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Film/Serie TV

Il Divin Codino Baggio: Recensione del film sulla sua vita

Simone "Lokizzh" CancellaroBy Simone "Lokizzh" Cancellaro20 Maggio 2021Updated:1 Giugno 2021Nessun commento7 Mins Read
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Se c’è un uomo la cui eco sussulta dalla fine degli anni ottanta ad oggi in Italia, quello è Roberto Baggio. E Netflix, in collaborazione con Mediaset, sotto l’occhio vigile della regista Letizia Lamartire ha regalato un sogno a tutti i fan del giocatore. Il Divin Codino, film in uscita sulla piattaforma streaming il 26 maggio 2021, è un inno alla vita del calciatore, interpretato con maestria da Andrea Arcangeli. Baggio era tante cose. Un campione, certo, ma anche un uomo pragmatico, in grado di dividere gli italiani fin dall’inizio della sua carriera. Qualunque cosa gli accadesse, che fosse positiva o negativa, non ha mai esultato troppo o pianto dalla disperazione. Gli bastava uno sguardo, verso l’orizzonte, e tutti erano già al suo fianco pronti a sostenerlo o ringraziarlo. Allacciate gli scarpini e preparatevi, io vi aspetto al 90esimo.

Il karma sinusoidale di Roberto Baggio

Nei momenti precedenti all’inizio del film, per quanto il trailer fosse stato rassicurante, temevamo di ritrovarci davanti ad un prodotto che avrebbe posto maggiore attenzione sulle gesta in campo, che sull’uomo. Ma così, e direi con grandissima sorpresa, non è stato in alcun modo. Il Divin Codino, proprio come Baggio, è stato in grado di dribblare tutte le apprensioni con eleganza ed efficacia, ponendo il focus sulle sofferenze di un campione dai mille volti. La pellicola vive di costanti cambi di direzione, trasportata da una carriera raccontata sotto il punto di vista delle emozioni, e non dei gol.

Il Divin Codino

Immaginate l’opera come se fosse una sinusoide che, se posta su un grafico, avrebbe la B di Baggio sull’asse delle X e la K di Karma, su quello delle Y. L’oscillazione della curva dipenderà, quindi, da come gli avvenimenti andranno ad impattare sull’insieme di azioni effettuate dal protagonista. È una sensazione flebile all’inizio ma che, una volta introdotto il tema della religione, prende per il collo la narrazione senza mai mollarla. Quest’ultima è caratterizzata da un costante sali e scendi di emozioni, ritmate al tempo dei picchi e delle cadute che toccano il campione.

Firma con la Fiorentina giovanissimo, ma si spezza il crociato. Vince il pallone d’oro, ma inizia malissimo i mondiali del 1994. Trascina la squadra in finale, ma sbaglia il rigore decisivo. Rinasce a Bologna, ma finisce nel dimenticatoio dopo due anni difficili all’Inter. Torna in formissima per puntare al mondiale 2002, si spezza ancora il crociato a 6 mesi dall’evento. Recupera in tempo record, ma l’allora CT della nazionale decide di non puntare su di lui. Il Divin Codino plasma tutti questi momenti con astuzia, lasciando sempre Baggio al centro dell’attenzione ponendone meno su tutti i personaggi secondari, tranne uno. Perché, come da tradizione del 20esimo secolo, la tempra si forma con l’amore duro e senza approvazione.

Il rapporto col padre

In tutto questo oscillare, c’è un elemento di disturbo costante, il minimo comune denominatore di tutti i fattori: il rapporto col padre. Il Divin Codino ci mostra come Baggio provenga da una famiglia numerosa, sorretta da un padre devoto al lavoro ed alla crescita dei figli, ma con pochi spazi lasciati all’affetto spontaneo. Dalla loro relazione riusciamo infatti a comprendere più a fondo la psicologia del campione, che all’apparenza può apparire quasi come un bambino viziato. Molti allenatori durante la sua lunga carriera l’hanno bocciato non perché ci fossero dubbi sulle qualità tecniche, ma perché lo vedevano come un sole attorno al quale tutti gli altri pianeti erano costretti a ruotare. Solo che, se nelle tue vene scorrono solo raggi solari, è uno scenario inevitabile.

Non a caso le migliori stagioni di Baggio appena lasciata la Fiorentina sono state vissute in contesti dov’era la stella più luminosa. Juventus, Bologna, Brescia e l’Italia fino al 1994 sono state compagini dove il mantra era solo quello recitato dal gran Carletto Mazzone, interpretato da Fabrizio Maturani, nel film:

Noi ti diamo la palla, e tu segni.

Ed è proprio grazie al mister che possiamo ricollegarci al padre. Il Divin Codino preme molto sull’effetto che ha la mancanza di affetto concreto in Baggio, portando numerose scene a schermo al riguardo. Carlo Mazzone rappresenterà il primo vero allenatore in grado di donargli quell’approvazione che il protagonista ha sempre cercato in silenzio, ma mai ottenuto. Una mancanza che l’ha aiutato nel formare una tempra da vero professionista, capace di rialzarsi da un numero di cadute ingiustamente enorme. Ma che, dall’altra parte, lo ha portato a rendere anche meno di quanto avrebbe potuto. Un rapporto difficile, costruito da una narrazione che non sbava mai, regalandoci un’ottima interpretazione del padre, Florindo Baggio, da parte di Andrea Pennacchi ma soprattutto di Andrea Arcangeli, nei panni del figlio.

Il Divin Codino

Lo specchio riflesso de Il Divin Codino

L’attore è stato capace di entrare nel personaggio, senza forzare emozioni come felicità o tristezza, poiché il Pallone d’oro 1993 non era questo. Arcangeli eccelle, sorprende e tocca l’apice nell’interpretazione, grazie ad una mimica facciale spaventosamente simile a quella del personaggio impersonato. Le emozioni del calciatore interpretato non sono mai spinte o cercate, ma generano empatia istantanea, proprio come accadeva col vero Divin Codino; con vette inaspettate dal momento in cui viene inserito il tema del buddhismo, punto focale nella vita del campione.

C’è questa sorta di filastrocca che tutti i fan del calcio nostrano hanno almeno sentito una volta:

Nonno mi parlava di Rivera e Pelè,

Papà mi parlava di Baggio e Maradona,

Io parlerò ai miei figli di …

La parte finale è soggettiva, quindi lasciamo a voi la libertà di completarla. Se Omero rappresenta il primo pallone d’oro italiano, Gianni Rivera, allora non è un caso che Roberto Baggio sia Ulisse. L’Odissea di eventi che si sono racchiusi in quel ventennio, fatto di luci accecanti ed inesorabili ombre, meritavano la nascita di Il Divin Codino. Ed anzi, forse 92 minuti non sono nemmeno bastati per portarli tutti a schermo. Mancano momenti clou come il rigore non calciato la prima volta tornato a Firenze, o l’angoscia per l’ascesa di Alex Del Piero mentre lui recuperava dall’infortunio. Non ci sarebbe dispiaciuto dover seguire una mezz’oretta di film in più, se l’impatto emotivo delle scene fosse stato di uguale portata.

Il Divin Codino

La formula perfetta

In tutto questo marasma matematico al quale vi abbiamo sottoposto oggi, siamo riusciti a tirare una formula goliardica per descrivere il messaggio che vuole far passare il film. Roberto Baggio sta al calcio come gli spaghetti stanno al pomodoro. Una proporzione che vede la parte di sinistra oscillare in base allo stato mentale del calciatore, e quella destra rimanere piatta, come il rapporto col padre. Il Divin Codino si dimostra quindi un’opera capace di emozionare, tenendo sempre e solo al centro dell’attenzione il protagonista interpretato magistralmente da Andrea Arcangeli. Le tematiche principali che hanno caratterizzato la vita del campione, dalla religione al rapporto col padre, emergono senza lasciare domande prive di risposta.

Pecca una pressoché nulla partecipazione dei personaggi secondari, escluso il padre, e delle scene di calcio reale approssimative. Crediamo che, per quanto Il Divin Codino dovesse essere focalizzato su Roberto Baggio, personaggi fondamentali come la moglie Andreina o il procuratore Vittorio Petrone. avrebbero meritato un destino migliore. Siamo al punto di non essere a conoscenza nemmeno dei loro cognomi, rendendo le interpretazioni di Valentina Bellè e Thoms Trabacchi quasi invalutabili. Per quanto riguarda le sezioni di calcio reale, potrebbe anche essere stata una scelta di stile dei produttori ma, a questo punto, sarebbe stato meglio riproporre le gesta effettive del campione in campo, piuttosto che riprodurle con superficialità. Non sorprende quindi come risultino più interessanti i discorsi tra Arrigo Sacchi, interpretato correttamente da Antonio Zavattieri, ed il Divin Codino nei vari post partita del mondiale 1994. Infine, sono presenti poche musiche ma ben calibrate, specialmente quella di Diodato realizzata appositamente per la pellicola.

Le nostre conclusioni su Il Divin Codino

In sintesi, consigliamo Il Divin Codino a tutti gli appassionati di calcio e non, in quanto il film è una biografia dell’uomo Baggio, e non delle sue partite. La sua carriera viene ripercorsa allo scopo di far passare un semplice quanto fortissimo messaggio: lo scopo di un viaggiatore non è arrivare, ma continuare a viaggiare. Ed è proprio questo che il campione è stato in grado di far provare a chiunque l’abbia amato o odiato, semplicemente dando due calci ad un pallone. Noi vi ringraziamo per la lettura e vi aspettiamo su Kaleidoverse e sul nostro canale Telegram, per rimanere aggiornati sul mondo del cinema, dei videogiochi e molto altro.

70%

Il Divin Codino rappresenta una delle perle per quanto riguarda le biografie sportive. Peccano le poche canzoni, una caratterizzazione nulla dei personaggi secondari e delle scene di calcio reali approssimative. Ma, che siate fan o no di Roberto Baggio, varrà sicuramente i 92 minuti spesi per guardarlo.

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Avete mai pensato alla gentilezza come forma di ribellione? A quell'idea del vincere le proprie battaglie combattendole porgendo l'altra guancia? Un mix di Sullivan da Uncharted e Ryuji da Persona 5, ponendo sempre come cardine la critica costruttiva, mai distruttiva. L'onestà intellettuale non lo abbandona mai, ma il mondo ha bisogno d'affetto, d'odio ce n'è già troppo.

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