Non c’è riposo per chi la vita la vive a morsi: i giorni si oltrepassano, le sfide si moltiplicano, eppure si persevera, a testa bassa come un ariete. O saltellando sui fossi della vita come un coniglio. Sarà forse per questo che la nuova serie TV di Netflix uscita il 18 settembre scorso si chiama proprio Black Rabbit? Scoprirete presto che non è proprio così, leggendo questa recensione che Kaleidoverse vi presenta dopo avervi dato qualche piccolo dettaglio sul prodotto, che si compone di 8 episodi.
Black Rabbit è diretto da Jason Bateman (Ozark), Laura Linney (The Big C), Ben Semanoff (Yellowjackets) e Justin Kurzel (The Order), mentre la sceneggiatura la firmano Zach Baylin (Una famiglia vincente), Kate Susman (Brother save us), Andrew Hinderaker (Away), Sarah Gubbins (Shirley), Stacy Osei-Kuffour (Watchmen) e Carlos Rios (Colony). Nel cast – stratosferico – della serie invece abbiamo tra gli altri Jude Law (Il talento di Mr. Ripley), lo stesso Jason Bateman, Cleopatra Coleman (The Last Man on Earth), Amaka Okafor (Greatest Days), Sope Dirisu (Sand Castle), Dagmara Domińczyk (Rock Star), Chris Coy (Treme) e Troy Kotsur (Strong Medicine).
Black Rabbit: la trama
Jake Friedken (Jude Law) è un ristoratore sulla cresta di un’onda sempre più alta, ma alla vigilia di una visita importante al suo ristorante, il Black Rabbit, suo fratello Vince (Jason Bateman) torna nella sua vita. I due fratelli cercano di ricostruire un rapporto basato su fondamenta complesse e polverose mentre fronteggiano – un po’ per conto loro, un po’ insieme – i rispettivi problemi, che si ingigantiscono progressivamente fino a seppellirli nell’oscurità.
Mentre Jake infatti punta sempre più in alto insieme alla sua chef e socia Roxie (Amaka Okafor) Vince attira l’attenzione di vecchi debitori che non si sono affatto scordati il piccolo buco a cinque zeri che l’uomo si era lasciato alle spalle allontanandosi da New York. E, in una spirale discendente che molto ricorda la caduta di Alice nella tana del Bianconiglio, i due uomini escogitano insieme sotterfugi e rivivono l’infanzia solo per cercare di restare a galla in un mare sempre più mosso da cattivi intenti.
La vita di Jake si scombussola quando suo fratello Vince torna in città, riportandolo in un mondo fatto di sotterfugi e soluzioni improvvisate.
Una serie un po’ realista
Black Rabbit ha un taglio molto crudo: l’occhio della cinepresa è lontano dagli artifici e si sforza di adottare un taglio quasi documentaristico. È la vita vera quella che lo spettatore deve guardare, la vita vera di un imprenditore, del suo staff e del fratello scapestrato. In questo la regia a più mani riesce perfettamente: il montaggio è rapido, dinamico, l’alternarsi di alcune sequenze è ritmato, incessante, sembra andare a tempo di musica, che è una delle protagoniste innominate della serie.
Per quanto riguarda la sceneggiatura la storia è autoconclusiva e riesce a chiudere bene il proprio cerchio, raccontando una storia che parla di ambizione, eccessi, pericolo ma anche di amore, affetto e attenzione al prossimo. Abbiamo adorato poi la scelta del cast, che comprende nomi affermati e pieni di talento del panorama cinematografico e seriale internazionale, ma avremmo forse apprezzato un maggiore approfondimento sui personaggi secondari, proprio perché interessanti quanto i protagonisti.
La scala del successo è sdrucciolevole
L’ambizione è uno dei temi cardine di Black Rabbit e Jake ne è il portatore supremo. Lanciato nel mondo imprenditoriale non gli interessa l’agio economico: quello che vuole è saziare una fame che non si placa e che ha tutto il sapore della vittoria e della consapevolezza di arrivare in cima a qualcosa. Più su è meglio, si alza il livello, incrementano gli incassi, ma il rischio in questo caso fa coppia con l’insoddisfazione e con la consapevolezza di meritare di più.
Consapevolezza che abbracciano anche Estelle (Cleopatra Coleman) e Roxie, entrambe accecate dalla prospettiva di poter avere di più, di poter godere del risultato positivo di una sfida con loro stesse e con la percezione che hanno del proprio valore. Una gara che si nutre di complessità e che sbaraglia gli ostacoli, qualunque o chiunque essi siano. Il successo, però, si trova in un ascensore che è molto difficile rincorrere: basta poco, e si corre il rischio di cadere rovinosamente per le scale.
Da un certo punto di vista Black Rabbit sembra una lunga partita a un gioco d’azzardo, in cui il rischio vale più del denaro.
Le complicazioni come dipendenza
L’ambizione crea una pista in cui l’adrenalina sprona ad avanzare, ma le emozioni forti sembrano albergare anche nelle complicazioni e nelle difficoltà che Vince riscopre tornando nella Grande Mela. Personaggio problematico, stereotipo perfetto della pecora nera, Vince aggiusta una cosa e ne rompe 2, ma in qualche subdolo modo non sembra – agli occhi dello spettatore – che l’aggiunta costante di problemi lo turbi più di tanto. E non crediamo che sia solo una questione di abitudine alle avversità.
Vince è un personaggio che nei problemi ci vive da sempre: un po’ per via delle dipendenze in cui ha cercato di affogare e dimenticare i propri sensi di colpa e i propri peccati, un po’ perché tolte le dipendenze dalle sostanze il rischio e il pericolo ne costituiscono un’altra a cui non è facile rinunciare. C’è sempre un modo per cavarsela, ma il prezzo non è mai nullo. E, cosa più importante, va benissimo così. Vince ha oltrepassato il punto di non ritorno da ben prima che la serie iniziasse, e prosegue su binari in picchiata senza freni. Verso una soluzione definitivamente drastica.
Cosa c’è sotto il tappeto?
Black Rabbit non parla solo di soldi, potere e rapporto tra fratelli: tocca anche una corda veritiera e spiacevole che si trova nelle stanze piene di soldi e sorrisi a tanti zeri. Parla anche di molestie e violenza, e lo fa usando sempre un tono vero, crudo e disilluso che è scevro da qualsiasi indoramento. Il ristorante di Jake è pieno di clienti facoltosi e le donne che vi lavorano assumono ai loro occhi una sfumatura di significato molto più carnale e scabrosa.
Il viscidume c’è, è palese anche se si vede poco perché la serie si concentra di più sulle conseguenze e non sulla violenza in sé, che occupa poco spazio. E questo perché molta violenza si trova anche nelle ripercussioni, nei tentativi di silenziare le vittime e i dubbi leciti di chi fino a quel momento non aveva voluto vedere il marciume. Da questo punto in poi, però, c’è in seno a questo argomento una spaccatura che ha a che fare – lo ripetiamo manco fossimo John Wick – con le conseguenze e con l’affrontare la questione.
In Black Rabbit si parla anche di molestie, violenza e delle loro conseguenze.
L’amore vince, ma non rimedia
I rapporti umani di Black Rabbit sono molto importanti. Jake e Vince, in primis, hanno un rapporto complicato che però nasconde al suo interno un grande affetto reciproco e quella complicità che solo i fratelli possono avere. Ma non solo: l’amore in seno a questa serie TV va inteso come la possibilità del ritorno, come il perdono tanto sofferto dopo aver commesso azioni discutibili. E può anche essere inteso come nuovo stimolo di fronte a un’esistenza ormai stagnante.
Nonostante questo, l’amore in Black Rabbit non salva: è il mondo reale, e il mondo reale è spesso crudo e spietato. L’amore vince sicuramente su più fronti: si ricuciono ferite, si fa pace con il passato e si accetta ciò che è stato. Ma vincere non significa risolvere, e questo purtroppo è un promemoria che bisogna sempre tenere presente. Tale consapevolezza addolcisce il sapore amaro della conclusione, che però rimane ben lontana da un lieto fine classico – ma è perfetta in questo caso.
Contrappasso o redenzione?
La conclusione di Black Rabbit riesce – l’abbiamo detto sopra – a bastarsi: non lascia nulla al caso, non ci sono orizzonti da esplorare né punti oscuri che non sono stati chiariti. Alla fine della storia quell’organismo mastodontico che è il Black Rabbit stesso si disfa, dando voce alle individualità. Non possiamo dire che la serie abbia un senso manicheista – se così fosse, probabilmente i personaggi sarebbero tutti morti o in prigione, ma potremmo definirla quasi dantesca nel modo in cui lascia gli spettatori.
Le ultime scene infatti racchiudono un senso di realizzazione: non tutti ottengono quello che vogliono, ma hanno ciò che meritano. C’è chi viene punito e chi trova sé stesso, c’è chi piange e chi si ridimensiona, ma soprattutto tutti i personaggi si liberano della pressione e della frenesia della competizione costante della corsa alla popolarità e adottano toni più rilassati e veri per loro stessi. Perché la vita è un viaggio che non si ferma – per forza di cose – ma che possiamo scegliere come percorrere.
La conclusione è agrodolce ma chiude la storia sapientemente.
Le nostre conclusioni su Black Rabbit
Black Rabbit è una miniserie che racconta un dramma familiare inserito all’interno di un contesto in cui il successo, l’ambizione e il desiderio seppelliscono la convivialità e il senso di appartenenza a un sogno come quello di fare ristorazione. La serie inserisce molto, riuscendo a uscirne senza lasciarsi alle spalle questioni in sospeso e dimostrando in modo elegante e secco che le conseguenze in fondo arrivano per tutti. Il cast è stellare, la regia diretta e la sceneggiatura ottima. Abbiamo solo un piccolo rimprovero da fare: quello di non aver dato giusto peso a un personaggio che sembra essere molto più rilevante di quanto poi effettivamente appaia.
Ma adesso, come sempre, la rimettiamo a voi: avete visto Black Rabbit? Se sì, cosa ne pensate? Lasciateci la vostra in un commento qui su Kaleidoverse o nella nostra pagina Instagram, che potete seguire per restare al passo con le nostre pubblicazioni, che comprendono articoli sul mondo del cinema, dei videogiochi, delle serie TV e dell’animazione. Prima di lasciarvi ecco qualche titolo per ispirarvi: la recensione della serie TV Il rifugio atomico, quella del capitolo 1160 di One Piece e quella della seconda stagione di Gen V. Alla prossima!
5 pro di Black Rabbit
La regia è di stampo documentaristico;
La colonna sonora è dinamica e potente;
Il montaggio nervoso aumenta l’interesse;
Il cast è stellare;
Il finale è severo ma giusto.
5 contro di Black Rabbit
Per seguire la sceneggiatura bisogna tenere alta la concentrazione;
Alcuni personaggi vengono introdotti per poi essere dimenticati;
Dal punto di vista investigativo quali sono le conseguenze?
Alcuni aspetti del finale sono un po’ nebbiosi;
Il personaggio di Vince potrebbe risultare leggermente fastidioso e scritto come eccessivamente sconsiderato.
