Il cinema e la serialità italiane stanno subendo un lungo e lento processo di transizione verso dei contenuti di più ampio respiro. I prodotti degli ultimi anni, infatti, stanno assumendo un taglio sempre più internazionale, potremmo dire quasi americano, mettendo in scena storie e situazioni che fanno eco a un determinato immaginario dell’inizio degli anni 2000. È in questo blocco di nuove creazioni che dobbiamo includere Autumn Beat, un nuovo film disponibile su Prime Video dal 10 novembre, del quale vi parleremo recensione che segue.
Autumn Beat è un prodotto nuovo sotto molteplici punti di vista: primo lungometraggio del regista Antonio Dikele Distefano (più famoso come scrittore), la pellicola comprende un cast di facce fresche e una storia originale nel panorama cinematografico nostrano. Autumn Beat è un film di formazione, ma anche un film drammatico e un film musicale, e la fusione di questi tre generi dà vita a un racconto che parte dalle periferie milanesi e gira intorno alla grande metropoli facendo scorrere gli anni e le parole tra quaderni pieni di pensieri, battaglie di free style e frasi saltellanti.
La trama di Autumn Beat
La trama di Autumn Beat è in apparenza molto semplice, anche se nasconde nelle varie scene piccoli cassetti che contengono oggetti nascosti e con una loro storia da raccontare. Siamo nella periferia di Milano, dove i due fratelli Tito e Paco – di origini congolesi – sognano di sfondare nel mondo della musica rap, insieme al loro amico David e Ife, ragazza di Paco e intima amica di Tito. Il percorso è tutto in salita: Paco ha talento e prende letteralmente per le rime gli altri cantanti nelle battaglie di free style, ma non potrebbe farcela senza Tito, il quale gli scrive le canzoni. Il magico duo finisce poi per attirare l’attenzione di Guè Pequeno, che alla fine offre loro un contratto.
Il gruppetto è felicissimo per il traguardo raggiunto, ma ben presto il loro sogno si infrange contro i freddi piani delle case discografiche. David, infatti, scopre che il contratto proposto a Paco non dà quanto era stato loro promesso, tagliando fuori lui e Tito dalla scalata di Paco. E Paco, desideroso di raggiungere la vetta, lo accetta senza consultarli. Questo tradimento, unito ad altri atteggiamenti scorretti del ragazzo, porta allo sgretolamento del gruppo, con l’allontanamento di Tito dal fratello, dalla sua mentalità egoista e dal suo desiderio di riscatto.
Storie di vita vissuta
Chi conosce Distefano come autore sa quanto la sua vita e le sue esperienze influiscano sulle sue opere (l’uomo è figlio di genitori angolani, anche se è nato e cresciuto in Italia). La periferia è in questo caso il luogo perfetto per mettere in scena una storia che vede nella musica il trampolino di lancio per una vita migliore (alla stregua di chi, guardando nel pozzo, desidera la luna). I personaggi sono tutti ragazzi figli di quella periferia, che accoglie e non discrimina, ma anzi si fa teatro della loro crescita, palco perfetto per le rime veloci e graffianti del rap.
La musica è la vera e assoluta co-protagonista, declinata in questo caso nel rap, che è noto per essere un genere crudo e diretto, simile a una raffica di proiettili. La sua spietatezza serve ai rapper per comunicare il loro disagio e le loro storie, ma anche il loro potere. In questo quadro Paco e Tito giocano in due ruoli differenti: il primo mette in atto una conservazione del genere, il secondo invece capisce come per emergere in un panorama musicale già quasi completamente saturo c’è bisogno di altro; che il rap può incanalare anche altre emozioni oltre alla rabbia e al senso di rivalsa.
Intimamente diversi
C’è di più nelle battute lunghe e senza fiato del rap: Tito dimostra a suo fratello come questo genere possa essere assoggettato anche ad altre emozioni, diverse dalla rabbia e dall’odio, ma altrettanto profonde e incisive. I suoi testi svelano una dolcezza e un’intimità inusuale che farà breccia nelle orecchie di Guè, raccontando il rapporto tra i due fratelli, la loro infanzia complicata e i momenti più importanti delle loro vite. Tutto questo, il punto di vista di Tito, finisce per incantare anche Paco che, dopo essersi ritratto dall’esposizione improvvisa di quella mole di sentimenti, accetta di dare loro voce al posto del fratello.
I nuovi testi di Tito affondano sì le radici nel disagio della periferia, ma lo comunicano diversamente, risultando in una musica quasi poetica e vicina alle persone comuni, che camminano per strada e ballano alle feste. La voce rotta del protagonista sboccia nelle parole del fratello, e in questo rapporto simbiotico il loro quartiere prende vita grazie a loro e si scatena sulle note di quel successo, portando Paco nei loro cuori. La stessa cosa non può però dirsi di Tito che, allontanato dall’affetto della gente decide di proseguire su un’altra strada. Così lo ritroviamo, molti anni dopo la rottura con il fratello, a insegnare l’italiano agli stranieri.
Che rumore fa l’assenza?
C’è un filo conduttore nel film che riguarda la famiglia e, nello specifico, la figura paterna. Perché un padre, uno vero e proprio, in carne, ossa e respiro, in Autumn Beat non c’è. Tito trascorre la sua adolescenza a cercare suo padre, per poi arrendersi quando ne perde le tracce, aiutato solo da una vecchia fotografia. Paco non vuole nemmeno parlarne, del suo (perché i due fratelli in realtà non sono legati dal sangue) e nella vita di Ife sembra esserci soltanto la madre adottiva. Prende forma così una sagoma vacante che si staglia, in determinati momenti della pellicola, sullo sfondo, fungendo da muta giustificazione per determinati comportamenti.
C’è poi anche il flebile richiamo a Charles Dickens, orfano scrittore per antonomasia, ritrattista per eccellenza del popolo e a esso devoto, così simile al Tito adulto, insegnante di italiano ai corsi serali ma ammette di non voler diventare padre. Paco, invece, padre lo è diventato, e a detta di David si è sforzato di essere il miglior padre possibile. Ha cercato di dare a sua figlia tutto quello che lui non ha potuto ricevere, lasciandola troppo presto ma vivendo nelle canzoni da lei ascoltate di continuo. Ife, infine, la madre di questa bambina che lei non ha avuto la forza di crescere, dimostra come si può sempre cambiare idea, ma per farlo bisogna prima di tutto dare valore a se stessi.
Sasso che rotola giù dalle spalle
L’eco lontana, persa nelle pieghe morbide del tempo, urla a gran voce che le colpe dei padri ricadono sulle spalle dei figli. Autumn Beat ci dimostra che non sempre è così: il mondo non è un luogo deterministico capace solo di seguire sempre lo stesso copione. Ife cambia idea e decide di darsi una seconda possibilità come madre. Paco stesso, di base egocentrico, dedica tutto il suo amore alla figlia, dimostrando a Tito e a noi spettatori come non aver avuto un modello durante la crescita non pregiudica necessariamente chi saremo in futuro. Aisha, la bambina dagli occhi seri, ha avuto in dono ciò che a loro è stato sempre precluso: una famiglia, una vera famiglia sincera e amorevole.
Aisha non è l’unica fortunata, alla fine del film: Tito ha una seconda possibilità. Dopo essere stato ferito dal tradimento del fratello gli volta le spalle e continua la vita abbandonando il suo s\ogno (capisce che la luna nel pozzo è solo un riflesso). Conoscere Aisha gli apre gli occhi e gli mostra la sua capacità di amare una persona, se si apre all’eventualità di farlo. Di conseguenza la sua forte convinzione di non volere una famiglia sembra sgretolarsi sul finale, anche se non sappiamo fino a che punto. I volti rilassati e sollevati dei personaggi, però, comunicano inequivocabilmente che il gravoso sasso che si portavano dietro è finalmente rotolato via.
Le nostre conclusioni su Autumn Beat
Alla fine di Autumn Beat resta solo moltissima dolcezza. La storia si conclude con uno svolazzo, la musica ci accompagna fino all’ultimo secondo e nel corso del film fanno la loro comparsa anche alcuni volti noti del panorama musicale italiano (Sfera Ebbasta ed Ernia sono due di questi). Guardando il lungometraggio lo spettatore cresce minuto dopo minuto, sbloccando nuove consapevolezze e scoprendo i lati nascosti di un tipo di musica che forse vive ancora un po’ di nomea.
Vi consigliamo Autumn Beat, sia che vi piaccia il rap sia in caso contrario, e speriamo vi lasci teneramente come è capitato a noi. Se la recensione di Autumn Beat vi piace e volete leggerne altre, potete farlo su Kaleidoverse, dove ci occupiamo anche di serie TV, anime, manga e videogiochi. Potete supportarci seguendoci sui social, condividendo i nostri contenuti e iscrivendovi ai nostri gruppi community su Facebook e Telegram, dove discutiamo delle ultime tendenze del momento.
Autumn Beat è il primo film di Antonio Dikele Distefano. Si tratta del racconto del rapporto di due fratelli che sognano un mondo dettato dal ritmo della musica. La pellicola ci mostra con innocente realismo il mondo della periferia e la vita complessa al suo interno, spostandosi tra vari punti fissi nel tempo e fondendo finzione e realtà, odio e delicatezza, egoismo e affetto. Il cast è fresco e nuovo, e trasmette perfettamente i problemi dei singoli personaggi, che riescono a trovare una dovuta risoluzione. Il messaggio di fondo della pellicola è di speranza e di accettazione del passato come unica soluzione per vivere un futuro pieno e positivo.