È giusto che Christopher Nolan utilizzi i minuti iniziali di Oppenheimer per evocare il mito di Prometeo, il leggendario titano che rubò il fuoco agli dei per darlo all’umanità, finendo però per subire terribili conseguenze. Dopotutto, il film è un adattamento della biografia vincitrice del premio Pulitzer American Prometheus di Kai Bird e Martin J. Sherwin. Ma nell’allusione della direzione rispetto al materiale originale abbiamo molto più di un singolo cenno.
Oppenheimer, il Prometeo americano
Per lo stesso regista, il paragone con Prometeo è un avvertimento a ciò che stiamo per vedere, L’annuncio di una tragedia tipicamente americana che è radicata nella realtà, ma anche mitica per portata e ambizione. In altre parole, è Nolan che decide di provarci, oscillando oltre i normali confini in un modo che nemmeno lui aveva mai fatto prima. Quello che segue è forse il suo sforzo cinematografico più coscienzioso e appassionato, un’opera fragorosa e pesante, capace quasi di sbattere lo spettatore contro il muro di fondo, durante la visione in sala.
Come ha spesso fatto nel corso della sua carriera, Nolan adotta un approccio non lineare alla storia, raccontando qui la vita e il lavoro di J. Robert Oppenheimer (Cillian Murphy), il padre della bomba atomica, dalla voce pacata e intensamente brillante anche nel doppiaggio di Simone d’Andrea. Il film rimbalza con precisione e grazia tra i momenti cruciali della vita di Oppenheimer, dal giorno in cui incontrò la sua futura moglie Kitty (Emily Blunt) al suo arrivo all’Institute for Advanced Study di Princeton fino, ovviamente, al lancio del Progetto Manhattan dal quale verrà data alla luce la prima arma nucleare del mondo.
Lungo la strada, incontriamo molte figure che lo sostengono e sfidano, da una giovane donna di nome Jean Tatlock (Florence Pugh) a un manovratore di Washington D.C. di nome Lewis Strauss (Robert Downey Jr.). Quest’ultimo più vicino al viaggio personale di Oppenheimer di quanto possa rendersi conto.
Reazione a catena
Lo scopo di tutto questo intreccio, tra i giorni da studente di Oppenheimer e le udienze sulla sicurezza che misero alla prova la sua reputazione negli anni ’50, non è solo quello di dare a Nolan l’opportunità di giocare con certe simmetrie nella vita del fisico, nonostante venga trovato anche il tempo necessario ad analizzarle.
Invece, c’è una sorta di dettaglio scientifico nel modo in cui il film sceglie di esprimere questi momenti in un certo ordine. Lascia la sensazione che ottenere la giusta combinazione scatenerà una reazione a catena nel pubblico. Per Oppenheimer, che vede la composizione del mondo in un modo che nessun altro vede, un incontro casuale negli anni ’20 potrebbe cambiare il mondo negli anni ’40, per poi condannarlo negli anni ’60. Grazie a quest’ansia costante, la resa della sceneggiatura è splendida, rendendo tutto questo saltare tra varie linee temporali più che un semplice espediente narrativo.
Ma Nolan non riesce a tenere l’asticella altissima da solo. Ha tutto l’aiuto di un team di collaboratori che danno il meglio di sé. Dalla splendida cinematografia di Hoyte van Hoytema, che cattura tutto, dalla neve del New Mexico alle udienze del Senato in bianco e nero, con potenza bruciante, alla colonna sonora violenta e implacabile di Ludwig Göransson.
Poi, ovviamente, c’è il cast, guidato da una performance straordinariamente controllata di Murphy nel ruolo del protagonista. Il suo Oppenheimer è un calderone in costante ebollizione. Non solo di genialità, ma di indecisione unita all’idea che, nonostante tutti i discorsi sul suo eroismo e sul suo genio, potrebbe non essere effettivamente una brava persona. A un certo punto, mentre riflette sul suo posto nel mondo, afferma che la sua brillantezza gli permette di farla franca con molti dei suoi difetti.
È una delle chiavi di lettura maggiori dell’opera e Murphy mantiene quel tono costante. Al suo fianco, Downey Jr. realizza uno dei suoi lavori migliori. Pugh e Blunt sono presenze meravigliose e Matt Damon interpreta un ruolo capace di rubare la scena, quello del capo militare del Progetto Manhattan, il generale Leslie Groves.
Un insieme di meccanismi che si incastrano perfettamente
Però Oppenheimer non merita di esser visto solo per la massiccia presenza di star. C’è anche da ammirare come Christopher Nolan abbia deciso di ricreare una delle esplosioni più famose della storia dell’umanità. Il regista costruisce in maniera esemplare l’attesa attorno a questo momento cardine della pellicola.
Grazie alla colonna sonora di Göransson e al montaggio magistrale di Jennifer Lame, il Trinity Test nel deserto del New Mexico arriva lentamente. Permettendo così al peso del momento di depositarsi sugli attori e sul pubblico. Come se volesse avvolgere tutti in un velo, con garbo. Poi, in un istante, tutto viene strappato via in una delle sequenze più abbaglianti, immediatamente iconica. Forse la migliore che avremo modo di ammirare quest’anno al cinema.
Le nostre conclusioni su Oppenheimer
J. Robert Oppenheimer era un ammasso di contraddizioni. Era innegabilmente brillante, ma poteva essere distante ed egoista, spesso per sua stessa ammissione. Era in grado di comandare una stanza di studenti o colleghi, ma crollava di fronte alle crisi personali. Alla fine è stato uno dei creatori più riconoscibili del XX secolo, ma anche uno dei suoi distruttori.
Nolan avrebbe potuto inquadrare il suo film attorno a una qualsiasi di queste contraddizioni. Aggrapparsi a qualcosa per portare avanti la narrazione per tre ore. Invece, si avvicina e si rivolge a tutte le versioni del protagonista, raccontandoci il bene e il male di Oppenheimer. E lo fa in modo dinamico: se in una scena sarà inevitabile fare il tifo per lui, nella successiva ci si chiederà se si è deciso di puntare sul cavallo sbagliato.
È un notevole esercizio di equilibrio narrativo, reso ancora più impressionante dalla pura qualità mitica della storia di un uomo che prese il comando di forze primordiali e incomprensibilmente distruttive, per poi passare il resto della sua vita crollando sotto il peso di ciò che aveva fatto. Per tutto questo e molto altro, Oppenheimer merita il titolo di capolavoro.
È il miglior film di Christopher Nolan finora, un passo avanti verso un nuovo livello per uno dei migliori registi di tutti i tempi, con un’opera capace di rimanere impressa nel cervello dal momento in cui, nella sala del cinema, si spegneranno le luci. Noi vi ringraziamo per l’attenzione, rimandandovi a Kaleidoverse e al nostro canale Telegram per ulteriori aggiornamenti su film, serie TV, videogiochi, e molto altro ancora.
Per quella che, assieme a Barbie, era la pellicola più attesa del 2023, era inevitabile partire con delle aspettative altissime. Non c'è dubbio, fortunatamente, che a seguito della peggior opera realizzata da Nolan (Tenet), ci si dovesse aspettare una risalita vigorosa. E così è stato. Oppenheimer è risultata come una gemma nella filmografia del regista, il quale si è mostrato capace di gestire anche una storia tanto delicata come questa nel miglior modo che si potesse immaginare. Il film è roboante, capace di non lasciare mai lo spettatore con la schiena poggiata alla poltrona del cinema, lanciandolo tra le varie linee temporali senza mai farlo sentire scoraggiato. Tutto ha un collegamento, le informazioni vengono distribuite con calma per poi abbandonare chiunque stia guardando a riflessioni morali sostanziose nei momenti più ricchi di pathos del film. Insomma, bentornato Christopher.