My name is Loh Kiwan è un film di genere romantico-drammatico che vede come protagonista un ragazzo nordcoreano. Il film trasporta il romanzo scritto da Cho Hae-jin direttamente su Netflix con la regia di Kim Hee-jin. La storia raccontata è un rollercoaster di emozioni che spaziano dal drammatico al romantico passando anche per la tragedia. Il cast è composto da attori non del tutto sconosciuti. Loh Kiwan è interpretato da Song Joong-ki già noto per il ruolo di Vincenzo nella serie Vincenzo. Jo Han-chul, Yoon Seong, lo abbiamo già incontrato in La creatura di Gyeongseong. Lo stesso Jo Han-chul lo troviamo insieme a Sang Hee-lee e Kim Sung-ryung nel film Believer 2. Detto ciò andiamo avanti con la nostra recensione di My name is Loh Kiwan.
Essendo tratto da un romanzo il titolo potrebbe risultare alla maggior parte delle persone poco conosciuto. Complice il fatto che in Italia non è mai arrivato, ma è possibile leggerlo in lingua originale per chi è capace. Avendo però una trama coinvolgente ed accattivante potrebbe saltare all’occhio dei lettori più attenti. Ciò che viene narrato non è un argomento da tutti i giorni o perlomeno il come viene trattato. Andiamo a scoprire insieme cos’è successo al nostro Loh Kiwan proseguendo nella lettura di questa recensione.
Un viaggio inaspettato
Il nostro protagonista vive insieme alla madre in Cina come disertori della Corea del Nord. Mentre la mamma si impegna nel lavoro e cerca di non farsi scoprire Loh si caccia nei guai e infatti è ricercato dalle forze dell’ordine. Ad aiutarli c’è lo zio Eun Cheol (Seo Hyun-woo) il quale, dopo che Loh è stato scoperto dalla polizia, li aiuta a fuggire. Un evento imprevisto mette fine alla fuga della mamma che viene accidentalmente investita da un furgoncino. Le ultime parole rivolte al figlio sono di incoraggiamento ad andare avanti e di vivere. Parole che in un primo momento lasciano di stucco il nostro Loh ma che dopo riverberano nell’animo del nostro protagonista. Eun venderà il corpo della madre all’ospedale della città per poter pagare il viaggio verso la salvezza di Loh. All’inizio non prende bene questa notizia ma lo zio, ricordandogli le parole della madre, lo fa ragionare.
Arrivato in Belgio inizia la sua avventura in un nuovo paese, senza sapere una parola d’inglese e con pochi soldi a disposizione. L’incontro con Ma Ri (Sung-eun Choi) darà inizio a un concatenamento di eventi volti a rendere difficile la vita del nuovo arrivato. Il furto del portafoglio da parte di Ma Ri porterà Loh in una situazione spiacevole dato che, al suo interno, c’erano tutti i soldi che gli rimanevano. Con grande difficoltà riesce a recuperarlo e instaura con Ma Ri un rapporto di amicizia e successivamente d’amore. Ma Ri ha però un passato oscuro legato alla droga e il rapporto con un uomo della malavita. Loh è costantemente impegnato nel processo che deciderà se sarà ammesso in Belgio. Difatti è stato scoperto che è entrato nel paese illegalmente e non viene creduto sul fatto che è lì per cercare asilo politico.
Dalla tristezza all’amore
L’incontro casuale tra Loh e Ma Ri potrebbe non essere stato del tutto casuale. I due infatti sembrano destinati a passarne di cotte e di crude per poi finire ad amarsi. Il loro rapporto, iniziato nel peggiore dei modi, finisce con un lieto fine del tutto inaspettato. Il film ha quel sentore di essere diviso in due parti ma non in maniera netta. Lungo le due ore e un quarto abbiamo infatti il passaggio graduale da una situazione difficile e triste ad una di felicità e amore. La gestione di questa transizione è fatta a regola d’arte perché viene accompagnata lentamente facendo vedere ogni minimo dettaglio. Questo passaggio non è solo emozionale ma anche ambientale passando da atmosfere cupe a luminose come si passa dal giorno alla notte. La scena finale, l’abbraccio di Loh e Ma Ri, è un quadro dipinto all’alba dove i due mostrano il loro grande amore.
Oltre alla storia d’amore c’è anche una denuncia sociale e politica. La difficoltà di chi richiede asilo politico è palese all’interno del film ma la realtà non è tanto lontana. Aggiungiamo il fatto che chi è immigrato è colpito da odio, razzismo ed emarginazione rendendo il tutto ancor più difficile. Per fortuna il nostro Loh aveva una mamma che lo ha cresciuto con tanto amore e con un carattere forte. Non si fa opprimere e combatte a testa alta l’ondata di comportamenti scorretti che lo hanno colpito ma mai affondato. Mettendoci nei suoi panni o nei panni di chi vive realmente questa situazione ne saremmo capaci?
L’amore come forza motrice
In tutto questo possiamo affermare che l’amore è la forza motrice che anima Loh. Prima quello di sua mamma che lo esorta ad aspirare ad una vita migliore. Successivamente quello per Ma Ri lo farà andare avanti senza mai mollare e combattere per i suoi diritti. D’altronde sappiamo benissimo che ciò che stiamo sottolineando è una cosa ovvia ma spesso dimentichiamo quanto sia fondamentale per noi questo sentimento. In questo film non è il sentimento principale ma rimane latente fino a quando non rifiorisce con Ma Ri. La grande forza che fa compiere le azioni di Loh è data dall’amore che sua mamma ha donato a lui in tutti quegli anni. Anche lo zio prova amore verso il nipote salvando Loh dal suicidio non appena sa che il corpo della mamma è stato venduto.
Non c’è solo amore all’interno del film ma anche odio, tradimento e vendetta. Loh infatti viene tradito dalla sua collega durante il processo testimoniando il falso. L’odio è presente non in maniera evidente ma è sottointeso. Questo sentimento esce fuori in una scena dove la vittima è Kiwan ma diventa accidentalmente il carnefice solo perché straniero. L’uomo che ha in pugno la vita di Ma Ri nutre invece sentimenti di possesso verso di lei. Altro sentimento che ha quest’uomo è di vendetta verso un malavitoso olandese. Questi sentimenti sono gestiti in maniera equilibrata con prevalenza di alcuni sugli altri ma solo in determinate scene.
Le nostre conclusioni su My name is Loh Kiwan
La storia raccontata può risultare pesante da seguire tutta in una volta ma, passato lo scoglio iniziale, si arriva tranquillamente alla fine. Il film parte lento molto lento e solo da metà film ingrana la marcia per un ritmo più sostenuto. C’è costanza nella narrazione e a livello interpretativo c’è un grande lavoro fatto da Song Joon-ki. Si è calato perfettamente nella parte facendoti vivere il film nei suoi panni. Purtroppo il discorso è diverso per Sung-eun Choi che interpreta al meglio il suo ruolo ma non riuscendo a farti immedesimare nel suo personaggio. Nel complesso è un film che si fa vedere, che vuole lasciare qualcosa nello spettatore ma ci riesce in parte. Il suo intento è apprezzabile, peccato non aver sfruttato tutto il potenziale che sembrava avesse all’inizio del film. Non è male ma si poteva spingere di più su qualche emozione sottolineandole con eventi più eclatanti.
Siete arrivati fino alla fine della recensione di My name is Loh Kiwan? Wow! Ci fa piacere vedere che siate arrivati anche stavolta fino alla fine. Vi ricordiamo che sul sito di Kaleidoverse potrete trovarne altre (ad esempio su Antonia o Avatar: La leggenda di Aang) ma non solo. Da poco è uscita la guida su dove trovare le carte di Regina Rossa o la guida ai trofei e al Platino su Final Fantasy VII Rebirth. Per poterci dire la vostra potete scriverci attraverso i nostri canali social di Facebook e Instagram oppure entrare a far parte della nostra community sul canale Telegram.
Il film ha del potenziale che non viene espresso a pieno purtroppo. Le premesse ci sono ma non vengono utilizzate a dovere. Tutto sommato è un film che si fa guardare, riesce a lasciare spunti di riflessione nello spettatore ma niente di più. Il lavoro che c'è dietro però è davvero stupendo e la transizione da scene buie e cupe a quelle più solari è facilmente riconducibile allo stato d'animo del nostro Loh Kiwan. L'attore che interpreta il ruolo di Loh è riuscito a pieno nel trasmettere le emozioni provate dal protagonista facendocele vivere. Il tema trattato non è facile da sbrogliare in poco tempo e infatti il film dura più di due ore che ci sembrano un buon compromesso. Se fosse stato più corto avremmo avuto dei vuoti nella trama mentre più lungo sarebbe stato esageratamente pesante. Il giusto equilibrio tra emozioni, trama e azione (inteso come spostamenti fisici, molto presenti nel film) fa si che il film abbia un senso dall'inizio alla fine. Consigliamo la visione a chi è già navigato nel genere e riesce a sopportare bene film di lunga durata o potrebbe risultare troppo pesante.