Nel corso del 2022 il sempre più ricco panorama videoludico italiano si arricchirà di quella che ha tutte le carte in regola per rivelarsi una vera e propria bomba. Stiamo ovviamente parlando di Soulstice, nuovo intrigantissimo titolo di Reply Game Studios che strizza più di un occhio a Devil May Cry e che promette di portare su un nuovo piano la talentuosa software house italiana. Un’opera di cui abbiamo cercato di capire di più in questa puntata di IndItaly, grazie ai disponibilissimi ragazzi di Reply Game Studios.
Soulstice: intervista a Reply Game Studios
Soulstice è senza ombra di dubbio alcuno il vostro lavoro più importante. Qual è la genesi alla base del gioco e cosa vi siete prefissati di ottenere con questo progetto?
Senza ombra di dubbio Soulstice rappresenta un nuovo stadio della nostra evoluzione. Dopo lo sviluppo di Theseus in ambito VR, abbiamo deciso di tornare al cosiddetto “flat screen”, per poterci rivolgere a un pubblico più ampio. Soulstice è stato impostato per permetterci di crescere e di consolidarci come studio, e per stabilire una presenza salda nello scenario internazionale degli sviluppatori AA.
Dark Souls, Berserk e che altro? A che giochi e opere vi siete ispirati nella creazione di Soulstice? Quali hanno avuto una maggiore influenza sul vostro processo creativo?
Al di là delle assonanze rispetto al titolo, Soulstice non è un soulslike. Il nostro genere di riferimento è quello dei character action con combattimento “stylish”. I mostri sacri a cui ci siamo ispirati sono la serie di Devil May Cry, compreso il DMC di Ninja Theory, e Bayonetta. In ogni caso, da Dark Souls abbiamo preso le atmosfere cupe che definiscono anche il nostro mondo e le ambientazioni del gioco. Allo stesso tempo, ci siamo ispirati a serie di manga e anime come Berserk e Claymore, non solo per i personaggi e le tematiche, ma anche per la messa in scena.
Uno degli aspetti più intriganti di Soulstice è sicuramente quello relativo al poter combattere all’unisono con le due protagoniste. Come funziona più esattamente qualche meccanica? Potete gentilmente farci un esempio di come potremo sfruttare al massimo questa possibilità in battaglia?
Il nostro “dual character system” è proprio l’elemento di novità che intendiamo portare all’interno di un genere basato su regole e convenzioni piuttosto chiare. Briar e Lute sono una Chimera, un guerriero ibrido formato dalla fusione di un Cavaliere e dello Spirito che lo accompagna. Il giocatore controlla direttamente Briar, gestendo armi, mosse e combo, mentre Lute agisce come una sorta di angelo custode, basato su una AI che reagisce in tempo reale a quanto accade sul campo di battaglia. Alcune abilità di Lute vengono attivate in automatico, altre sono legate a dei comandi contestuali, e altre ancora vengono attivate manualmente. Il sistema di combattimento è profondo e frenetico, e funziona proprio sulla base del fatto che il giocatore non è mai “solo” quando affronta i suoi nemici. Per fare un esempio concreto, Briar potrebbe essere alle prese con un nemico, e ritrovarsi con un altro che si avvicina alle sue spalle. A quel punto, Lute potrebbe intervenire innalzando una barriera per proteggere la sorella, tramite un’azione contestuale che il giocatore deve attivare, ma senza smettere di combattere. Questo approccio ci ha portato anche a un modo peculiare di raccontare la storia del gioco, che passa costantemente attraverso il punto di vista di entrambe le sorelle. Briar e Lute, del resto, sono sempre insieme; di conseguenza, abbiamo cercato di mettere il loro rapporto al centro dell’esperienza del giocatore, sia dal punto di vista del gameplay, che da quello narrativo.
Cosa vuol dire sviluppare un videogioco in Italia? Secondo voi il Bel Paese è finalmente diventato terreno fertile anche per il settore videoludico o siamo ancora lontani dalla situazione presente in altri paesi, anche europei? Credete che il First Playable Found sia un fuoco di paglia o il segno che finalmente si sta muovendo qualcosa di importante anche da noi?
In Italia abbiamo sempre avuto il talento. Ciò che mancava, però, era l’ecosistema. Ora ci troviamo di fronte a uno scenario che sta finalmente prendendo forma, con aziende più strutturate e i primi grossi investimenti che arrivano dall’estero. Il First Playable Fund è una tappa di questo percorso, che abbiamo appena iniziato e che di sicuro è ancora lungo, ma che possiamo dire di aver ormai intrapreso come “sistema”.