visione senza un fine;
  • Al dolore mostrato non c’è conseguenza, perché?

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Scrivo. In pratica non so fare altro: sono goffa, timida e secondo qualcuno amo dormire a testa in giù come un vampiro (tranqui però, non sono un criptide).

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