Siamo stati troppo ottimisti a credere che fosse veramente finita. Vi ricordate tutte le battute, gli scherzi e i meme sui trailer di Death Stranding, l’ultima odissea del rinomato maestro Hideo Kojima? Fin dalle prime immagini, la maggior parte dell’Internet videoludico ha trascorso le giornate a chiedersi “Ma di cosa parla Death Stranding?”. Una domanda a cui i numerosi video commerciali del titolo non sono riusciti a rispondere fino all’effettivo lancio, dove i curiosi hanno avuto le loro risposte (circa). Quindi tutto a posto, mistero risolto, nulla di cui preoccuparci ulteriormente, giusto? E invece siamo di nuovo qui. Con una risata che molti riterrebbero malefica, il padre della Metal Gear Saga approfitta del palcoscenico del Summer Game Fest 2021 per annunciare Death Stranding: Director’s Cut, con una presentazione a dir poco folle. Fin qui nulla di strano, un semplice riferimento cinematografico tra i tanti di Kojima. E poi viene svelato Ghost of Tsushima: Director’s Cut. E di nuovo nessuno ci ha capito nulla. Cos’è questa nuova nomenclatura? Una trovata nuova, una pratica già diffusa sotto diverso nome, un oscuro riferimento a qualcosa o altro ancora? Ammettiamo che siamo rimasti un po’ tutti spiazzati e confusi da questa rapida serie di avvenimenti. Cerchiamo quindi di fare ordine e trovare la verità dietro al mistero.
Director’s Cut da vocabolario
Cominciamo con il capire cosa effettivamente significa questa formula. Director’s Cut è un termine usato in cinematografia per indicare il secondo dei tre passaggi per la preparazione del “taglio finale” di un film. Dopo aver concluso le riprese e aver raccolto il materiale, l’editor assembla tutto nella prima bozza della pellicola, chiamata proprio Editor’s Cut. Successivamente il regista apporta le proprie modifiche e approva una seconda versione, ovvero il nostro Director’s Cut. Infine, chi ne possiede i diritti (solitamente lo studio di produzione o i dirigenti) interviene ancora una volta sul film e dà forma al Final Cut, quello che sarà poi venduto e trasmesso nei cinema.
Capita spesso che il regista non possieda il permesso di dire la sua nella fase di Final Cut, facendo sì che la versione finale sia differente dalla sua visione dell’opera. È però capitato più volte nel corso della storia che un film fosse distribuito una seconda volta in versione Director’s Cut, includendo al suo interno le scene tagliate o modificate, così da mostrare al pubblico l’originale visione del direttore dei lavori sul set. Questo è parso essere lo stesso discorso per i due nuovi rilanci di Sony, Death Stranding e Ghost of Tsushima. Una nuova edizione per entrambi, pulita e migliorata, che comprende le meccaniche o i contenuti originariamente scartati per motivi di tempo o scelte di produzione. Fin qui tutto fila liscio, ma basta qualche piccola domanda e una breve indagine per capire che la situazione è più complessa delle apparenze.
Una novità vecchia di decenni
Lanciare di nuovo lo stesso gioco ma con migliore e contenuti aggiuntivi? Dove l’ho già sentita questa? Probabilmente un po’ ovunque, se si conosce la storia del medium videoludico. Prima dell’avvento dei DLC, oggigiorno una normalità, le aziende di sviluppo pubblicavano spesso e volentieri seconde o addirittura terze edizioni dei loro titoli di punta, di solito per farli approdare su console prima non disponibili. È successo con il primo Resident Evil, Deus Ex:Human Revolution e anche Sea of Solitude. Per non parlare di Square Enix e della saga di Kingdom Hearts, di cui buona parte dei capitoli ha ricevuto una versione Final Mix (che praticamente è un Director’s Cut, non stiamo neanche a parlarne). Sembrava che questa pratica fosse ormai seppellita in favore dei Season Pass e degli upgrade generazionali, e invece sta ora riemergendo? Oppure si nasconde qualcosa sotto?
Finché si fosse trattato unicamente di Death Stranding, potevamo presupporre che si trattasse dell’ennesima esplosione della vena cinematografica di Kojima – che ci ha abituati a vedere cinema e videogioco uniti in un unico prodotto d’intrattenimento. Però questo non spiega l’uso della stessa nomenclatura per Ghost of Tsushima, che sebbene condivida alcuni elementi con l’opera sopra citata, è un titolo di tutt’altro tipo e scopo. Già a questo punto della ricerca verrebbe voglia di togliersi l’impiccio e affermare che è semplicemente una scelta di terminologia da parte di Sony. Il che è di base corretto. Ma Kojima doveva per forza intervenire per un personalissimo colpo di scena che non ha affatto migliorato la situazione.
2/2
In the game, it is not what was cut, but what was additionally produced that was included. Delector's Plus? So, in my opinion, I don't like to call "director's cut".— HIDEO_KOJIMA (@HIDEO_KOJIMA_EN) July 12, 2021
Delector’s Plus e la voglia di gettare alle ortiche ogni senso logico
A malapena qualche giorno fa, il maestro decide di annunciare su Twitter che Death Stranding: Director’s Cut non è un Director’s Cut. Come, scusa?
Ebbene sì, Hideo Kojima ha pubblicamente ammesso che il nome scelto per questo rilancio non gli piace. Questo perché la versione next-gen della sua opera non include contenuti originariamente tagliati, ma specificatamente sviluppati in seguito. Come riporta il tweet, non si tratterebbe di un “taglio del regista” ma di un “aggiunta del cancellista” (sì, questo termine non esiste, ma dovevo riportare il gioco di parole). In sostanza, è tutto sbagliato. Il discorso è ulteriormente rinforzato quando notiamo che Ghost of Tsushima: Director’s Cut contiene novità inedite e apparentemente nulla che fosse stato rimosso dalla prima edizione. D’accordo.
Seguendo queste ultime tendenze, possiamo presupporre che Sony stia cercando di dar vita a un nuovo filone, che un domani potrebbe includere altri Director’s Cut di ulteriori titoli di punta. Magari God of War, The Last of Us o ancora più Bloodborne, di cui si vocifera da tempo sia in arrivo una “versione estesa”. In vista di un forse inevitabile futuro in cui la line-up del colosso giapponese sia piena di tagli del regista, è probabilmente il caso di dare una definizione ultima a questa nomenclatura così confusa.
Qual è l’opinione del pubblico?
“Director’s Cut è un gioco rivenduto a prezzo pieno su una console diversa“. In breve, no. In lungo, queste nuove edizioni includono contenuti non accessibili nell’originale, assieme a un buon numero di upgrade tecnici che sfruttano al meglio le potenzialità delle console di ultima generazione.
“Director’s Cut è un gioco rivenduto a prezzo pieno con i DLC dentro“. Una definizione del genere è certamente controversa e fa pensare ad alcuni dei lati peggiori dell’industria del videogioco. Per fortuna, non sembra essere esattamente così. Le nuove versioni, al di là dei contenuti aggiuntivi, includono anche potenziamenti tecnici e migliorie al sistema di gioco, elementi che di solito sono troppo impegnativi o corposi per essere distribuiti come semplici DLC. Per vederla in un altro modo, immaginiamo se per sbloccare i 60 FPS in un titolo bloccato a 30 bisognasse pagare un contenuto scaricabile. Brividi.
“Director’s Cut è uno scherzone di Sony per far arrabbiare Kojima“. Forse. Si parla da un po’ di tempo di un presunto litigio tra l’azienda e l’autore, magari questo è il loro modo di bisticciare. Oppure stiamo solo romanzando una semplice opinione su un argomento. Nel dubbio, è divertente pensare a una burla in edizione tripla A.
“Ma se ho la versione PS4 devo ripagarmi per intero la versione PS5?“. No, solo una piccola differenza per effettuare l’upgrade su console next-gen. Immagina come se stessi comprando un DLC e- aspetta. Oh no.
Ritorno al passato o salto nel futuro?
Tralasciando discorsi legati all’aspetto economico e morale di queste scelte di mercato, che non reputo di affrontare al di là del tono scherzoso, diamo una chiusura al mistero delle Director’s Cut. Alla fine dei conti, sono versioni estese di videogiochi adattate alle piattaforme di nuova generazione, con migliore tecniche e contenuti aggiuntivi, disponibili a prezzo pieno per i nuovi acquirenti oppure tramite upgrade per chi possiede l’originale. Le aziende adottano questa strategia da decenni, semplicemente ora la vediamo sotto un nome molto particolare che ha generato confusione e su cui non tutti concordano. C’è da dire che una differenza c’è: in passato, l’unica opzione disponibile era ricomprare l’opera full price, il che rendeva queste manovre molto più controverse che oggigiorno. In ogni caso, se Sony deciderà di utilizzare spesso questa nomenclatura, sarà bene farci l’abitudine.
Alla fine è tutta una questione di scelte di marketing. Può piacere o può non piacere, l’importante è che non crei confusione. Vi ricordate il caso Remake e Remastered? Ecco. Evitiamo che riaccada.