“1998… I’ll never forget it…”: questo è ancora oggi il primo pensiero che passa nella mente di Capcom, dopo il successo di critica e pubblico del primo giorno di lavoro dell’agente recluta Leon S. Kennedy. Per quest’ultimo non è stato sicuramente un caloroso benvenuto a Raccoon City, ma è stato fondamentale per il proseguo delle vicende nella stessa città fittizia della (finta) Contea di Arklay. Ne esce così una trilogia che ancora oggi tutti ricordano, ma che ha portato così a un dilemma quasi esistenziale che sicuramente gli addetti ai lavori avranno pronunciato almeno una volta: “E ora?”
Immaginate di essere proprio la stessa software house: è il 1999, una delle vostre serie di punta ha comunque guadagnato come sperato con il terzo capitolo che avete appena rilasciato, ma ora avete tre scelte: risollevare il brand con un titolo a dir poco rivoluzionario, campare di rendita rendendolo un more of the same fino a farlo morire o, se dovesse accadere prima del previsto, sperare che qualcuno riesca a comprarne i diritti per risollevare il brand. In questo nuovo episodio di RE-Play ripercorreremo la tragicomica storia di Resident Evil 4, uno dei titoli più memorabili e più controversi della storia videoludica moderna.
Un matrimonio e due funerali
Tutto comincia proprio nel lontano 1999, con Hideki Kamiya che, aiutato da Shinji Mikami, si mettono al lavoro su un sequel completamente fuori dagli schemi. La storia doveva incentrarsi su Tony (accompagnato dal suo fratello gemello Paul), un protagonista potenzialmente tanto perfetto quanto “meme”: bellissimo, brillante, carattere molto edgy e fuori dagli schemi, uno straordinario intelletto e capacità fisiche sovrumane. Il tutto doveva ambientarsi nell’isola di Mallet Island, e il nostro Tony avrebbe dovuto scoprire il suo passato in un castello gotico di proprietà dell’Umbrella. Se in questo momento non riuscite a trovare calche di fan che inneggiano il nome di Tony ma, al contrario, strillano quelli di Leon, Wesker, Dante, Vergil e tutti i restanti personaggi tostissimi di casa Capcom, dovete ringraziare i due capoccia per aver “abbandonato” il progetto.
Dopodiché si comincia a sviluppare un titolo un po’ più tradizionale, ma pur sempre lontano dalla concezione di zombie che contraddistingueva la serie. Durante il Tokyo Game Show del 2002 viene infatti presentato un trailer di quel che (non) sarà Resident Evil 4: una sorta di Silent Hill nel quale si indaga sul virus progenitore, rappresentato da una nebbia nera. Inutile dire che anche questa idea verrà scartata subito dopo la presentazione del trailer, già a lavoro inoltrato.
L’uscita di Resident Evil 4 venne ancora ritardato di un anno, con la presentazione durante l’E3 del 2003 di un progetto improntato sulle allucinazioni e il paranormale, che per anni su internet viene spacciato come una versione “3.5”. Di quest’ultimo si sapeva molto poco, ma il mondo apprezzò il coraggio e l’intraprendenza di Capcom nel voler seminare terrore attraverso il silenzio, nonostante il virus di questa versione fosse fin troppo distante dall’arma bioterroristica dell’Umbrella Corporation. Nonostante le enormi premesse e il totale appoggio del pubblico, non se ne fece nulla: Capcom ammazzò il progetto sul nascere, stracciò tutto e andò avanti.
Il gioco si mostrava con le stesse qualità della prima trilogia di Raccoon City, con più telecamere fisse (o a volte semimobili) nella stessa stanza. Qualche video del progetto è conservato nel Biohazard 4 secret DVD che, oltre al trailer dell’allora imminente Killer 7, mostrava ciò che quell’agognato capitolo sarebbe potuto diventare di lì a breve. Certo, ai tempi il disco era disponibile solo su un’edizione speciale del gioco finale su Gamecube, ma oggi i contenuti sono disponibili a tutti.
L’ultimo tentativo
La follia, si sa, è il dover ripetere lo stesso procedimento più e più volte, ma questa è la volta buona. La versione definitiva prende tutte le idee più interessanti tra quelle precedenti e le mischia in un calderone, sperando che la buona sorte li aiuti. Chi ha vissuto in questi ultimi 20 anni, sa già cosa ha creato il primo “scarto” targato Tony (che diverrà poi Dante) con Devil May Cry, e un Leon che ha già esplorato il terrore ancora prima che il gioco finale uscisse. E da qui partono le domande che spaccano la community di Resident Evil e del videogioco tutto: perché per molti è uno dei giochi più belli di sempre? Perché molti lo reputarono un capolavoro? Perché per molti lo è ancora? E, soprattutto, cosa ha portato di “buono” alla serie e al videogioco?
Un nuovo inizio
Finalmente arriva sugli scaffali Resident Evil 4, e da subito risulta l’opposto di quanto era in passato la serie. Dopo Code: Veronica, il brand ha deciso di smettere di mantenersi su una filosofia di caratteristiche ormai stantie: non più telecamere fisse ad angolo, niente più modelli dei personaggi di legno, salvataggi illimitati senza uso di inchiostro (grazie a Dio), niente più inventario a 6 slot e bauli, ecc. Vi basterà solo guardare la differenza tra Resident Evil 4 del 2005 e il suo predecessore del 1999, e noterete quanto il primo sia ancora giocabile (nonostante il remake) e il secondo sia invecchiato come il latte.
C’è da considerare che la trilogia di Raccoon City si focalizzava sul dettaglio dell’ambiente a schermo, sacrificando però così il gameplay. Certo, graficamente era un notevole passo in avanti rispetto all’allora celebre Alone in The Dark, ma, per esempio, la mira che cambiava a seconda di dove si puntava col tasto direzionale premuto non lo rendeva un miracolo ludico. Infatti, per voi sembrerà che queste due facce della stessa medaglia rendevano i primi titoli della serie su PlayStation 1 uno spettacolo per gli occhi e un incubo pad alla mano, e avete ragione. Quindi addio alle vecchie abitudini e si abbraccia qualcosa di decisamente più fresco.
I miracoli del motion capture
Ora, parliamo dell’argomento sul quale chiunque ha sbavato in queste due ultime generazioni di console: grafica, tecnica e dettagli. Oggi è uno standard trovare videogiochi con dettagli grafici di una certa importanza, ma nei primi del 2000, soprattutto sulle console del periodo (ci arriveremo dopo), significava dover affrontare uno sforzo non indifferente sul lato sia economico che umano. Non c’è stato bisogno di un Da Vinci, un Buonarroti o un Merisi di turno per rendere il gioco immortale: casi eclatanti come Resident Evil 4 ne sono esistiti, come Silent Hill 2 o Shadow of The Colossus; ma il titolo Capcom era un passo troppo avanti rispetto alla concorrenza, forse allo stesso livello (o quasi) di Half Life 2.
Questo succede quando si vuole portare un “film” all’interno di un videogioco, in un modo persino più viscerale di quanto si era già visto con i tre Metal Gear Solid rilasciati poco prima. L’iconica scena dell’incontro tra il protagonista e un abitante del villaggio, o della battaglia ad arma bianca tra Leon e Krauser, è (quasi letteralmente) frutto di un lavoro di rifacimento di un lungometraggio. Certo, qui Capcom era dotata di telecamere più sofisticate di quelle presenti in azienda, ma, come spiegherà anche il lead director delle cinematic Yoshiaki Hirabayashi a un documentario dedicato:
Quando si parla di motion capture, questo registra solo i movimenti del corpo, a discapito di quelle facciali; quindi abbiamo preso i dialoghi registrati in America e ogni singolo animatore ha dovuto modellare a mano le espressioni facciali dei personaggi per ogni scena. Penso che in questo modo siamo stati in grado di ottenere risultati importanti.
L’utile e il dilettevole
Riavvolgiamo un attimo il nastro con una curiosità: forse tutti son consci del fatto che Skyrim è un software presente ovunque, da PC a PlayStation 3, da Xbox 360 a Nintendo Switch, dagli aspirapolveri, agli schermi dei frigoriferi, tanto da farlo diventare un meme. Ma se vi dicessi invece che per tutti questi anni siete stati sotto “l’effetto Mandela” e che proprio Resident Evil 4 è il gioco AAA con più piattaforme condivise di sempre? Potreste giocarlo su console fisse, portatili, su dispositivi Android ed Apple (persino su Zeebo), con una moltitudine di copertine uniche per ogni versione esistente e adattabile su ogni pad, anche con uno dedicato a forma di motosega.
Il gameplay, più nello specifico, si rifà ai titoli precedenti: muoversi, posizionarsi, mirare e sparare, ma mai contemporaneamente. Questa caratteristica dividerà nettamente la sua fan base, ma tutto sommato rende il gioco più frizzante da giocare, nonostante la sua legnosità. Questo perché Capcom riconosce il vero valore dell’horror, a prescindere dalla cupezza della sua atmosfera. Pochi ambienti bui danno spazio a uno splatter più marcato, con il nostro Leon S. Kennedy che assiste a dipartite più creative di quante se ne vedono nei Mortal Kombat su PlayStation 2: Leon può morire sgozzato, tranciato a metà, “bucato”, divorato da un mostro marino, sciolto e persino sparato da Luis Sera, nel caso in cui il giocatore avesse fatto il “cattivo”. Il tutto poi condito da una difficoltà ben bilanciata e dinamica.
Per chi non lo sapesse, infatti, la difficoltà in Resident Evil 4 si basava su quante volte il giocatore moriva in game. Per farla breve, se si perdeva troppo spesso, i nemici diventavano meno precisi, attaccavano con fatica il giocatore, alle volte lasciavano per terra degli spray, o potevano persino non esserci. Per esempio, nella famosissima “water room” nel castello di Salazar erano presenti 9 nemici, di cui 7 a distanza ravvicinata e 2 arcieri alle loro spalle, con questi ultimi che potevano assentarsi dopo dei frequenti game over. Al contrario, se si prendeva subito dimestichezza col gioco, accadeva l’esatto opposto.
La varietà dei nemici è estremamente ampia, distinta in 3 set di npc completamente differenti (gli abitanti del villaggio, i sacerdoti e i soldati), con tanto di miniboss ad accompagnarli, tutti coerenti con la loro macro area di appartenenza. Come se non bastasse, il gioco fa di tutto per avvertire al giocatore del pericolo incombente grazie a un sound design impeccabile (seppur volutamente “limitato”, soprattutto con gli npc) e un’intelligenza artificiale reattiva all’ambiente (per esempio, Leon e Ashley potrebbero guardare un nemico nella loro prossimità).
A questi si aggiungono notevoli espansioni, sia (e soprattutto) della trama principale, sia una modalità arcade di sopravvivenza a punti. Le prime espansioni sono, più nello specifico, delle campagne incentrate su Ada Wong: la modalità Separate Ways narra le vicende già vissute dal protagonista, ma dalla prospettiva della spia femme fatale Umbrella; la Assignment Ada si concentra su un what if (sempre con Ada) senza l’incipit del rapimento; la modalità Mercenari, invece, la conoscete già tutti, divenuto poi un marchio di fabbrica per quasi ogni gioco della serie, compreso un gioco stand alone su Nintendo 3DS. Oggi, ogni portafoglio di ogni appassionato non ne rimarrebbe contento all’idea di così tanti e corposi contenuti su un solo titolo.
A questi si aggiungono una gestione dell’inventario maniacale, una gestione dei “tesori” con combinazioni degli stessi, potenziamenti delle armi che ne aumentano notevolmente la rigiocabilità, il sempre benedetto mercante che col suo caldo “Welcome” si dimostra accogliente tanto quanto il falò di Dark Souls (ancor prima che diventasse mainstream), e altro ancora. Si può parlare per ore di tutte queste qualità e di quanto ha dato all’industria videoludica, ma probabilmente ne siete già consci.
Un agente, un sacerdote e la figlia del presidente
Ormai è risaputo che la serie non ha mai spiccato di profondità narrativa o di sceneggiature scolpite nel marmo, e Capcom lo sa bene da sempre. Giocando un titolo del genere, non potreste mai aspettarvi dei colpi di scena alla BioShock, la minuziosità metanarrativa di un Dark Souls o la contemplazione della propria esistenza come The Talos Principle. Resident Evil 4 è un film blockbuster horror di serie b fatto tanto per intrattenere, figlio del periodo in cui è uscito, dove vediamo da un lato il classico eroe americano senza macchia che potrebbe affrontare ogni orrore senza sudare e dall’altro una setta che vede l’America come una potenza mondiale brutta e cattiva. A proposito di America: come ci si può dimenticare di Ashley Graham?
La figlia del presidente degli Stati Uniti sa come essere un problema in modo involontario: è fonte di inquinamento acustico, petulante, perennemente distratta, in trappola e/o in situazioni spiacevoli. Tutto sommato, però, ha dei pregi. Ashley è spesso “obbediente” e fa (giustamente) quel che può per divincolarsi dai pericoli, senza però aiutare del tutto Leon. Può essere utile nel chinarsi mentre spariamo, nello stare sempre dietro di noi, nel nascondersi nei cassonetti (suo habitat naturale) per non essere scoperti e riesce persino a starnazzare appena un nemico è a circa una decina di metri da lei. Certo, non è molto, ma è comunque un lavoro onesto.
Il videogioco dopo Resident Evil 4
Resident Evil 4 è ormai un classico senza tempo, con o senza remake. Riprenderlo dopo così tanti anni, solo per questo articolo, ha dimostrato ancora che il “quarto” (si fa per dire) titolo della serie Capcom è di un livello impressionante su tutti i fronti, e continua a non invecchiare di un giorno, nonostante la macchina datata e l’evoluzione tecnologica che abbiamo percorso in queste decadi. Pensate solo su quante macchine da gioco è stato rilasciato, quanti videogiocatori hanno aspettato un suo rispolvero e quanti giochi hanno ereditato le sue caratteristiche. Pensate a titoli come Dead Space, Gears of War, i Batman di Rocksteady o persino Fortnite, tutti giochi che non sarebbero mai esistiti (o che avrebbero avuto una notevole difficoltà durante lo sviluppo) senza il capolavoro Capcom del 2005.
Ora però immaginate di essere ancora una volta Capcom: è il 2012, una delle vostre serie di punta ha comunque guadagnato come sperato con il sesto capitolo che avete appena rilasciato, ma ora avete tre scelte: risollevare il brand con un titolo a dir poco rivoluzionario, campare di rendita rendendolo un more of the same fino a farlo morire o, se dovesse accadere prima del previsto, sperare che qualcuno riesca a comprarne i diritti per risollevare il brand. Guardando l’immagine sovrastante, il finale lo sapete già, ma questa è solo un’altra incredibile storia da raccontare. Vi ringrazio per essere arrivati fin qui; se volete leggere un altro RE-Play (come quello di King’s Field) o altri simili approfondimenti, vi invitiamo caldamente a seguirci sui nostri vari canali e su Kaleidoverse.it: il viaggio è solo iniziato.