Nella sfavillante Saint-Tropez degli anni ’70, la decappottabile del milionario Claude Trachant viene sabotata causando un grave incidente che vede coinvolto l’amico Jaques a cui era stata prestata l’auto. Il magnate perciò ingaggia il commissario parigino Jean Boullin (Christian Clavier) per indagare su quello che è chiaramente un tentato omocidio. Queste sono le premesse che danno il via agli avvenimenti messi in scena in Mistero a Saint-Tropez, pellicola che abbiamo potuto vedere in anteprima così da potervene parlare – male –.
Il film è diretto da Nicolas Benamou, regista, produttore e sceneggiatore francese, e distribuito nello stivale dalla società di distribuzione bolognese I Wonder Pictures. Un insieme di idee riciclate una dopo l’altra, come gag pensate singolarmente e poi montate insieme, uno dei pochi pregi della pellicola è la durata: poco meno di un’ora e mezza. Forse anche troppo per un film che non ha proprio nulla da dire.
Premesse niente male?
Per quanto riguarda la scenografia era difficile sbagliare direzione quando la maggior parte del film è ambientato in una villa sul mare nella famosa Saint-Tropez. Gli ambienti riescono infatti a risultare accattivanti e con una loro identità – nonostante la regia non li esalti minimamente – conferendo a ogni scena un retrogusto estivo di sole e crema abbronzante.
Le premesse sono quelle di una commedia a tinte mystery che però sembra dimenticarsi, giusto dopo l’incipit, di dover sviluppare un intreccio. Da un film che porta la parola “mistero” nel titolo ci si aspetta che, nonostante le premesse comiche, l’indagine sia un aspetto importante della narrazione eppure è esattamente ciò che va a mancare. Nonostante l’apertura del film sembri promettere allo spettatore che assisterà a un’avvincente investigazione, la vera vittima di Mistero a Saint-Tropez è proprio quel tanto anticipato “mistero”.
Una comicità che non funziona
A dirla tutta, qualche sporadico tentativo di inserire l’elemento investigativo c’è, ne vengono presentati degli accenni disseminati per tutto il film, scollegati l’uno dall’altro, che però di fatto non portano a nulla e non sono affatto il focus della narrazione. Tutt’altro, vengono infatti utilizzati come espediente per qualche gag comica, focus indiscusso della produzione.
La comicità è basata sui fraintendimenti e sulla fisicità del protagonista, goffo e privo di intelligenza che, per intenderci, in una scena vediamo saltellare con un rastrello infilato nel sedere dopo esserci caduto sopra come nei peggiori episodi di Willy il Coyote. Trovate comiche di questo tipo si ripropongono continuamente, una dopo l’altra, senza soluzione di continuità, espedienti che potrebbero anche risultare divertenti in un cartone animato ma davanti a una rappresentazione in live action sfiorano, e superano, il cringe.
Superficialità come chiave di lettura
I personaggi che abitano la villa in cui si svolge la vicenda sono rappresentanti diuna borghesia spocchiosa e superficiale che si contrappone alla semplicità e alla stupidità del commissario Boullin. Eppure proprio quella superficialità da subito messa in ridicolo dalla produzione si rivela, pochi minuti dopo la presentazione dei personaggi, un metro di giudizio più che valido. I ricchi abitanti della villa infatti hanno da subito dei forti pregiudizi verso Boullin, definendolo un ignorante e un incapace a causa della sua provenienza tutt’altro che borghese.
E pochi minuti dopo, nonostante sembri che il regista voglia mettere in cattiva luce questo tipo di giudizio, ci rendiamo conto che quelle caratteristiche affibbiate al commissario sono tutt’altro che pregiudizi infondati. Sono infatti le caratteristiche principali – se non le uniche – che caratterizzano il protagonista, così come la superficialità e la cattiveria sono le uniche che si accostano ai personaggi più ricchi. Con questo tipo di rappresentazione Benamou sembra dirci che i pregiudizi sono una chiave di lettura valida del mondo, che sia un messaggio voluto o che si tratti invece di una casualità data dalla poca cura?
Personaggi o maschere?
Tutti i personaggi non sono caratterizzati se non da una maschera, un insieme di stereotipi uno sopra l’altro che non ricevono mai un vero e proprio sviluppo. Ogni individuo è esattamente ciò che ci si aspetta perché basato su cliché. Vengono presentati con una gag che ne delinea due o tre macro caratteristiche che essi si porteranno addosso per tutta la durata del film.
E così troviamo il gay isterico, la modella stupida, il latin lover: tutti personaggi piatti e senza nessun tipo di progressione. Li vediamo introdotti uno a uno disegnandone una caratteristica e li salutiamo poi, alla fine della pellicola, uguali a come li avevamo conosciuti. Lo sviluppo dei personaggi è quasi totalmente assente, manca un qualsiasi tipo di crescita o cambiamento a renderli tridimensionali lasciando solo delle silhouette di archetipi già visti e rivisti, già stantii negli anni ’80, figurarsi a ritrovarli in una produzione del 2021.
Ma quale mistero?
Lo scioglimento del mistero, se di questo si può parlare, è del tutto insoddisfacente. L’intera indagine infatti viene risolta per caso, con un incidente, lasciando lo spettatore a chiedersi a cosa possano essere serviti quei due o tre stralci d’indagine sparsi per il film. Inoltre ci sono alcuni aspetti del racconto che sembrano indirizzare verso un certo colpevole, ma dopo aver assistito alla chiusura degli eventi viene il dubbio che non fosse un’ambiguità voluta ma che fosse data dal caso, per la pigrizia nella scrittura.
Nel cast di Mistero a Saint-Tropez ci sono volti già noti come Rosy de Palma (Madres Paralelas) e Christian Clavier (Asterix e Obelix missione Cleopatra) ma nessuno di questi spicca in modo particolare. L’unico degno di nota che riesce a distinguersi è l’iconico Gérard Depardieu che interpreta il capo della polizia a cui il protagonista deve rendere conto. Nonostante abbia un totale di circa dieci minuti a schermo riesce a regalare al suo personaggio l’unico briciolo di personalità che si riesce a trovare nella pellicola.
Le nostre conclusioni su Mistero a Saint-Tropez
Tirando le somme, ci sentiamo di consigliare questo film a chi riesce a digerire la comicità dei nostrani Boldi e De Sica nei loro periodi peggiori; questa pellicola è infatti la trasposizione in chiave francese dei momenti più bui dei due comici italiani, godibile forse per una fetta di pubblico ma incredibilmente indigesta per un’altra. Sta allo spettatore capire da che parte stare, ridimensionando le aspettative e rendendosi conto che non ci si troverà di fronte a una storia ma a un pretesto utilizzato per far ridere (senza neanche riuscirci sempre).
Mistero a Saint-Tropez è un film vecchio, fatto da boomer per un pubblico di boomer, che forse avrebbe avuto più senso se fosse uscito vent’anni prima. E voi, dopo questa presentazione non proprio lusinghiera, cosa farete? Andrete al cinema a vederlo o questa recensione vi ha fatto venire un paio di dubbi? Fatecelo sapere nei commenti all’articolo e per altre recensioni al vetriolo, per notizie dal mondo del cinema, dei videogiochi e tanto altro continuate a seguirci sul nostro canale Telegram e soprattutto su Kaleidoverse.
Nonostante l'ambientazione potenzialmente intrigante e Gérard Depardieu all'interno del cast, Mistero a Saint-Tropez è un film che non funziona. La pigrizia nella scrittura e nella messa in scena ci mettono davanti a un prodotto che non ha niente da dire, senza nessun intento narrativo e che risulta scadente anche dal punto di vista della comicità che sarebbe dovuta essere il punto forte del film.