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Home»Film/Serie TV»Luigi Proietti detto Gigi Recensione: l’ibrido tra arte e persona
Film/Serie TV

Luigi Proietti detto Gigi Recensione: l’ibrido tra arte e persona

Francesco GentileBy Francesco Gentile27 Febbraio 2022Updated:28 Febbraio 2022Nessun commento6 Mins Read
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Nel 2018 Edoardo Leo decide di seguire Gigi Proietti all’interno della sua vita artistica, un piccolo viaggio in cui vengono raccontati quelli che nessuno si immaginava potessero essere gli ultimi atti di un attore straordinario, insieme alla sua storia. Leo è alla ricerca del segreto di Proietti, il suo eterno mentore; vuole scomporre quello che per lui è uno spettacolo teatrale rivoluzionario e mettere in luce la composizione del mattatore. Arriva il 2 novembre 2020, Luigi Proietti esce di scena e allora i piani cambiano. Il contenuto è lo stesso, ma il messaggio arriva diversamente. Quando un artista così importante lascia il palcoscenico, l’amore diventa potenza autonoma e la persona diventa mito; si traccia una linea spessa che ingoia l’intreccio e il canale percettivo risulta unico ed è facile quindi scadere nella monotonia. Il lavoro dell’attore romano, se pur avvolto dal suo stesso affetto, va oltre, e riesce nel racconto di quel segreto, di cui la definizione precisa viene lasciata ai posteri, o direttamente a nessuno. Questa, è la recensione in anteprima di Luigi Proietti detto Gigi, un documentario di Edoardo Leo in arrivo esclusivamente al cinema dal 3 al 9 marzo.

Gli alleati

La voce di Edoardo Leo ci accompagna sin dai primi minuti, esplicando il contesto emotivo e generale in cui lo spettatore è seduto. Un tipo di contatto diretto che si ritrova per tutta la durata dell’opera, affine a ciò di cui si sta parlando nonché di chi si sta parlando. Nel passare degli eventi, delle fasi di vita privata e professionale, è sempre percepibile un sottotesto che narra e descrive un tratto di ciò che Gigi Proietti era e di ciò che egli provava. Attraverso questo meccanismo, in Luigi Proietti detto Gigi si compie il viaggio all’interno della persona e viene superata la superficie dell’artista iconico. Missione difficile, affrontata attraverso i modi più semplici, compiuta egualmente. Andiamo per gradi.Luigi Proietti detto Gigi

Perché “difficile”? Il racconto della spontaneità, intesa come caratteristica intrisa nell’arte “popolare” a cui l’attore è sempre stato legato, incontra un paradosso: mostrare al pubblico una sensazione generata dall’inavvertibile. Dal momento preciso in cui siete qui a leggere queste righe e dal momento in cui sarete in sala, sapete già a cosa andrete incontro. Risulta quindi complicato riuscire a trasmettere quella caratteristica andando oltre la semplice simpatia, il semplice talento. Ecco che arrivano gli alleati: famiglia, colleghi, amici di una vita e soprattutto Mamma Roma, quest’entità esterna che caratterizza ognuno dei presenti a schermo e perfino lo stesso Leo, che rimane sempre tra il visibile e il non visibile, dimostrando contemporaneamente le origini e i lasciti del protagonista. La “romanità” è co-protagonista e in un certo senso, parte della forza nemica che lo stesso Proietti cerca di affrontare.

Essenza d’eternità

Se pur nascosta da quella “linea” di cui si parlava nell’introduzione, Luigi Proietti detto Gigi racconta, tra le altre cose, di una battaglia che Proietti ha affrontato: il riconoscimento. Ovviamente non in termini di lode ma in termini di comprensione artistica. Si, la “borgata” ha formato uno stile incredibile, affinato da anni di studio tecnico che però non hanno mai, o quasi mai, visto una lente d’ingrandimento posarsi su di essi. L’opera in oggetto è colei che restringe l’occhio sul “conflitto tra opposti” tanto caro al suo protagonista e sulla sua profondissima conoscenza di un mestiere morale come quello del teatrante. Il fatto che il montaggio ci faccia viaggiare avanti e indietro nel tempo, nell’età, senza mai posarsi, descrive una narrazione con un forte intento votato all’espressione della vera e profonda essenza dell’attore.Luigi Proietti detto Gigi

Questa rimane sempre lì, e l’orchestrazione delle sequenze lo dimostra: inserti di scene rappresentanti lo stesso spettacolo a distanza di tempo, veloci come un lampo, decine di anni in un secondo che risvegliano l’emozione dello spettatore, lo stimolo di star vedendo una personalità eterna. Quest’ultima caratteristica è visibile anche negli occhi di chi ne è stato testimone e soprattutto nelle scene raffiguranti l’ultima intervista fatta al demiurgo, all’interno del Globe Theatre di Roma. C’è un’aura strana, sicuramente data dall’influenza della sua scomparsa, ma quegli abiti, quella breve autobiografia sentita, potente, emanano qualcosa che trascende il semplice punto di vista del soggetto interessato.

Una sensazione continua

Nonostante l’amarezza che genera la mitizzazione di un personaggio mal esplorato da parte del pubblico, non c’è un forte contrasto tra bene e male, stato d’animo positivo e negativo. Il mancato riconoscimento della grandissima abilità e versatilità tecnico-drammatica di Proietti non si trasforma nella narrazione di un demone che bussa alle porte dell’artista ogni notte, anzi, è trattata con la stessa leggerezza di tutto il resto. Si genera una staticità che come già detto sopra, non è monotonia, è familiarità con ciò che molto probabilmente si è vissuto. Questo non è il prodotto giusto per conoscere l’operato di Gigi Proietti ma è quello perfetto per coglierne l’aspetto costitutivo, per conoscerne la base, l’etica e il messaggio. Luigi Proietti è stato un fenomeno nazionale, in ogni forma in cui si è mostrato, e in questo documentario, emerge il suo riassunto. Viene lasciato in alcune scene il momento del ciak, viene inquadrata la troupe. Una scelta che da una parte, fa sentire la presenza di Leo come entità conosciuta al pubblico, messa a nudo dall’esposizione della sua ispirazione; dall’altra alimenta l’immersione dello spettatore, specialmente all’interno dell’ “ultima intervista”.

Luigi Proietti detto Gigi

Le nostre conclusioni su Luigi Proietti detto Gigi

Luigi Proietti detto Gigi è un evento che possiede una forza straordinaria. Essa si alimenta a dismisura se si è già coscienti della figura rappresentata e nello specifico, del contesto in cui ha orbitato. La scoperta è messa in seconda piano dall’approfondimento e dal ricordo, tutti e due espositori di ciò che è stato e sempre sarà, definito da chi l’ha vissuto direttamente e indirettamente. Il progetto di Edoardo Leo è assolutamente riuscito nei suoi intenti. Questa recensione è finita. Per altri contenuti come questi oppure guide, news e approfondimenti su cinema, anime, manga e serie tv, continuate a seguire Kaleidoverse e tutte le nostre piattaforme social: le videorecensioni del venerdì sul canale Youtube, il canale Telegram per non perdervi alcun articolo e i profili Instagram e Facebook per restare in contatto e interagire con noi.

80%

Edoardo Leo coglie nella sua operazione di valorizzazione degli aspetti che compongono una delle figure più importanti del panorama artistico italiano raccontandone non solo la vita ma l'essenza, la composizione artistica, facendosi aiutare da persone che quasi assomigliano a quella "popolarità" che lo ha da sempre caratterizzato e forse svantaggiato.

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Francesco Gentile

    Figlio dell'astratto, cerco un po' di concretezza nell'arte cinematografica, forse non la scelta migliore. Studente di Scienze della Comunicazione, appassionato di qualsiasi cosa si muova su uno schermo. E basta?

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