Nonostante una varietà più ampia che mai, i videogiochi non hanno su di me lo stesso effetto di una volta. Potrebbe non sembrare un problema per alcuni di voi, ma lo è per me. Fin dai primi giorni nei quali son stato capace di tenere tra le mani un controller, quindi all’inizio del nuovo millennio, ho sempre alimentato questa passione con un fervore crescente. Da bambino ero praticamente dipendente dal Game Boy, e posso ancora ricordare l’eccitazione provata durante lo spacchettamento della molto grigia PS1.
Giocare, nel mio immaginario, era paragonabile alla capacità di respirare. È stata la parte più importante della mia vita da adolescente e alla fine uno dei miei hobby più costosi come giovane professionista. Poi all’improvviso, dopo migliaia di ore trascorse a scandagliare generi e piattaforme, nell’ultimo periodo la noia mi ha colpito duramente per la prima volta in assoluto. Alcuni dei miei titoli preferiti hanno iniziato a darmi l’impressione di essere terribilmente lunghi, finendo col farmi passare più tempo a notare tutti i tropi ricorrenti e le somiglianze a livello di game design tra i vari franchise, piuttosto che a godermi l’atto che, fino a qualche anno prima, era il più naturale possibile.
Ho pensato che fosse solo questione riuscire a trovare l’opera giusta, capace di stimolare nuovamente il mio interesse, ma il tempo ha continuato la sua ascesa inesorabile, e nulla è cambiato. Magari è vero, più responsabilità, problemi e stress accumuliamo nella vita, più perdiamo l’appetito per le cose che ci intrattenevano, videogiochi inclusi. Ma potrebbe esserci qualcosa di più? Infondo, non siamo solo noi a cambiare, ma anche il mezzo si evolve. La tecnologia ha consentito cose che non avrei mai immaginato fossero possibili da bambino, creando addirittura piattaforme completamente nuove e rivoluzionarie. Quindi, i cambiamenti rappresentano solo un caso fortuito in un mare di obiezioni, o sono figli di un processo inevitabile per molti? In sostanza: puoi invecchiare tagliandoti fuori dal mondo del gaming?
Il concetto di ricompensa
Chiariamo, non sopraggiunge quella mattina fatidica nella quale ci svegliamo e, come un’epifania, realizziamo che i videogiochi sono diventati noiosi. Credo si tratti di un processo prolungato nel tempo, il quale alimenta un lungo oblio che sembra voglioso di non renderci troppo partecipi di ciò che sta accadendo. Anche se ciò potrebbe essere dovuto esclusivamente a un calo dell’entusiasmo per alcuni, una spiegazione alternativa è che molti giocatori più anziani, specialmente quando instaurano relazioni a lungo termine, diventano genitori o scalano verso posizioni professionali altamente impegnative, accumulando priorità dispendiose al punto tale dal non avere quasi tempo da dedicare al gioco. E quando si hanno molte altre cose da fare, diventa semplice evitare attività che possono risultare o troppo semplici e noiose, o troppo complicate e quindi frustranti.
Al di là di una semplice questione di tempo, anche il gioco non fornisce necessariamente un senso di realizzazione. C’è una generale mancanza di ricompensa, almeno in termini di come gli adulti interpretano questo stesso concetto. La ripetizione di un’attività che non produce un beneficio visibile può diminuire la sensazione di novità, ed è allora che può colpire la noia. Infrangere record virtuali e superare i tabelloni dei punteggi possono essere obiettivi fondamentali per un adolescente, ma per un giovane professionista un atto capace di produrre un risultato concreto (cucina, pittura, giardinaggio o bodybuilding) può sembrare molto più gratificante. Insomma, arriviamo al punto di ottenere più soddisfazione da una lezione di danza o yoga, che dal videogiocare.
Il confronto generazionale nei videogiochi
Credo sia ovvio come, una volta raggiunta una certa età, venga facile pensare come tenere il passo con le controparti più giovani sia utopia, finendo col disperdere dunque l’interesse verso i titoli competitivi. Il genere strategico, d’altra parte, è uno di quelli capaci di abbracciare persone provenienti da qualunque generazione, ma è in come questa prende piede all’interno delle dinamiche di gameplay dei videogiochi che troviamo il bandolo della matassa. Se siete come me, questo rende un po’ più chiaro il motivo per il quale le compiante opere di generi come il survival horror, le corse, gli sparatutto in prima persona e multiplayer di massa online preferite un tempo sono state sostituite da titoli di strategia in tempo reale, puzzle online e rompicapi.
Quindi, mentre i giocatori più giovani sentono maggiormente vicini ai loro interessi la dinamicità continua, assieme a una rapidità di scelta quasi istantanea, questi tenderanno a preferire un approccio più strategico al videogioco nel momento in cui le altre preferenze, col tempo, verranno meno. Il risultato di quest’analisi risiede nel semplice riscontro di come un player più in là con gli anni sia più entusiasta di prendere un’attenta decisione nata da una profonda pianificazione, visto come corrispondi al modo in cui affronterebbero una situazione analoga (in termini di responsabilità) nella vita reale. Prender tempo prima di compiere una certa azione giunti a una certa età è fondamentale, in quanto le conseguenze spesso non rimbalzano solo su noi stessi. E allora, proprio come quando da adolescenti abbiamo la testa leggera, riuscendo dunque ad apprezzare maggiormente un certo tipo di gameplay, è conseguente come all’aumentare delle responsabilità cambi il modo in cui ci rapportiamo al videogioco.
Allora, il mio destino è segnato? La maggior parte dei titoli diventano semplicemente noiosi a partire da una certa età? A quel punto, non sei più un giocatore? Al di là delle etichette e dell’autoidentificazione, il divertimento tratto dall’atto naturale del gioco non ha nulla a che fare con fattori come gli anni, il sesso o la nazionalità. Invece, la realtà sembra semplice dopo aver aguzzato un attimo la vista: una volta raggiunta una certa maturità, non siamo più il pubblico di destinazione principale che la maggior parte degli sviluppatori ha in mente. E poiché il nostro tempo, la nostra attenzione e i nostri pensieri hanno altre esigenze, il tipo di esperienze che cerchiamo cambia di conseguenza. La stessa identica cosa probabilmente accade quando si tratta di musica, letteratura, TV e film, ma questo non significa che dobbiamo smettere di ascoltare, guardare o leggere, giusto? La verità è che invecchiamo e cambiamo o forse, giusto per dare agio a un sentore nostalgico, saliamo di livello. Noi vi ringraziamo per l’attenzione, rimandandovi a Kaleidoverse e al nostro canale Telegram per rimanere sempre aggiornati su film, serie TV, videogiochi e molto altro ancora.