Febbraio è solitamente associato all’amore e ai sentimenti. Da questa sorta di enorme stereotipo sociale sparso un po’ ovunque ne deriva che, inevitabilmente, anche i palinsesti presentino cuoricini e romanticismo gratuiti, a ricordare (come se non lo sapessimo) la centralità di San Valentino nelle nostre vite. Nemmeno Netflix si è risparmiato, ma ha riservato una bella sorpresa nella sezione serie TV. Il titolo potrebbe apparire ingannevole – La Legge di Lidia Poët – così come la preview, che ricorda molto adattamenti di austeniana memoria. Ma vi assicuriamo che così non è.
Dietro il fumo rosa e l’espressione sbarazzina e determinata di Matilde De Angelis (Rapiniamo il Duce) La Legge di Lidia Poët punta infatti in alto, molto più in alto di quanto sembra. È vero, innegabile che l’amore ci sia, ma il vero punto fermo di questa nuova serie italiana è un frangente ben preciso di quella lotta per l’emancipazione femminile, tutt’oggi non ancora finita (e che nella serie è solo agli inizi del suo cammino). La Legge di Lidia Poët è una storia che parte dalla verità per fondersi con narrazioni che calcano la matita sulla condivisione dello stesso suolo sociale di oggi.
La trama di La Legge di Lidia Poët
Nella Torino di fine ‘800 una sentenza della Corte d’Appello dichiara illegittima l’iscrizione all’albo degli avvocati di Lidia Poët, impedendole dunque di poter esercitare la sua professione. Il motivo? Semplice: è una donna. Improvvisamente disoccupata e in ristrettezze economiche, Lidia si vede costretta a lavorare alle dipendenze di suo fratello Enrico (Pier Luigi Pasino), anch’egli avvocato, diventando sua assistente. Grazie a questo escamotage la donna prepara il suo ricorso alla sentenza.
Nel frattempo riesce comunque a lavorare a qualche caso, occupandosi di vicende spinose e molto spesso più complesse di quanto appaiano. Grazie alla sua mente brillante e al suo sguardo acuto Lidia riesce così a fare giustizia, avvalendosi oltre alla collaborazione del fratello (un po’ reticente all’inizio) di quella di Jacopo (Eduardo Scarpetta) suo cognato e giornalista, che le fornisce aiuti preziosi guidandola per le vie meno frequentate di una Torino in piena espansione.

Produzione e cast di La Legge di Lidia Poët
Prima di perderci tra gli scaffali alti e ricolmi della critica e dell’approfondimento dobbiamo parlare delle persone dietro La Legge di Lidia Poët. Creata da Guido Iuculano (Alaska) e Davide Orsini (Ötzi e il mistero del tempo) – anche sceneggiatori – la serie è diretta da Matteo Rovere (Romulus) e Letizia Lamartire (Il Divin Codino). Alla sceneggiatura hanno inoltre partecipato Elisa Dondi (La santa che dorme), Daniela Gambaro (Cronofobia) e Paolo Piccirillo (Dio si è fermato a Buenos Aires).
La produzione porta il segno di Groenlandia (L’incredibile storia dell’isola delle Rose). Il cast invece vede volti noti del mondo cinematografico italiano: oltre a Matilde De Angelis, che si sta affermando sempre più come attrice e cantante, nella serie sono presenti anche Eduardo Scarpetta (Le fate ignoranti – La serie), Pier Luigi Pasino (E noi come stronzi rimanemmo a guardare), Sinead Thornhill (al suo esordio nei panni di Marianna Poët), Sara Lazzaro (18 regali) e Dario Aita (Noi).
Lidia Poët: dalla realtà alla leggenda
La Legge di Lidia Poët affascina e colpisce principalmente perché si discosta dai modelli seriali ai quali lo spettatore medio italiano è abituato: la serie è un period drama che ha per protagonista una donna che cerca costantemente di emanciparsi e che si dimostra indipendente e libera, malgrado la società in cui vive. Lo spirito rivoluzionario e tenace incarnato dalla protagonista non è però una pura creazione: Lidia Poët è esistita davvero ed è stata la prima avvocata d’Italia. Da questo punto di vista la serie è un omaggio a lei e a tutte le donne che hanno lottato (e lottano) strenuamente per poter avere un posto nel loro ambito di studio e di lavoro.
Lidia Poët ha perseverato facendo buon viso a cattivo gioco finché le cose non sono finalmente cambiate, anche se ha dovuto attendere parecchio. Nonostante le rigide regole sociali la relegassero in una posizione di subordinazione, lei ha vissuto come ha voluto: liberamente, senza vincoli, sfuggendo così alle maglie del controllo sociale. È questa Lidia che vediamo sullo schermo: De Angelis riesce a trasmettere il carattere della donna che interpreta con naturalezza, marchiandosi a fuoco sulle nostre retine e nei nostri pensieri.

Il duro percorso verso l’emancipazione
La Legge di Lidia Poët non racconta solo la storia di Lidia e del suo tentativo di smarcarsi dalla gabbia sociale patriarcale: la prospettiva è molto più ampia e organizzata dalla tecnica narrativa impiegata. Le vicende di Lidia infatti percorrono tutta la serie, ma questo non impedisce alla narrazione di soffermarsi di volta in volta su altre piccole storie, non per questo meno importanti. Ci sono infatti molti personaggi femminili che fanno la loro comparsa, appartenenti a diversi ceti sociali e con storie molto variegate tra loro.
Eppure, nonostante queste donne siano tutte diverse e alcune esprimano una marcata fragilità, la macchina da presa si impegna nell’evidenziare i loro punti di forza. Certo, i casi su cui lavora Lidia sono frutto della bravura degli sceneggiatori, ma ciò non toglie che essi abbiano saputo inserire dei contrappesi che spostano la focalizzazione sui singoli personaggi secondari, che acquistano quindi importanza e incisività. Questa scelta narrativa è funzionale e contribuisce a creare un doppio punto di vista: quello di Lidia e al contempo di tutte le donne (e gli uomini) che l’appoggiano e si riconoscono parte in causa della sua battaglia contro i mulini a vento.
Anticonformismo e libertà
La Legge di Lidia Poët si muove per una Torino in fermento: ci troviamo nel XIX° secolo e l’innovazione si spande velocemente per le strade di uno dei centri urbani più carichi di storia della nostra penisola. Mentre ogni tanto possiamo godere delle impalcature che circondano la Mole Antonelliana ancora in costruzione ci aggiriamo anche tra ambienti anticonformisti e salotti insoliti. È nelle conversazioni e tra le pagine dei giornali che si annidano i sintomi del progresso, a partire dalle impronte digitali e a finire con nomi di intellettuali ricordati ancora oggi. Questo clima positivista è accompagnato da una colonna sonora tutta nostra, moderna e graffiante che ben si addice alle atmosfere e all’indole della protagonista, le quali non cozzano con gli abiti e le maniere dell’epoca.
L’unica cosa che stona davvero con questa tavola imbandita di modernità è la mentalità generale, che si presenta impreparata di fronte al banchetto imbastito. I singoli sono pronti al cambiamento, ma le istituzioni no: è una manfrina che si ripete fin troppo spesso, anche oggi. Ed è dunque un altro filo che contribuisce a legarci alla Torino di allora, in cui una donna non poteva fare l’avvocato perché con i suoi abiti bizzarri avrebbe potuto distrarre il giudice. C’è però sempre un barlume di speranza, pienamente portato avanti da Enrico e Teresa, rispettivamente il fratello e la cognata di Lidia, che cambiano opinioni e si discostano dal pensiero comune abbracciando la vocazione della donna (anche se con difficoltà).
Le nostre conclusioni su La Legge di Lidia Poët
L’obiettivo della nostra recensione non è certamente quello di fare propaganda ideologica (non è questo il mezzo più adatto, né disponiamo delle conoscenze adeguate per farlo). Molto spesso la critica deve inforcare occhiali speciali, che sappiano individuare le questioni scottanti e portarle alla luce. Nel caso de La Legge di Lidia Poët, riteniamo di averlo fatto al meglio delle nostre possibilità. E sì, forse la storia sembra un già sentito (a noi ha ricordato questa), ma ciò non toglie che sia diversa e più autentica, perché per alcuni aspetti vera. Sicuramente il format è largamente apprezzato perché inusuale nelle produzioni nostrane, e speriamo di vederlo ripetersi presto.
La leggerezza con cui si possono toccare argomenti pesanti e densi di implicazioni è sicuramente uno dei pregi di questa serie TV, che unita alle performance attoriali del cast è divertente da guardare e fa riflettere senza inculcare moralismi. Speriamo che La Legge di Lidia Poët vi piacerà quanto è piaciuta a noi e, se così sarà, fatecelo sapere scrivendoci sui nostri gruppi community (Facebook e Telegram) o sulle nostre pagine social. Nel frattempo, noi torniamo ad ascoltare punk sorseggiando il nostro tè perfettamente composte.
La Legge di Lidia Poët è una produzione italiana che si allontana dai soliti format e non ha paura di osare e di ribadire messaggi importanti. Le linee narrative dei personaggi sono sviluppate bene e gli attori hanno svolto un ottimo lavoro, portando a compimento l'evoluzione dei rispettivi ruoli. La serie riesce a portare allo spettatore storie interessanti ed enigmatiche che rivestono tutte la stessa importanza e gettano luce sul problema dell'emancipazione delle donne in un periodo che ancora non è stato approfondito a dovere in terra nostrana.