“Cadono i fiori di ciliegio,
sugli specchi d’acqua della risaia:
stelle,
al chiarore di una notte senza luna”
Il raffinato haiku del poeta Yosa Buson manifesta la concezione della vita all’interno della cultura giapponese: tanto bella, quanto effimera, proprio come un ciliegio. La fioritura dei sakura assume in Giappone un significato metaforico e profondo, quasi sacro. La sua contemplazione rievoca emozioni contrastanti: felicità e disperazione, euforia e sofferenza, impazienza e rimpianto. Tutto questi sentimenti si affannano e tergiversano nella pellicola uscita IL 24 marzo su Netflix: il mio amore è un fiore di ciliegio.
Il film appare come una conclamata trasposizione cinematografica della visione nipponica sulla realtà. L’autenticità con cui si sviluppa la trama colpisce lo spettatore intimamente, percuotendolo. In un primo momento veniamo trasportati in un’atmosfera dolcissima, seguendo i primi passi di una tenera storia d’amore. Purtroppo però, le difficoltà sono sempre dietro l’angolo, pronte ad aggredirci. Il nostro tempo sulla Terra è un qualcosa di transitorio, ma se fosse possibile, non sarebbe bellissimo poter rendere eterno un momento fugace? Il film di Yoshihiro Fukagawa analizza tematiche complesse e articolate con potenza e sensibilità, immergendoci completamente fra gli scorci di una suggestiva Tokyo.
Il mio sogno è poter fare una magia
In Il mio amore è un fiore di ciliegio seguiamo principalmente le vicende di due venticinquenni: Asakura Haruto e Ariake Misaki, interpretati rispettivamente da Nakajima Kento e Matsumoto Honoka. Il loro incontro sembra quasi segnato dal destino, in una fase di particolare rassegnazione e apatia del protagonista. Il sorriso caldo e luminoso della donna risveglia nel ragazzo un sentimento sopito da fin troppo tempo: la voglia di cambiare. I due lentamente si avvicinano e fra chiacchiere, risate e affetto il loro rapporto si evolve.
A legarli è inoltre l’idea di lavoro a cui ambiscono. Da un lato, Misaki sogna di diventare una parrucchiera per poter far sentire bene con se stessi i clienti, come per magia; dall’altro, Haruto sogna di divenire un fotografo per immortale per sempre un istante, come in un incantesimo. Ideologie simili, volte alla ricerca del proprio posto nel mondo. I primi messaggi, il primo appuntamento, la prima cena. Gli sviluppi fra loro vengono descritti con minuziosa amabilità, fomentando ansie e speranze anche nel pubblico. Le bellissime riprese della Tokyo Tower, dell’incrocio di Shinjuku e di panorami dei quartieri più rinomati della metropoli nipponica, inevitabilmente, ci conducono in paesaggi lontani e fascinosi. Ma proprio come quando i fiori di ciliegio raggiungono il massimo splendore, per poi decadere, così la narrazione subisce un repentino e drammatico cambio di rotta.
L’impotenza è una subdola tortura
Gli esseri umani, come ogni elemento in natura, sono entità assoggettate allo scorrere del tempo. Panta Rei, come ci spiega Eraclito, è la legge inesorabile del mutamento, a cui nessuno può sfuggire. Sfortunatamente, cambiamento non è sempre sinonimo di miglioramento. Ci sono infatti circostanze che sopraggiungono con smisurata violenza e crudeltà. Quando qualcosa di brutto accade, a noi personalmente o ai nostri cari, la prima domanda che sbuca nella mente è “perché a me”? Si cerca qualsiasi spiraglio di speranza, di assuefazione al dolore che con ferocia ci logora dall’interno. Purtroppo a quesiti del genere non esiste riposta.
Vivere fa soffrire, tuttavia soffrire significa vivere. Nonostante ciò, assistere ai patimenti di una persona amata, cercando di mostrarsi positivi, continuando a combattere contro ogni prognostico, è una brutale tortura. La consapevolezza dell’impotenza si insinua come un cancro, per giungere poi al cuore e stritolarlo senza pietà. Il mio amore è un fiore di ciliegio per alcuni tratti è brutale, soprattutto per il modo in cui riesce a trasportare sullo schermo il travagliato percorso che contraddistingue una malattia. La precarietà e la caducità dell’esistenza sono una triste verità, eppure sono queste caratteristiche a renderla una così incommensurabile avventura.
Il mio amore è un fiore di ciliegio, le cose che non cambiano
In Giappone da fine marzo a metà aprile inizia il periodo della fioritura dei ciliegi che raggiunge il massimo splendore entro una settimana. L’uscita del film il ventiquattro, quindi, non è una coincidenza ma una scelta ponderata. Dal periodo Nara in poi (710-794), il rito di riunirsi e osservare la bellezza di tale fenomeno ha preso il nome di Hanami: letteralmente hana (fiore) e mi (guardare). Amici e parenti organizzano dei picnic, per passare del tempo insieme all’ombra degli incantevoli alberi. Le riprese iniziali della pellicola ci riconducono proprio nella primavera giapponese, governata da emozionanti petali volteggianti nel vento.
L’inquadratura si focalizza poi su un ragazzo, il nostro Haruto, intento a scattare una foto. Già in questi pochi istanti il regista ci mostra la grande antitesi presente lungo tutta la narrazione: le cose che cambiano e quelle che non cambiano. In effetti, nel corso della storia l’uomo ha sempre cercato un modo per poter sfidare la morte e riuscire ad appropriarsi dell’eterno. L’arte è proprio questo. La fotografia, in particolare, è in grado di catturare all’interno dell’obiettivo un fuggevole attimo, per poi trasformarlo in un’immagine vivida e perenne. Durante le due ore del lungometraggio, sono tantissimi gli spunti volti a riflessioni importanti. Tuttavia il messaggio più forte che traspare è l’urgenza, il dovere, di apprezzare e godere di ogni singolo momento.
Le nostre conclusioni su Il mio amore è un fiore di ciliegio
Non vi mentirò, Il mio amore è un fiore di ciliegio è un film coinvolgente, passionale, ciò nondimeno crudo e malinconico. Lo straziante parallelismo fra Misaki e il fiore di ciliegio viene trasposto in modo eccelso e, paradossalmente, credibile. Grazie all’interpretazione da brivido degli attori, l’impatto emotivo è potente e sentito, per cui immedesimarsi nelle varie situazioni risulta facile e istintivo. Ci troveremo quindi a sorridere con loro per un semplice “si”, ma anche a soffrire e piangere.
Nell’opera, la metafora del sakura non viene utilizzata solo per descrivere la caducità dell’esistenza, ma anche al fine di esporne la persistenza. Per quanto possa essere fragile, transitoria ed effimera la fioritura di un ciliegio, ogni primavera nuovi boccioli torneranno a sbocciare. Così è anche la nostra esistenza. Amare, sorridere, creare legami con delle persone, potrebbero sembrare azioni superflue data la nostra transitorietà sulla terra. Invece, sono tali esperienze a dar senso e a imprimere il nostro essere eternamente, nel ciclo infinito della vita. Fateci sapere il vostro parere su Il mio amore è un fiore di ciliegio, tramite i nostri social. Instagram e Telegram, e continuate a seguirci sul sito Kaleidoverse per non perdervi tanti articoli interessanti.
Il mio amore è un fiore di ciliegio rappresenta la trasposizione cinematografica della concezione giapponese della vita: qualcosa di estremamente bello ma effimero. Il parallelismo fra la protagonista e il "sakura" ha proprio questa funzione. In Giappone, infatti, riunirsi con le persone care e osservare il fenomeno della fioritura dei ciliegi, assume un significato metaforico potente e sentito. Amore, sofferenza, fugacità e eternità, tutto questo è il mio amore è un fiore di ciliegio.
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