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Film/Serie TV

Ma Recensione: l’adolescenza genera mostri

Francesca RubinoBy Francesca Rubino9 Agosto 2022Nessun commento7 Mins Read
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Gli anni del liceo sono una sorta di costante: tutti li ricordiamo, nel bene e nel male. C’è chi li rievoca con trasognata nostalgia e chi invece li guarda di sfuggita, in un misto di vergogna e rifiuto, ben sollevato di non doversi più barcamenare tra compiti, gruppetti e cambiamenti ormonali. Felice, insomma, di essersi lasciato alle spalle l’adolescenza per affrontare l’età adulta. Ma non per tutti è così, e Ma – film disponibile dall’otto agosto su Netflix – ce lo ricorda inequivocabilmente.

La pellicola – un thriller psicologico – è uscita nel 2019. Diretta da Tate Taylor (The Help) e prodotta da Blumhouse Productions (Black Phone), Ma vede nel cast nomi di tutto rispetto accanto a volti nuovi della scena statunitense. Octavia Spencer (Il diritto di contare), Juliette Lewis (Assassini nati), Luke Evans (La Bella e la Bestia), Missi Pyle (La fabbrica di cioccolato) e Allison Janney (Tonya) si affiancano a Diana Silvers (La rivincita delle sfigate), Corey Fogelmanis (Girl meets world), McKaley Miller (La quinta onda) e Gianni Paolo (November criminals), creando un ambiente che riflette alla perfezione la complessità e il dinamismo dei rapporti tra ragazzi e adulti.

Ma I ragazzi

Ma: quando si cerca ciò che non si ha mai avuto

La storia di Ma inizia in maniera assai tranquilla: Maggie e sua madre Erica si trasferiscono in una di quelle classiche cittadine americane sperdute dell’entroterra. Qui la ragazza si ambienta, entra in un gruppetto di coetanei che cercano il divertimento proibito. In un posto però così piccolo non è facile procurarsi dell’alcol: è qui che entra in gioco Sue Ann, una donna di mezza età che, comprensiva nei confronti della combriccola, accetta di comprare per loro gli alcolici richiesti. Ma non finisce qui: la donna, preoccupata di veder andare in giro degli adolescenti sbronzi alla guida, li invita a bere nel suo scantinato – un luogo sicuro dove possono dare libero sfogo alla loro voglia di ribellione.

È così che inizia un idilliaco sodalizio tra i ragazzi del paese, che trascorrono sempre più serate da Sue Ann, che iniziano a chiamare Ma. Alla donna piace ospitare i ragazzi, fa festa con loro, tenendo ben presente, però, l’unica vera regola che non devono mai infrangere: mai andare al piano di sopra. Possono fare tutto quello che vogliono nello scantinato, ma non devono avventurarsi nella casa della donna. Questo alone di mistero svanisce molto prima di quanto ci si aspetti, rivelando la vera Ma e quello che diventa, nel corso del film, un vero e proprio piano di distruzione.

Ma Sue Ann

Una quotidianità che fa molto thriller

Ma presenta, come abbiamo detto sopra, un cast di tutto rispetto. In particolare, vorremmo lodare la performance di Octavia Spencer (Sue Ann), che riesce a incanalare alla perfezione ogni singola emozione provata dal suo personaggio nel corso del film, dandogli una profondità che ci fa dubitare della nostra bussola morale. Anche i membri giovani del cast si fanno notare – alcuni più di altri – per il modo in cui mettono in scena i propri ruoli. In un simile scenario il vero genere della pellicola emerge lentamente, sbocciando quasi come un fiore dai colori scuri e sanguigni.

E quindi quello che era iniziato innocentemente come un teen movie muta, diventando sempre più contorto. Lo scenario – una cittadina americana piuttosto desolata e vuota – passa da luogo immerso nelle sterpaglie e nelle rovine di vecchie infrastrutture a una plumbea trappola mortale, il cui centro è rappresentato dalle luci e dalla musica ovattata che provengono dal seminterrato di Ma. Simile a una lanterna moschicida, quella casa attirerà i nostri giovani protagonisti annebbiando i loro sensi e portandoli sull’orlo della disperazione – la loro e quella di una donna spezzata che non è mai davvero andata oltre gli anni del liceo.

Ma Festa

Quando cresci il tuo cuore muore (e marcisce)

L’adolescenza è il periodo più complesso della vita di una persona: è un momento di transizione fisica e sociale, in cui si sperimentano le dinamiche che compongono la società in maniera più ristretta e, forse anche per questo, più spietata. I giovani del film ne sono l’esempio perfetto: si muovono in gruppo, si abbandonano all’ebbrezza del proibito e agiscono senza riflettere troppo sulle probabili conseguenze delle loro azioni. Loro vogliono provare, mettere in gioco una realtà sentita vicinissima ma che non possono toccare concretamente. Eppure, lo fanno conservando una certa innocenza, un certo stupore di fronte alle loro azioni: provano e riprovano la realtà per accertarsi che sia effettivamente quella.

Dall’altro lato abbiamo gli adulti: Erica, Ben e Mercedes non sono più adolescenti da un pezzo, e in fondo lo sanno. Vengono rappresentati come perfettamente diversi da Maggie, Andy e Haley: individui tutto sommato disastrati, consumati dalla vita nonostante non siano anziani, plumbei, seri, svuotati quasi della scintilla vitale. Sono vivi, compiono azioni, si attivano a più riprese, ma non sono felici. Trasudano amarezza, si confondono quasi con lo scenario, o vi stridono pesantemente, come Erica quando va a lavoro. La vita li ha presi a schiaffi, li ha delusi, e ne pagano le conseguenze.

Ma Foto di gruppoA chi non cresce invece il cuore si rompe

Laddove gli adolescenti sono quindi scalpitanti, allegri e rumorosi abbiamo degli adulti mogi, scoppiati e abbattuti. Ma Sue Ann dove si inserisce in questo dualismo? La donna si piazza al centro, fa da spartiacque negativo, creando un profondo squarcio dal quale tira fuori il peggio da entrambi i lati. Ma non ha mai superato il trauma legato all’adolescenza e al bullismo. Lo intuiamo fin dai primi minuti della sua apparizione sullo schermo: Sue Ann è profondamente legata al mondo dei giovani, vi si affaccia e vi si butta, apparendo dapprima come una semplice ospite di serate, e in seguito un’adolescente fuori posto e fuori tempo massimo.

Ma si illude di poter avere una seconda occasione per poter godere della sregolatezza degli anni del liceo – una porta che le era stata sbattuta in faccia con violenza e scherno da parte dei suoi coetanei. Gli eventi del film la rimetteranno esattamente nella stessa situazione, ma essendo una donna adulta, lontana dalla timida adolescente che è stata, il trauma assumerà la forma di una vendetta rabbiosa e spietata, che si abbatterà con precisione chirurgica su quelli che lei reputa essere i responsabili della sua infelicità.

Ma recensione

Le nostre conclusioni su Ma

Ma è un film in cui, fin dalle prime battute, si capisce che c’è qualcosa che cova sotto la superficie. È questo presentimento a tenere lo spettatore con gli occhi puntati sullo schermo, in attesa di svelare la patina di inquietante mistero che ricopre anche le azioni più insignificanti. Siamo contenti di aver potuto recuperare un ottimo film, un thriller che sa giocare bene le sue carte, presentando presupposti conosciuti per poi rigirarli in maniera nuova e magnetica. Speriamo che la sua permanenza su Netflix duri e che siano in molti a recuperare una pellicola che, forse, non ha avuto abbastanza pubblicità quando è uscito nelle sale.

Voi cosa ne pensate? Avete visto Ma oppure no? Condividete le nostre impressioni? Se volete parlarne con noi potete farlo sui nostri canali community (abbiamo un gruppo su Facebook e un canale Telegram dedicato). Se invece vi piace quello che facciamo e i contenuti che portiamo vi invitiamo a seguirci sulle nostre pagine social, dove potrete sostenerci attivamente. Vi ricordiamo che su Kaleidoverse ci occupiamo, oltre che di cinema, anche di videogiochi, serie TV e anime, quindi che aspettate? Correte a leggerci!

80%

Ma è un ottimo thriller psicologico che vi terrà ben saldi allo schermo. Tate Taylor ha saputo ben dosare gli elementi che compongono questo film: la bravura degli attori, la storia e la scenografia giocano insieme restituendoci un dramma sanguinoso e psicotico in cui il passato amaro si fonde con un presente elettrico e carico del dinamismo tipico della giovinezza. Abbiamo amato il graduale dipanarsi degli eventi e la conclusione catartica della pellicola, che ci dimostra quanto sia sbagliato accusare i figli delle colpe dei propri genitori. In fondo, gli unici responsabili delle nostre azioni siamo noi stessi, nel bene e nel male: si possono riconoscere le proprie colpe e fare ammenda o lasciare che la rabbia e il rancore ci consumino, distruggendo il nostro centro.

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Scrivo. In pratica non so fare altro: sono goffa, timida e secondo qualcuno amo dormire a testa in giù come un vampiro (tranqui però, non sono un criptide).

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