Viviamo in un momento storico delicato: abbiamo a disposizione tutta una serie di informazioni che, spesso, può essere difficile distinguere quelle vere da quelle false. I social media, poi, amplificano i loro effetti e, grazie all’algoritmo che ci ripropone quello con cui interagiamo, possiamo venirne sopraffatti e finire in una sorta di psicosi collettiva. Questa è la base da cui nasce Il rifugio atomico, disponibile dal 19 settembre su Netflix, dai creatori de La Casa di Carta. Questa volta, Alex Pina ed Esther Martinez, sono partiti da un’idea originale e non da un romanzo.
E, sulla carta, prometteva grandi cose. Un gruppo di milionari sopravvive alla bomba atomica e ora sono costretti a vivere insieme in un bunker sotterraneo, mentre il mondo fuori viene distrutto. Con questa base si poteva fare un po’ di critica sociale (solo chi ha i mezzi si salva, mentre tutti gli altri vengono abbandonati al loro destino), ma anche degli effetti psicologici di sapere di essere tra i pochi sopravvissuti dell’umanità, di essere chiusi in una struttura e non poter uscire, e di avere risorse limitate. Il problema è che questa serie è tutto e niente.
La trama de Il rifugio atomico
Il protagonista è Max Verela (Pau Simón), l’erede e figlio unico dei Verela, dei milionari. Si innamora della primogenita dei Falcón, Ane, e vivono una storia d’amore meravigliosa fino a un terribile incidente d’auto, in cui lei rimane uccisa. Max viene accusato di omicidio colposo e condannato: in carcere viene picchiato dagli altri carcerati, finché non decide di reagire e di guadagnarsi il loro rispetto. Un giorno, suo padre Rafa (Carlos Santos) riesce a farlo uscire prima del previsto per poi portarlo in un bunker sotterraneo (il Kimera Underground Park): la tensione geopolitica sta crescendo, la minaccia di una guerra nucleare sembra sempre più reale.
Solo un ristretto gruppo di milionari è riuscito a trovare rifugio in questo bunker (pagando milioni) nell’attesa che la situazione si calmi. Max accetta unicamente perché ha scoperto che la nonna ha un cancro terminale e potrà passare il tempo con lei. Recuperare il tempo perso. Quello che non sa è che nel bunker ci saranno anche Guillermo Falcón (Joaquin Furriel) e sua figlia minore Asia (Alicia Falcó), il padre e la sorella di Ane, che non vede dal giorno dell’incidente.
Le nostre aspettative
Date le premesse, Il rifugio atomico sembra simile a Fallout, la serie su Amazon Prime Video, che parla di una sopravvissuta che esce da un bunker atomico e cerca di adattarsi al nuovo mondo, profondamente cambiato dalla guerra avvenuta circa un secolo prima. Questa serie sembra parlare di come un gruppo di sopravvissuti si adatta alla vita nel bunker, consapevoli di essere molto probabilmente gli unici rimasti e sulle conseguenze psicologiche.
Minerva (il capo dello staff all’interno del bunker) sembra sostenere questa versione quando spiega agli ospiti le regole della loro nuova società: ognuno si metterà nel proprio piatto la propria razione, avranno supporto psicologico e la possibilità di prendere dei medicinali per sostenere la brutta situazione in cui si trovano. Credevamo, in particolare, che la storia si sarebbe concentrata su Max e sui suoi tentativi di farsi perdonare dai Falcón, oppure sul suo reinserimento in famiglia e un tentativo di recuperare il rapporto con i genitori. Credevamo, insomma, che tutto si sarebbe concentrato sull’aspetto psicologico, ma alla fine della prima puntata avviene un colpo di scena (che non vi sveleremo), che abbiamo trovato geniale.
Due ambientazioni differenti e una regia e scenografia claustrofobiche
Tra segreti e sorveglianza: il doppio volto della storia
La conclusione della prima puntata regala un colpo di scena sorprendente che cambia radicalmente il tono della serie e ridefinisce le aspettative dello spettatore, mettendo in luce il talento degli autori. Da quel momento la storia cattura e tiene prigionieri fino al finale aperto, che lascia intuire la possibilità di una seconda stagione. La narrazione si sviluppa su due fronti distinti. All’interno del bunker, il Kimera Underground Park si rivela un microcosmo a sé stante: un ambiente futuristico e glaciale, progettato con scenografie che trasmettono un costante senso di prigionia.
A vigilare sugli ospiti c’è Roxán, l’intelligenza artificiale che controlla, ascolta e archivia ogni gesto, ogni parola, generando un clima di tensione che non concede tregua. La regia amplifica questa sensazione con scelte mirate: i primi piani, usati con frequenza, soffocano l’inquadratura e trasmettono fisicamente la mancanza di aria; i movimenti di macchina, lenti e misurati, restituiscono la percezione di uno spazio chiuso, da cui è impossibile fuggire. E l’esterno del bunker, in teoria distrutto dalle bombe, ma non vi sveliamo nulla: sappiate che nulla è quel che sembra e che la trama ambientata nel mondo è quella che è meno credibile.
Le cose che non funzionano
Come dicevamo all’inizio di questa recensione, Il rifugio atomico vuole essere tutto e alla fine non è nulla. Poteva analizzare l’effetto disastroso della diffusione di un allarme crescente nella mente delle persone, un allarme che non esiste nella realtà, ma che può trasformarsi in una psicosi collettiva. C’è un po’ di critica sociale, con questi miliardari che sono gli unici a disporre dei mezzi per salvarsi in caso di tragedia e, una volta al sicuro, non si preoccupano di ciò che succede fuori. Viene appena accennata la lotta di classe tra gli ospiti miliardari e lo staff del bunker di più umili origini.
Ma tutto questo non viene mai approfondito: ci si concentra sui continui segreti e drammi personali rendendo la serie molto più leggera di quello che dovrebbe essere. La trama che è legata allo staff (che non vi diremo per non rovinarvi il colpo di scena) è quella meno credibile: viene raccontata tramite flashback, ma è un piano talmente contorto e articolato da rompere la sospensione dell’incredulità dello spettatore. La storyline che convince di più è quella di Max e Asia: lui cerca di farsi perdonare dalla famiglia di Ane, lei che capisce i suoi sentimenti nei confronti di Max e decide di vivere nella verità. Entrambi i personaggi crescono e maturano sull’orlo della crisi mondiale.
Le nostre conclusioni su Il rifugio atomico
Insomma, ci aspettavamo una serie frizzante, divertente e che facesse anche un po’ riflettere sulla società dai creatori de La Casa di Carta. Purtroppo non abbiamo trovato quello che cercavamo: se fosse stata una storia che raccontava il rapporto tra Max e Asia sarebbe stata una serie convincente. Noi crediamo che abbia voluto raccontare un po’ tutto senza avere il giusto tempo: otto puntate lunghe un’ora sono troppo poche per raccontare una storia corale, con protagoniste due famiglie e lo staff del bunker.
Il rifugio atomico aveva molto potenziale ma si perde nei vari intrighi dei milionari, diventando anche un po’ ripetitiva: i litigi tra Max e Guillermo, come i segreti tra Rafa e Max e tra Rafa e Guillermo, nel corso delle otto puntate si susseguono molto simili gli uni agli altri. Secondo noi, un’occasione sprecata, ma, avendo un finale aperto, potrebbe sorprenderci in una seconda stagione (non ancora annunciata). Voi avete visto Il rifugio atomico? Diteci che ne pensate in un commento su Kaleidoverse, non dimenticate di seguirci sulla nostra pagina Instagram e non dimenticate di leggere i nostri ultimi articoli sul capitolo 1160 di One Piece e la recensione di Gen V 2! Al prossimo articolo!
Pro
Dagli autori de La Casa di Carta;
Il budget affidato alla scenografia è stellare;
Il colpo di scena della prima puntata è geniale;
Regia e ambientazione claustrofobica;
Max e Asia sono i personaggi migliori del cast;
Contro
La trama svelata dal colpo di scena è così articolata da non essere credibile;
Il ritmo delle 8 puntate è gestito male e si perde negli intrighi alla soap-opera spagnola;
Non viene approfondito l’effetto “catastrofico” della fine del mondo sugli ospiti del bunker;
È tutto appena accennato.
