Uscire di casa e ricominciare una vita nuova è un sogno più comune di quanto si crede. Sintomo di insoddisfazione e desiderio di una seconda possibilità, solitamente sfocia in puro e semplice escapismo mentale. Si fugge dalla monotonia e dalla quotidianità rifugiandosi nei libri o nei film; ci si limita a vivere un po’ nelle storie degli altri. Anche in queste storie, però, possiamo trovare personaggi che fuggono: Il fu Mattia Pascal di Pirandello ne è forse l’esempio più famoso. E un po’ ricorda la storia che Kaleidoverse vi sviscera in questa recensione – limitando per quanto possibile gli spoiler: quella di Riposare in Pace, nuovo film di Netflix disponibile dal 27 marzo.
Diretto da Sebastián Borensztein (Chinese Take-Away) – co-autore anche della sceneggiatura insieme a Martin Baintrub e Marcos Osorio Vidal (The Bronze Garden), Riposare in pace è un thriller drammatico che vede nel cast tra gli altri Joaquín Furriel (The Boss, Anatomy of a crime), Griselda Siciliani (Bardo), Gabriel Goity (Los Roldán), Lali Gonzalez (7 boxes) e Luciano Borges (The two popes). Vediamo adesso la trama, che inizia qualche annetto fa.
Riposare in Pace: la trama
Sergio (Joaquín Furriel) è un padre innamorato della propria famiglia, ma una serie di investimenti sbagliati mandano in rosso la sua azienda e fanno aumentare i debiti. Mentre cerca una soluzione ai problemi economici che minacciano di far chiudere la sua ditta e di mandare in rovina la sua famiglia resta coinvolto in un’esplosione che miete molte vittime. È un attimo: l’uomo, ufficialmente disperso, decide di sparire dalla circolazione varcando la frontiera.
Così si rifà una vita – solitaria e modesta – con una nuova identità, ma senza dimenticare i cari lasciati in patria che, ignari del suo gesto, ne piangono la scomparsa e usano la sua assicurazione sulla vita per tappare i buchi. Gli anni si susseguono in fretta, il mondo cambia e un incontro totalmente inaspettato fa montare in Sergio la curiosità di sapere cosa ne è stato della sua famiglia. Così, sfruttando quella novità digitale che è stata Facebook l’uomo ritrova i suoi figli e riscopre un passato che è andato avanti senza di lui.
Anatomia di una tragedia
Dal punto di vista registico Riposare in Pace è una pellicola dall’andamento lento e deciso. Borensztein ha scelto di raccontare la storia di Sergio Dayan usando la macchina da presa come semplice occhio che fissa i vari personaggi incastrandoli in scene dal retrogusto teatrale e dando loro l’importanza centrale che serve per farli esprimere al meglio. La prima parte della pellicola è caratterizzata da una filigrana e contribuisce a scandire i tempi narrativi delimitando lo scorrere del tempo e caratterizzandolo.
Per quanto riguarda la sceneggiatura e l’interpretazione del cast Riposare in pace è una storia che trasmette sì una pace interiore, ma solo in apparenza. Il dramma che si consuma durante il film è impostato e lineare, ma non per questo meno incisivo per lo spettatore, che si ritrova immerso in una tranquillità dissonante che aumenta progressivamente l’ansia. Il cast da questo punto di vista ha svolto un lavoro eccelso, mettendo in scena attimi di vita vissuta e reale che assumono i toni di un thriller drammatico in maniera del tutto naturale.
Un moderno Mattia Pascal
Possiamo dividere Riposare in pace in due grandi blocchi che rispecchiano la divisione temporale ma non quella per generi, che si mescolano perfettamente. Sicuramente tanto tragica quanto ansiogena è la decisione presa dal protagonista, che decide di voltare le spalle alla sua vita per salvare quella dei suoi cari. Ma sarà davvero così? Lo spettatore non può fare a meno di pensare alla convenienza, adeguatamente mescolata alla sofferenza, che caratterizza le azioni di Sergio nella scelta di un esilio che è però anche una fuga dai debitori.
Ecco quindi che il protagonista viaggia lontano e ricomincia una vita ritirata nella quale la solitudine diventa la sua compagna e nella quale emerge tutta la complessità di un personaggio tormentato dalle proprie scelte ma deciso nel perseguirle come atto d’amore. La sua vita da confinato diventa quasi una non-vita, rigorosamente rinchiusa e lontana da sentimenti genuinamente positivi, di cui restano solo ricordi sbiaditi e che sfocia in un martirio emotivamente volontario che si acuisce nella seconda parte della storia.
Il prezzo da pagare per la pace
La narrazione si biforca, mostrando le vite dei membri della famiglia Dayan nel corso degli anni e il conseguente sbilanciamento: se da un lato assistiamo all’allontanamento e alla sofferenza di Sergio, dall’altro c’è la moglie Estela (Griselda Siciliani) che, insieme ai suoi figli, ricomincia lentamente a vivere. Ecco quindi stagliarsi una sorta di elaborazione del lutto differenziata: l’uomo non dimentica, trasforma la sua esistenza in un ricordo perpetuo di ciò a cui ha dovuto dire addio, mentre in Argentina la sua famiglia ritorna ad essere felice dopo qualche anno di turbolenza.
È in questa differenza che si inserisce il disagio progressivo che compare nello spettatore quando finalmente il protagonista decide di cercare i suoi cari online e li riscopre cambiati, felici e soddisfatti. La curiosità si trasforma in desiderio e il desiderio lo riporta sui suoi passi, decretando l’inizio della sua fine. Il dramma si acuisce accanto al declino di un uomo tanto tragico quanto patetico e che si conclude con il ricordo di una felicità che non gli è più concessa.
Le nostre conclusioni su Riposare in Pace
Riposare in Pace è un film che racconta con lucidità e realismo una storia in cui pare non esserci nulla di straordinario. È nella normalità e nella quotidianità che si annida la difficoltà e che prende piede una vera e propria tragedia teatrale messa su schermo e raccontata con semplicità e nitidezza. Riposare in Pace è un dramma tremendamente umano, da cui spicca una profonda individualità volta al sacrificio patetico di un uomo che ha deciso di annullare la propria vita in favore di quella degli altri per poi dover ammettere a sé stesso che quella vita alla quale lui ha rinunciato lo fa soffrire proprio perché non è più contemplato nell’equazione.
Avete già visto Riposare in pace o lo guarderete nei prossimi giorni? Non dimenticate di farci sapere cosa ne pensate qui su Kaleidoverse o sulle nostre pagine social, che potete seguire per restare sempre aggiornati sugli ultimi articoli pubblicati – come l’approfondimento su Elden Ring, quello sulla carriera di Emma Stone e sul compianto Akira Toriyama. Vi ricordo inoltre i nostri due gruppi community – su Facebook e Telegram – nei quali possiamo parlare a tu per tu. Vi aspettiamo!
Riposare in Pace è un film mutevole nel genere ma ben strutturato: la regia di Sebastián Borensztein conduce la trama e le azioni di un Joaquín Furriel che dà al suo personaggio spessore e complessità, separando bene le sequenze e creando dei compartimenti stagni che non si toccano mai, a guisa di vere e proprie scene teatrali. È così che prende piede il ritmo apparentemente tranquillo della storia, che segue in maniera lineare e parallela i personaggi nello scorrere degli anni, senza risparmiare però quel lieve sentore di pericolo che accompagna lo spettatore nella visione e che gli fa chiedere a più riprese cosa ne sarà del protagonista e quanto le conseguenze delle sue scelte impatteranno su di lui e sugli altri. La risposta a questi interrogativi è racchiusa in una conclusione tanto ansiogena quanto drammatica, che saluta protagonista e spettatore con un ultimo, largo respiro degno di un Mattia Pascal moderno.