Sapere che un videogioco viene adattato in qualcos’altro non fa più stupore. Certo, sono anni che accade (basti pensare al franchise di Resident Evil, o di Silent Hill). Eppure, nell’ultimo periodo c’è stata una nuova ondata di interesse in questo senso: basti pensare a The Witcher, ad Halo e (ancora) a Resident Evil. Possiamo pensare anche a DOTA: Dragon’s Blood in questi termini… ma sicuramente migliori; la serie anime prodotta da Netflix si basa su DOTA 2, videogioco sviluppato da Valve, e la stagione 3 è uscita l’11 agosto 2022.
A differenza delle serie che abbiamo citato, DOTA ha avuto un percorso piuttosto rapido. Nel giro di un anno (più o meno) sono state prodotte tre stagioni, organizzate in tre libri. Le prime due hanno riscosso pareri positivi sia da parte dei fan del franchise videoludico che dagli amanti degli anime, e pensiamo che l’arrivo della terza stagione non sarà da meno. Il lavoro di Miller – autore della serie – ci ha portati a quello che potrebbe essere l’ultimo capitolo della storia dell’universo di Davion e compagni. Ma andiamo con ordine.
La trama di DOTA: Dragon’s Blood
Il mondo di DOTA è classicamente fantasy: elfi, umani, draghi e divinità lo popolano in varia misura, dipingendo un quadro variopinto e misterioso. È su questa tela che iniziamo a seguire le avventure di Davion, cavaliere dragone coraggioso e rispettoso delle sue prede. Durante una sua caccia, però, la sua vita muta irrimediabilmente. L’incontro con Slyrak, un drago anziano, lo getterà in una situazione che va molto al di là di lui. A complicare le cose arriva poi il suo incontro con la principessa del nulla, Mirana, in missione segreta per la sua dea Selemene. Questo è solo l’inizio di una storia che nella sua semplicità svela dolore e complotti, portando i nostri personaggi ad azioni sempre più drastiche.
La seconda stagione ci aveva lasciati con un sospiro di sollievo carico però di tristezza. Mirana si rivela essere una vera e propria dea mentre Davion, che sembrava sul punto di morire, si libera dal fardello di Slyrak. Abbiamo però dovuto salutare Marci, Lina e Auroth, morte a causa delle oscure macchinazioni di Kashurra. Ristabilito quindi un ordine – seppure molto fragile – in un mondo caotico e carico di tensioni tra umani, elfi e la dea della Luna Selemene – si ritorna a pensare a quella che ci era stata presentata come la minaccia principale dell’universo intero: Terrorblade, un demone che come obiettivo aveva quello di riplasmare l’universo a sua immagine.
Il terzo libro conclude una trilogia?
La stagione 3 di DOTA: Dragon’s Blood ritorna a concentrarsi su Terrorblade e sull’Invocatore, che alzano la posta in gioco portando i personaggi all’esasperazione. Si ritorna prepotentemente ai draghi, pilastri dell’universo che non devono essere spostati, per non far crollare tutto. E, in un clima di tensione sempre crescente, si arriva al punto dello svelamento. Ancora una volta, l’Invocatore ha giocato una partita doppia, che avrà conseguenze devastanti sull’intero mondo di DOTA.
Se il primo episodio è forse quello più luminoso e spensierato, gli altri tengono in bilico lo spettatore sulla cima di una vetta che da una parte dà disperazione e dall’altra speranza, in un equilibrio che diventa sempre più precario. La vetta si sgretolerà, alla fine, facendoci precipitare in mezzo a queste due forze, che ci investiranno entrambe in pieno come onde altissime, lasciandoci senza fiato e disorientati alla ricerca di un nuovo appiglio. Il percorso dello spettatore non è dissimile da quello dei singoli personaggi, che dovranno compiere scelte difficili e molto spesso irreversibili per aggiustare le cose e non farle andare definitivamente in malora.
Un orologio che non ha le lancette
Per molti versi la stagione 3 di DOTA: Dragon’s Blood potrebbe essere l’ultima. Non lo diciamo perché siano state divulgate informazioni a riguardo, ma per via di quello che effettivamente accade nel corso della serie. Essendo, infatti, stata suddivisa in libri, non possiamo non pensare che il libro 3 di DOTA rappresenti quello finale di una trilogia. Questo, però, non significa necessariamente che la serie sia conclusa: ci sono più elementi che lasciano degli spiragli aperti per eventuali futuri sviluppi, soprattutto nell’ultimo episodio.
Lungi dal voler fare spoiler, vorremmo comunque parlare di quelli che sono, secondo noi, i punti salienti di questa nuova stagione. Come abbiamo già detto, infatti, ritornano centrali alcune questioni che erano state già sollevate in precedenza, che hanno a che fare sì con il destino dell’universo, ma anche con una dimensione più ristretta e personale che sorprende lo spettatore. Lo stupore di chi guarda è tutto per gli eventi passati, che acquistano improvvisamente un’importanza tutta nuova, aprendoci gli occhi di fronte a un dilemma che non avremmo mai potuto immaginare: il passato è davvero così importante in un universo impregnato di magia?
L’atto più potente che si possa compiere
È a questa domanda che i personaggi devono dare una risposta, Mirana in particolare, ma come lei anche Fymryn e un’altra inattesa comparsa che rimescolerà ancora una volta le carte in tavola. Seguendo l’indagine della principessa, costretta a ripercorrere eventi spiacevoli, siamo nostro malgrado portati a rivivere insieme a lei un doloroso pellegrinaggio a cavallo delle infinite possibilità che la vita ci riserva. In particolare, ciò che resta una volta terminata la serie è l’importanza riconosciuta a un sentimento così complesso e indelebile come il dolore, che funge da propellente per manovre magiche azzardate e ragionamenti contorti che però riescono a convincere chi li ascolta.
In DOTA non c’è mai stato posto per il manicheismo, e nell’ultima stagione men che meno lo ritroviamo. Veniamo posti di fronte alle conseguenze di un cuore miseramente infranto che cerca di porre rimedio al proprio strazio riportando indietro le lancette di un orologio che forgia (letteralmente) il mondo dei nostri personaggi in modo nuovo e incompleto. Si è portati a chiedersi quale possa essere il prezzo della felicità e se pagandolo si possa effettivamente ottenere. La risposta che ci danno le conseguenze di questo stravolgimento sono fin troppo chiare: l’universo trova sempre un modo di risolvere le cose e di fare la cosa giusta. A volte, come dirà Selemene nel corso della serie, “Accettare la morte è l’unico vero atto potente dell’universo“.
Tutte le cose belle finiscono
Alla fine, quindi, c’è la morte. È naturale: la fine è una conclusione, il chiudersi di un cerchio che può essere Sole o Luna, o magari nessuno dei due. Da questa stagione emerge un messaggio potente: purtroppo esiste una sorta di contrappasso nella vita, che regola le azioni sottoponendoci a una certa intensità di dolore. Il punto però non è chiedersi il perché di questa sofferenza, bensì lavorare per affievolirla o eliminarla. In merito a questo lavoro ci vengono proposte due strade: la prima porta a una demolizione totale di ogni cosa in favore di una ricostruzione dal niente; la seconda invece parte dalle macerie per ricostruire con delle basi (di qualsiasi tipo esse siano).
La strada che i nostri scelgono di percorrere, alla fine, sarà la seconda: quella del compromesso. Infatti, sarà sempre più chiaro come ricominciare costantemente da capo, partendo sempre dallo stesso punto, sia deleterio e pressoché inutile. Ricostruire a partire da ciò che resta, invece, cercare di contenere un problema invece di puntare subito a una soluzione estrema si rivela essere la scelta più efficace e promettente. Non serve a niente cercare di cancellare il passato per rigenerare interamente la storia, perché questa si ripeterà; ciò che è necessario è accogliere il passato, per quanto doloroso esso possa essere, e costruire il futuro traendone insegnamento.
Le nostre conclusioni su DOTA: Dragon’s Blood 3
Siamo dell’idea che questa stagione 3 di DOTA: Dragon’s Blood possa rappresentare al meglio la chiusura di un arco narrativo che ci ha emozionato e che abbiamo particolarmente amato. Non ci illudiamo che questa sarà però la fine: troppi indizi si accumulano creando un finale aperto che potrebbe essere ripreso e approfondito, donandoci altre meravigliose avventure nell’universo di DOTA. Non possiamo fare altro che attendere pazientemente ulteriori sviluppi da parte di Netflix e sperare per il meglio.
Speriamo che abbiate apprezzato questa recensione. Se è così, vi invitiamo a continuare a seguirci qui su Kaleidoverse e sulle nostre pagine social, dove pubblichiamo articoli e contenuti su anime, manga, cinema, serie TV e videogiochi. Potete restare aggiornati sulle ultime novità anche iscrivendovi al nostro canale Telegram, mentre se desiderate parlare con noi di quello che vi piace potete farlo entrando a far parte dei nostri gruppi community, su Facebook e Telegram.
La stagione 3 di DOTA: Dragon's Blood riconferma la bellezza e la spettacolarità della serie anime Netflix. Immerso in un mondo fantasy disegnato con linee particolareggiate e ben equilibrato agli effetti della CG, lo spettatore ha la possibilità di seguire ancora una volta le avventure di Davion e dei suoi alleati, che ritornano a occuparsi di una faccenda rimasta in sospeso fin dall'inizio della serie. La conclusione non è affatto scontata e lascia un profondo sapore agrodolce in bocca, creando un ponte ottimistico che collega il passato con il futuro.