Già da un po’ di tempo Disney ha deciso di rivolgersi al pubblico affascinato dal crimine con la True Crime Collection, una raccolta di film, serie tv e documentari che raccontano di fatti di cronaca realmente accaduti. L’ultima aggiunta alla collezione è Lo Strangolatore di Boston che narra la vicenda del serial killer che ha terrorizzato Boston dal 1962 al 1964. Una storia piuttosto conosciuta che è anche stata fonte di ispirazione per diversi episodi di Criminal Minds per il Modus Operandi. Per chi si stesse avventurando per la prima volta nel fascino misterioso di questo genere, il Modus Operandi (detto anche M.O.) indica un insieme di comportamenti ricorrenti che identificano come agisce un serial killer.
Tornando al film e alla sua storia conosciuta, come avrà sfruttato a suo favore Matt Ruskin il fascino che i serial killer esercitano sulla psiche umana? E sarà riuscito a superare la consapevolezza che si ha già della storia riuscendo a stupire il pubblico? In questa recensione guarderemo come Matt Ruskin ha deciso di raccontare la storia di Albert De Salvo e delle sue presupposte 13 vittime. Scopriremo insieme che questo film ha molto altro da dire, oltre alla semplice narrazione. Così alla fine ci direte se sarà un film che vorrete guardare oppure evitare.
Un noir raccontato da un punto di vista giornalistico e femminile
Matt Ruskin si discosta dal raccontare Lo Strangolatore di Boston come un giallo poliziesco, decidendo di narrarlo dal punto di vista delle due giornaliste che, all’inizio degli anni ’60, si sono occupate di documentare la vicenda. Un tributo a Loretta McLaughlin (Keira Knightley) e Jane Cole (Carrie Coon) che riesce a intrattenere grazie alla competenza giornalistica e il coraggio che trasmettono. La scelta di dar voce a queste due donne come protagoniste, accentua maggiormente i temi di denuncia sociale che emergono durante il film. L’incompetenza della polizia, la disorganizzazione e la corruzione del sistema giudiziario dell’epoca e la situazione delle donne al lavoro. Tutti temi che, anche se ambientati circa 60 anni fa, sono ancora piuttosto attuali. Per questo il film è interessante: oltre alla storia affascinante, la scrittura di esso è stata fatta in modo da essere capita.
Durante la durata de Lo Strangolatore di Boston e con il progressivo aumentare degli omicidi, il film si evolve inserendo circostanze interessanti aggiuntive, puntando i riflettori sulle donne che lavorano in ambienti prevalentemente maschili mentre cercano di indagare su un crimine che mette in pericolo le donne. L’inquietudine dettata dall’atmosfera e dalla storia si sentono, ma la suspense e l’attesa che ci aspetteremmo di provare sono abbastanza deboli. Il film perde un po’ il senso di preoccupazione del trovarsi davanti al pericolo da un momento all’altro. La posta in gioco è diversa, il credere così fortemente in un’idea da rischiare di essere annebbiati da essa e di perdere la concentrazione su tutto il resto. Per questo, Lo Strangolatore di Boston non ha spazio.
Ammettere che non sappiamo è sempre meglio che credere a una bugia
Il finale del film vuole essere un messaggio chiaro contro la convinzione popolare “meglio non sapere”. Una critica verso la, tuttora, incerta attribuzione di tutti i 13 omicidi a De Salvo, considerando che i test del DNA ne hanno confermato solo uno. Nonostante tutto, Lo Strangolatore di Boston finisce con una nota di incertezza che non vuole lasciarci con l’amaro in bocca, ma con il coraggio di Loretta McLaughlin e Jane Cole. La sceneggiatura di Ruskin offre lo spettacolo confortante di intraprendenza, di guardare i giornalisti spingere attraverso i vicoli ciechi. Momenti che perdono un po’ del loro effetto, dettato dal grigiore crescente del film e dall’assenza di uno stile visivo distinto. Ci sono molte scene di Loretta e Jean che scrutano documenti su documenti, e momenti destinati a essere pungenti perdono il loro effetto. Anche le scene degli omicidi sono troppo simili a delle rievocazioni di History Channel per riuscire a offrire un’aria inquietante degna di un film noir.
L’atmosfera è perennemente verde-grigia e la musica di sottofondo dà l’impressione che ogni scena sia la scena di un omicidio. Gioca anche un po’ a suo sfavore la costruzione del personaggio di De Salvo, il quale ci viene presentata solo tramite pochi flashback e una confessione degli omicidi. D’altro canto il cast è eccezionale e calza a pennello con i personaggi de Lo Strangolatore di Boston. Keira Knightley è straordinaria nei panni di Loretta, vederla navigare tra sciovinismo, pregiudizi e ostacoli, che incontra in quanto giornalista donna, per raccogliere fonti e trovare piste e storia, è accattivante. Chris Cooper riesce straordinariamente a regalarci un personaggio a tutto tondo nelle poche scene in cui ci viene presentato. E Carrie Coon fa di Jean Cole non solo un buon mentore per la protagonista, ma anche un personaggio con una propria storia ed esperienza.
Le nostre conclusione su Lo Strangolatore di Boston
Lo Strangolatore di Boston è di certo un film da guardare. A partire dal cast, con Keira Knightley come protagonista, che ci ha fatto immergere nella storia con la bravura di ogni sua componente. Persino i personaggi secondari non risultano piatti, ognuno presenta sfaccettature personali. Il focus sulle due giornaliste è il twist di cui questa storia aveva bisogno, perché Lo Strangolatore di Boston non è un semplice resoconto di un caso che, ancora oggi, rimane irrisolto, ma è una testimonianza sociale, di donne che ottengono risultati al lavoro anche quando tutti intorno tentano di mettergli i bastoni fra le ruote, di non accettare una bugia ma di ammettere che non sappiamo. Questo lungometraggio non solo ha una buona qualità di per sé, ma anche le sue implicazioni etiche e morali sono da tenere in conto nel giudizio complessivo.
Ci aspettavamo forse un po’ più un senso di urgenza, dettato dal tipo di storia e di genere del film. Non aiuta il fatto che spesso Matt Ruskin inquadra l’azione in maniera statica e toglie parte della suspense che dovrebbe esserci. Il film ha un primo atto che attira immediatamente i nostri animi investigativi, e man mano che i casi cominciano ad accumularsi, ci vengono proposte diverse piste. Purtroppo, l’atto finale risulta un po’ sbrigativo e poteva essere gestito meglio. Il direttore della fotografia Ben Kutchins attribuisce alle scene un bagliore scuro verde-grigio, non troppo distante dallo stile visivo di un thriller di David Fincher, ma gli sviluppi della trama non si combinano bene con questa scelta. Se volete rimanere aggiornati sulle notizie dal mondo del cinema, degli anime, dei manga, dei videogiochi e molto altro, unitevi al nostro canale Telegram e continuate a seguirci sui nostri canali social Instagram, Facebook e TikTok e seguiteci su Kaleidoverse e sul nostro canale YouTube.
Cercare di seguire i colpi di scena della vera storia dello strangolatore di Boston come ci presenta questo film può essere un po' inutile, dal momento che c'è una comprensione da parte dello spettatore della vicenda. Di certo non aggiunge suspense il ritmo, le scelte di inquadrature quasi statiche e un bagliore grigio-verde permanente in tutta la durata del film, che danno l'idea di esserci un omicidio in ogni scena. D'altro canto, l'approccio di un punto di vista giornalistico e femminile dona un tocco originale alla storia. Lo Strangolatore di Boston non punta solo a raccontarci la storia di un serial killer per appagare gli animi affascinati da questi aspetti più morbosi della psiche, ma ci presenta davanti diversi temi sociali che possiamo trovare anche piuttosto rilevanti nel contesto contemporaneo. Anche le performance del cast, con una Keira Knightley protagonista e la sua spalla interpretata da Carrie Coon che ci trasmettono una forza e un coraggio indimenticabili e i personaggi secondari non sono solo sfondi sfocati, ma sono caratterizzati in modo eccelso. Direi che i difetti che può presentare questo lungometraggio sono ben superabili e che la visione è fortemente consigliata.