Ogni volta che esce un’opera dedicata alla trasposizione di un romanzo sul grande schermo ho sempre un brivido. Dovete comprendermi, sono uscito martoriato emotivamente dallo stroncamento della Bussola d’oro e di Eragon. Il piccolo me è, ahimè, scettico quando si tratta di realizzare imprese di questo livello, specialmente in casi come questo. Il primo film dedicato a Dune ha l’obbligo morale e artistico di iniziare un ciclo di successo, spianando la strada al sontuoso racconto di Frank Herbert. Un compito che trova nelle esperti mani di Denis Villeneuve – che forse ricorderete per Blade Runner – modo per realizzarsi in tutta la sua baldanza.
Il titolo, per come è strutturata l’opera originale, merita una trasposizione di tutto rispetto e ha bisogno di attingere dal cinema di qualità per esprimere la sua poetica. Erano molti anni che non assistevamo all’alba di una saga attesa da un pubblico così devoto e l’asticella dell’attenzione è decisamente ambiziosa. È il Dune di Villeneuve la vera rivelazione del cinema d’avanguardia o solo una creazione buona, ma dimenticabile? Senza indugio scendiamo nei meandri della recensione e vi ricordo che potete da subito andare al cinema per gustarvelo, magari in compagnia.
Dune: la spezia e la brama della conquista
Siamo lontani nel tempo e nello spazio. La trama ci proietta di migliaia di anni avanti a noi, in un futuro distopico, ma plausibile. Sembra che l’umanità abbia allargato i suoi orizzonti, allungando la mano sull’universo. A gestire il potere in questa realtà così impegnativa è l’Impero, una forma di governo che è l’eco dei dettami del feudalesimo. L’imperatore affida difatti ai agli esponenti delle casate più nobili e valorose, il compito di gestire gli scorci dell’universo. Tra questi vi è il pianeta di Arrakis, meglio noto come Dune. Esso è un landa praticamente inospitale, se non con il giusto equipaggiamento, ammantata da un deserto rovente e brulicante di vermi divoratori. Come mai un posto del genere merita l’attenzione e la dedizione del sacrificio reale? Beh, mescolata alla sabbia vi è quella che viene definita “spezia”: un elemento raro e ambito da tutti. I suoi benefici oscillano tra poteri sovrannaturali e l’utilizzo della stessa come carburante per i viaggi spaziali.
È letteralmente il materiale più pericoloso e duttile di tutta la galassia. La sua vendita ed esportazione ha permesso per anni alle casate di trarre enormi benefici, divenendo platealmente ricche e minacciose. La devozione all’Imperatore è l’unica cosa che ad ora ha tenuto tutto in silenzioso equilibro. In questo miasma di bramosie e subdoli giochi di potere, il duca Leto Atreides riceva l’incarico più onorevole e pericoloso della sua esistenza: prendere le redini dell’estrazione di spezia su Arrakis. Non si tratta solo di una condanna velata per l’arduo stile di vita del pianeta e la presenza di un popolo non incline a barattare la libertà con la sudditanza, ma un strategia di indebolimento. Il popolo del duca è indomito e pieno di soldati d’élite, ma probabilmente non visto di buon occhio per l’equilibrio del sistema piramidale. Così Leto parte per la spedizione con il figlio Paul, la concubina Jessica e i suoi fedeli generali, cosa potrebbe andare storto?
Dune e la guerra santa
L’intelaiatura narrativa poggia le basi su un tono solenne e sacrale, come se fosse un poema epico d’altri tempi. L’aria che si respira non è solo gonfia di spezia e ineffabile fantascienza, ma si ode quasi le teatralità epica tipica di film come Le Crociate o 300. In fin dei conti l’opera può trovare diversi parallelismi con le spedizioni dei cavalieri templari e le cascate di sangue sgorgate in nome della guerra santa. La spezia è considerata come materia divina, che può essere barattata in un qualunque peso di vite umane. Si respira l’atmosfera del struttura feudale, ma vi è anche un curiosità intrinseca sulle popolazioni che sfuggono dalla rete politica dell’Impero. Dune è una sorta di poema epico ambientato nel futuro, in cui però vi sono gli echi di una fantascienza oscura e sfrenata, che ha allargato i nostri orizzonti. Un’ultima guerra santa per il dominio dell’universo è ora alle porte.
Come ogni gloriosa epopea ci vogliono degli eroi da decantare per gesta e virtù, e il cast scelto è la prova che questo è stato pensato. Timothée Chalamet, Rebecca Ferguson, Zendaya, Oscar Isaac, Josh Brolin e molti altri attori di spessore sono le colonne portanti della pellicola, veri fari di carisma in questo deserto di contraddizioni. Una squadra eterogenea e che volge lo sguardo a un pubblico esigente di età diverse, ma che cerca sempre di bucare lo schermo della memorabilità. Laddove si cerca di dare ai protagonisti ampio respiro per pervadere le scene, non vi è la giusta attenzione alla costruzione narrativa.
Lo ricorderemo ancora tra qualche mese?
Nei rudimentali della sceneggiatura e della scrittura creativa si discute spesso dell’esigenza di adornare i beniamini con dettagli memorabili e un solido background emotivo. In ambo i casi, la profondità della compagine è spesso superficiale e affidata a un’eccessiva sicurezza del reparto artistico. Gli attori sembrano sempre sotto i riflettori di una passerella e, anche se si ricerca di evocare l’epicità scenica, non ci si affeziona a loro. La colpa registica, se così cinicamente volessimo definirla, risiede in una sorta di opulenza nella scelta dei piani sequenza, resa arida dalla mancata gestione dei tempi narrativi. L’esigenza di far metabolizzare allo spettatore le dinamiche politiche e sociali dell’Impero e la ruggente ambientazione di Dune, ha dato vita a un’alchimia incerta e confusa. Si punta alla spettacolarizzazione e al coinvolgimento scenografico, ma non riuscendo a condensare bene la complessità dei personaggi.
Il minutaggio e la resa cinematografica hanno probabilmente ghigliottinato tempo e risorse a disposizione per poter approfondire dinamiche rilevanti, ma non va bene neanche così. Quando si ha tra le mani una saga di proporzioni mastodontiche, non puoi puntare tutto sull’estetica, senza forgiare un legame emotivo tra eroi e spettatori. Il rapporto potrebbe non risultare così duraturo come ci si potrebbe aspettare ma, confidando che avvenga l’opposto, mi aspetto che possano distendere alcuni legami appena accennati nei capitoli successivi.
Sappiamo veramente poco per poter dosare il giusto metro di giudizio su tutti i membri dell’Impero o sulle usanze che lo rendono così affascinante. Serve più sostanza. La fotografia e i costumi sono, invece, dimostrazione di Grande Cinema: una prova di forza titanica ed esuberante, che vi farà sgranare gli occhi in più occasioni. Ammirare le tute dei combattenti o del popolo di Dune e contemplare il lento e melodico volteggiare della sabbia nella natura indomabile, sono i vari regali di questa creazione. Villeneuve ha dimostrato di essere ancora una volta capace di dar vita ad universi immaginifici di livello, che rasentano l’onirico in ogni loro forma, ma che sanno anche incuriosire nella loro spavalda semplicità. Un calderone complesso e zampillante di creatività, in cui la mano invisibile del regista ha un peso specifico unico e, talvolta, opprimente. Impossibile non rimanere incantata dalla certosina ricostruzione di quegli scorci che, fino a qualche settimana fa, erano incatenati alle sole ruvide pagine di un romanzo e ai nostri sogni.
Nel complesso Dune è un’altalenante ostentazione di Grande Cinema, nella sua magnifica imperfezione. La mano soffocante di Villeneuve è sempre presente e dividerà per forza di cose il pubblico, ora per un’eccessiva dose di vacua teatralità, ora per un’estasiante resa scenica. Dune va visto, contemplato e rivisitato, magari partendo proprio dalle pagine del romanzo, così da odorarne la complessità artistica. Se da un lato la pellicola rende gloria alla poetica sopita sotto una patina si fantascienza, dall’altra non è stata capace di affondare il colpo sul versante della memorabilità. Il cast, azzeccato e stellare, brilla di luce riflessa, purtroppo senza mai tessere un vero rapporto con lo spettatore. Non si tratta di banale velleità, ma mancanza di ritmo e di una superficiale costruzione del background emotivo dei protagonisti. Confido su questo punto che il prossimo capitolo possa dettare i giusti tempi per cementarne la complessità psicologica e, quindi, esaltarne l’unicità. Al di là del mancato coinvolgimento, il film riesce a stregare la sala tra un sublime comparto di costumi e una sferzante fotografia scenica. Non solo queste due meritano un plauso, ma secondo me proprio dei premi. Nella sua assurda complessità e nell’edace bisogno di osare sul fronte della spettacolarizzazione, Dune merita di essere visto, raccontato e vissuto. Speriamo che sia l’incipit degno di una saga dalle prospettive storiche.