Da qualche giorno è disponibile su Disney + la seconda stagione di The Bear. Si presenta con una carrellata di ben dieci puntate. Con un importante punto focale narrativo a metà stagione che fa accrescere, in modo inconsueto, la durata di tale puntata a un’ora. Dove la stagione precedente eccelleva, questa nuova installazione riesce a migliorare in ogni versante. Portando con sé una ventata di aria fresca al prodotto. Nuove sfide, nuove ricette, nuovi problemi. Ogni ostacolo è fatto per essere superato e superandolo, si è una migliore versione di sé e in quello che si fa. Svisceriamo meglio il tutto nella recensione.
Una squadra, delle persone
La narrazione riprende quasi esattamente dove la si era lasciata nella precedente stagione, con il Beef ormai chiuso e il The Bear pronto a nascere dalle sue ceneri. Ma come Carmy e co. ci hanno abituato non sarà così semplice. Ci si trova, semplificando di molto, davanti un Workplace Drama, ma diversamente da altri prodotti qui tutto è strutturato in modo più complesso, più orizzontale. Perché in questa nuova stagione ci si trova – più che nella prima – con una struttura più stratificata, intensa e complessa. Non tanto nella narrazione che è quanto meno semplicistica, quanto nelle relazioni tra gli attori in questo gioco delle parti.
Poiché questa commedia nevrotica usa la parabola della ristorazione per parlare dei grandi interrogativi e delle piccole paure che attanagliano l’essere umano. Perché ci si trova, come detto, davanti a un intricato disegno non narrativo, ma umano. Ogni personaggio è protagonista, nessuno è una sagoma bidimensionale ma una persona con le sue complessità e le sue insicurezze. La storia è in definitiva un pretesto – un mero Macguffin – per poter far perdere lo spettatore nel mare delle esperienze umane che vengono messe in scena dalla serie. Ci si trova davanti anche a episodi più autoconclusivi e meno dipendenti dalla narrazione generale. Cosa che potrebbe sfigurare in altre serie ma che in questo ambito riesce a supportare ancor di più la forza delle sue convinzioni e la potenza dei suoi personaggi.
Riconoscere i propri limiti
Se nella prima installazione il focus narrativo era maggiormente incentrato sul conflitto e sulle divergenze di pensiero in questa seconda stagione il centro di tutto sono le esperienze e il migliorare se stessi. Ci si trova di fatto davanti a un palese cambio di rotta nelle tematiche principali trattate. Andando a creare un calo fisiologico del pathos trasmesso allo spettatore – vista la mancanza di un conflitto esterno e palese. Ma per gli spettatori più smaliziati è manifesta la voglia da parte di Storer (creatore della serie) di incentrare la potenza narrativa su due binari paralleli e divergenti. Su un binario c’è Carmy che grazie al rinnovamento del Beef cerca di trovare un equilibrio interiore e una nuova quotidianità. Sull’altro binario ci sono tutti gli altri che lavorano al The Bear, in particolare Sydney e Richie. Questi ultimi difatti sono la rappresentazione perfetta della rotta intrapresa dalla serie. Poiché lo spettatore viene spinto nelle loro vite. In un processo naturale, quasi ovvio.
Sondando le loro vite e la loro scalata per essere la migliore versione di se stessi. Per il The Bear ma soprattutto per trovare un vero scopo, qualcosa che ha un significato e che possa sopperire alle loro paure e alle loro ansie. Il tutto accompagnato dalla pressante presenza della famiglia che in questa stagione ha un ruolo centrale, letteralmente e metaforicamente. Trovandosi nel mezzo della stagione ad apprezzare la discesa – di un’ora – nell’ipocrisia della famiglia di Carmy. Il tutto accompagnato da una regia più che ottima. Reale, tangibile, senza guizzi particolari ma che riesce a centrare perfettamente l’atmosfera tensa e ansiogena che le vite dei personaggi che abitano questo mondo vivono. Tecnicamente, e a livello di ritmo, raggiunge il suo apice nella sesta puntata che, oltre a raddoppiare la durata effettiva dell’episodio, dà la possibilità allo spettatore di comprendere alcune dinamiche della famiglia di Carmy. E comprendere come l’ipocrisia delle persone che ci sono vicine possa erodere i rapporti e portare via molto, forse anche troppo.
Le nostre conclusioni sulla seconda stagione di The Bear
La seconda stagione di The Bear è tutto quello che ci si poteva aspettare e anche qualcosa in più. Con un pathos minore rispetto alla stagione precedente, che potrebbe allontanare alcuni spettatori, ma con una forza narrativa più potente perché non incentrato sulla trama verticale quanto sui personaggi che abitano questo mondo. Puntando sull’aspetto che incarna la vera essenza di questa stagione la voglia di migliorare se stessi e superare i propri limiti. Il compito risulta estremamente facile anche grazie alle incredibili interpretazioni consegnate agli occhi degli spettatori. Infatti ci troviamo di fronte a un cast, ancor più che nella prima stagione, in parte e convincente. Da lodare sono assolutamente le interpretazioni di Jeremy Allen White nel ruolo di Carmy e Ayo Edebiri nel ruolo di Sydney e anche Ebon Moss-Bachrach nel ruolo di Richie. Interessanti anche le molte guest star di questa stagione tra cui Bob Odenkirk e Jamie Lee Curtis.
In definitiva ci si trova davanti a un prodotto di pregevole fattura che sa concentrare la sua forza su i giusti punti e permette di dare ampio respiro a tutti i suoi interpreti che sanno brillare in ogni momento – assecondati o no dalla narrazione. Narrazione che si trova sempre a premere sui giusti punti riuscendo a creare un ponte verso lo spettatore. In quanto The Bear non parla di ristorazione o di ricette culinarie ma di persone. Frangibili, fragili e autodistruttive, ma al contempo forti e speranzose. Voi avete già visto tutta la serie? Vi è piaciuta? Siete in attesa di un altra stagione? Fatecelo sapere sui nostri social. Come sempre, vi invitiamo a leggerci su Kaleidoverse e a seguirci sulle nostre pagine social, dove pubblichiamo sempre contenuti. Se volete condividere con noi suggerimenti, consigli su nuovi film da vedere (ma anche anime, serie TV e videogiochi) o soltanto discutere delle ultime notizie, ci trovate sui nostri gruppi community, su Facebook e Telegram.
The Bear riconferma, con questa seconda stagione, la bontà della serie. Un progetto che già dalla prima stagione si era confermato una spanna sopra al panorama seriale generalista e mainstream. Con questa seconda stagione sono state riconfermate le buone qualità della prima e migliorata ancor di più la narrazione dei protagonisti. Ci si trova davanti a un mastodontico lavoro di scrittura che concentra tutta la sua potenza sulle questioni umane e la cucina, persino il The Bear, passano in secondo piano. Per chi ha amato la prima stagione questa nuova installazione è un must watch. Per chiunque non ha ancora recuperata nessuna delle due, è ora di mettersi a pari.