Il punto di forza principale della serie Netflix Lost In Space è sempre stato il tema della famiglia, e anche la stagione 3 (l’ultima), non torna sui suoi passi. Quando i Robinson sono a rischio, separati, o in uno stato tra il dibattito e la confusione, l’opera trova il giusto posto nel mondo per eccellere. Non sorprende dunque come gli scrittori abbiano optato per mantenere la linea tracciata nei due precedenti capitoli anche per il conclusivo. E, soprattutto, credo onestamente che la scelta di concluderla qui, senza ulteriori stravolgimenti, sia una decisione egregia. Bisogna entrare nell’ottica di essere spettatori di un’esperienza familiare, più che di uno spettacolo di fantascienza. La terza stagione tratta il tanto atteso viaggio verso Alpha Centauri, soprannominata “la nuova casa” dai Robinson e tutti i membri dell’equipaggio partito dalla Terra.
Lo straziante finale della stagione 2 aveva visto i genitori costretti a separarsi dai ragazzi, dopo l’attacco da parte dei robot, in quanto era l’unico modo per riuscire a tenerli al sicuro. Infondo, nessun genitore spera di sopravvivere ai propri figli, nemmeno quando si sta cercando di raggiungere un pianeta a chissà quanti anni luce dal nostro. La stagione 3 di Lost In Space porta a schermo le conseguenze di quella decisione tramite un salto nel futuro di un anno, con i ragazzi che hanno trovato una maniera per arrivare ad Alpha Centauri mentre ospiti di un pianeta parzialmente morto. Nello stesso periodo gli adulti sono immersi dall’altra parte dell’Universo nella lotta per la sopravvivenza contro la SAR. È una premessa più che allettante per i fan dello show, il quale parte con l’idea di concludere su di una nota altissima. Rimangono comunque persistenti delle pecche presenti già negli scorsi capitoli. Abbiamo ancora un problema di scrittura, assieme a un collegamento contorto da una scena all’altra. Non da meno bisogna constatare come la stagione 3 di Lost In Space cerchi di martellare il maggior numero possibile di punti aperti nella trama, lasciando troppe risposte da dare al finale. Tuttavia, a questo punto, siamo così riscaldati nell’animo dallo sviluppo dei personaggi dal poter perdonare qualche svista. I cardini che caratterizzano la famiglia Robinson sono presenti, e solo questo importa davvero.
Il calore familiare come chiave
Ciascuno dei Robinson porta in tavola un diverso insieme di abilità. La matriarca Maureen (Molly Parker) è un geniale ingegnere e matematico che ha aiutato a progettare le navi della colonia, mentre suo marito John (Toby Stephens) è un Navy SEAL. La figlia maggiore Judy (Taylor Russell) è una stagista del primo anno di medicina nonostante abbia soli 18 anni, dopo aver accelerato la sua formazione in preparazione per il viaggio verso Alpha Centauri. La figlia di mezzo Penny (Mina Sundwall) è una scrittrice di talento, ma dal momento che non è molto utile in uno scenario di sopravvivenza, serve principalmente come contrappeso impulsivo al rigido pragmatismo della sua famiglia. Il più giovane, Will (Maxwell Jenkins) condivide il talento di sua madre per le scienze, ma assume un’importanza tutta sua nel momento in cui salva uno dei robot ostili da una situazione mortale, guadagnandone fiducia e amicizia. Il Robot diventa il suo supereroe personale, proteggendo la famiglia dai pericoli fisici. Iconica la frase “Danger, Will Robinson“, vero motto ricorrente di Lost In Space anche nella stagione 3.
Mentre il reboot del film del 1998 di Lost in Space ha iniettato un’overdose di angoscia appartenente a coloro che oggi hanno tra i 20 e i 25 anni nei Robinson, la dinamica familiare della serie Netflix è piacevolmente funzionale. I conflitti all’interno della famiglia esistono, ma non esplodono mai in iperboli melodrammatiche stile teen drama “ti odio, papà!“. Ogni personaggio ha un bagaglio legato alle proprie origini, ma non sono antagonisti l’uno dell’altro. L’impegno di John nella sua carriera militare ha aumentato la distanza fisica ed emotiva tra lui e gli altri prima della loro partenza dalla Terra, e deve riparare ciascuna delle relazioni trascurate. La figlia di mezzo Penny è l’unica dei suoi fratelli che sembra interessata a svolgere una vita consona per la sua età e lotta per sentirsi adeguata in una famiglia di geni. L’ammirazione di Judy per i suoi genitori l’ha portata a stabilire standard impossibili per sé stessa, lasciandola in balia di un timore assoluto del fallimento. I Robinson sono indirettamente la fonte dei problemi reciproci, ma anche la loro soluzione, e si dedicano ferocemente l’uno all’altro. Questo fa parte di ciò che rende Lost in Space uno show così piacevole, nonostante i suoi protagonisti siano in pericolo quasi costante.
Gran parte di quel pericolo, e del conflitto della serie, appartiene alla categoria umani contro tecnologia e natura, Insomma, si passa da anguille aliene affamate di carburante spaziale, a virus capaci di degradare il metallo con una semplicità devastante. Di fatto I momenti più elettrizzanti di Lost In Space, stagione 3 o precedenti, arrivano quando i Robinson, assieme a tutti gli altri membri della spedizione, devono trionfare su questi ostacoli naturali attraverso audaci e geniali imprese ingegneristiche. Durante la prima stagione, l’ultima speranza dei coloni di fuggire da un pianeta morente è di stabilire un contatto visivo diretto con la loro nave madre in orbita. La maggior parte del loro carburante è stato divorato da quelle maledette anguille, ed è proprio ciò di cui avevano bisogno per inviare una delle loro navi da sbarco su Giove. La loro soluzione diventa: sventrare Giove da tutti i suoi computer e guidarne il lancio nello spazio da terra come se fosse il 1965. Sia la natura che la tecnologia sono inquadrate come parti uguali, meravigliose e pericolose, e ogni vittoria della seconda è il risultato del duro lavoro dell’essere umano, capaci di crearla e azionarla grazie solo al loro ingegno.
Una visione anacronista
Contrariamente alla narrativa convenzionale, Lost in Space è più interessante nel momento in cui tutti i protagonisti vanno d’amore e d’accordo, collaborando verso l’obbiettivo. Per la terza stagione, i narratori sembrano aver imparato bene questa lezione, incentrando la narrazione sul conflitto tra gli aspiranti coloni umani e l’esercito di robot alieni che li inseguono attraverso la galassia. Le circostanze hanno costretto i sopravvissuti a dividersi per generazione, con Judy Robinson che guida i 97 bambini del gruppo verso “la nuova casa” mentre i loro genitori attirano l’attenzione degli alieni e del loro capo, che i bambini hanno chiamato SAR. Ancora una volta i personaggi umani sono tutti concentrati sul target della sopravvivenza, ma affrontano un avversario portatore di un enorme vantaggio tecnologico. Senza alcuna speranza di sopraffarlo, i protagonisti devono fare affidamento sull’astuzia per evitarli, senza portare l’orda aliena con loro su Alpha Centauri.
I personaggi vengono mescolati liberamente per dare a ogni relazione una possibilità di chiusura. Judy scopre finalmente il destino del padre biologico da tempo perduto, il che la aiuta a ricontestualizzare l’effetto che ha avuto sulla vita di sua madre e viceversa. Penny si ritrova in un triangolo amoroso con l’imbarazzante ex non-fidanzato Vijay (Ajay Friese) e il blando fusto Liam (Charles Vandervaart), ma questo serve solo ad agire come sfondo nel suo personalissimo percorso di crescita personale, che la porterà ad acquisire finalmente fiducia in sé stessa. Maureen e John affrontano la separazione dai loro figli, mentre Will e il Robot considerano l’idea di lasciare la colonia alle spalle per fronteggiare SAR da soli. Il figlio più piccolo dei Robinson è il personaggio che è ovviamente cresciuto di più nell’arco delle tre stagioni vista la tenera età, ma a tutti gli altri viene concesso lo stesso grado di attenzione, portando a schermo un miglioramento palpabile in ciascuno, il che si riflette inevitabilmente sulla dinamica familiare. Anche il Robot riesce a completare il suo arco, nonostante risulti un goffo tentativo di rimaneggiare una perla del cinema d’animazione che è Il Gigante di Ferro.
Le nostre conclusioni su Lost in Space 3
E così è. 3 stagioni e 28 episodi di Lost in Space si sono finalmente conclusi. Pur non essendo mai stata una delle serie da copertina di Netflix, è stato uno spettacolo di fantascienza solidissimo, senza pretese e di grande fascino, con l’ultimo capitolo che è riuscito a dimostrarlo con la giusta maestria. Nel corso delle puntate sono riscontrabili degli effetti speciali davvero sbalorditivi, in particolare nella resa dei conti finale tra umani e robot. Insomma, un lavoro in CGI che non farebbe vergognare la bobina finale di un film firmato MCU.
Certo, il dialogo non spicca per brillantezza e Robot generalmente ha avuto più profondità di molti dei personaggi in carne e ossa dello show (un saluto a John Cena, o John Robinson), ma questi tre anni e mezzo sono stati una corsa divertente e capace di donare quel calore familiare quasi assente nel catalogo Netflix. Sebbene il finale non indichi specificamente un sequel o uno spin-off (a parte l’aggiunta di Penny di “Of Chapter One” dopo aver scritto “The End” nel suo libro), sarebbe bello raggiungere i Robinson tra qualche anno, o addirittura decenni, quasi come se si volesse vedere come se la stanno passando dei vecchi amici. L’anima calda e piacevole della serie è una componente mancante nella maggior parte delle opere di fantascienza arrivate sul piccolo schermo ed è anche per questo che Lost In Space ci mancherà, moltissimo. Noi vi ringraziamo per l’attenzione, rimandandovi a Kaleidoverse e al nostro canale Telegram per rimanere sempre aggiornati su film, serie TV, videogiochi e molto altro ancora.
L'iterazione finale della serie fantascientifica targata Netflix Lost In Space era tra i pezzi di copertina di dicembre, se non la perla d'oro del mese natalizio, magari assieme all'ultima parte de La Casa di Carta. Fortunatamente, gli autori hanno deciso di mantenere l'opera sulla stessa riga delle stagioni passate, senza stravolgere un canovaccio perfettamente solido e capace di camminare in autonomia con le proprie gambe, Lost In Space continua a trasmettere quella gioia data dal calore familiare, da un abbraccio di un fratello o di un genitore, nonostante tutti i protagonisti vivano costantemente sull'orlo del baratro per ciò che rimane della specie umana. Le vicende legate alla faida tra robot e umani giungono a una conclusione più che dignitosa, assieme a una mancanza di elementi rimasti appesi e senza risposte. Non è da escludere comunque la possibilità di un possibile spin-off futuro, magari ripercorrendo il passato della minaccia aliena, ma a prescindere da cos'accada, riesco solo a ringraziare i Robinson per avermi e averci ricordato come, magari, possa essere molto più intrattenente una relazione tra persone che si vogliono bene, piuttosto che carichi di diatribe e odio.